Gesù si è fatto peccato? No: è venuto a toglierlo
28 Febbraio 2021C’è un assalto globale contro ogni forma di socialità
2 Marzo 2021Dice san Pietro nella prima epistola che reca il suo nome (5,6-11):
6 Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, 7 gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. 8 Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. 9 Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi.
10 E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi. 11 A lui la potenza nei secoli. Amen!
Il diavolo, quindi, non è il personaggio di una favola per bambini; e non è nemmeno un simbolo o una allegoria del male, come va farneticando il preposito generale dei gesuiti, Arturo Sosa Abascal. O vogliamo sostenere che Gesù, quando esorcizzava gli indemoniato, recitava una commedia a beneficio degli ignoranti e dei creduloni? E la legione di diavoli che prese possesso di un branco di porci e li spinse a precipitarsi nelle acque del lago di Tiberiade, anche quella è da considerarsi una favola, una pia leggenda, un’invenzione degli evangelisti? E così pure le tentazioni di Gesù nel deserto, quando il principe del mondo in persona gli venne accanto e cercò di sviarlo dalla sua missione di Redentore degli uomini? E sempre per gioco, o per allegoria, san Giovanni, nella sua prima lettera, scrive che (3,8) chi commette peccato viene dal diavolo, perché fin dal principio il diavolo è peccatore , ma ora Gesù, il Figlio di Dio, è apparso per distruggere le opere del diavolo, mentre (id 5,19) tutto il mondo giace sotto il potere del maligno?
Qualcuno potrebbe pensare che è sbagliato, o quantomeno inopportuno, insistere così tanto sulla presenza del diavolo e sul senso del peccato; che bisogna tener sempre presente la consolazione e la speranza cristiana; che non si rende un buon servizio all’annuncio del Vangelo se si parla troppo di temi spiacevoli e scabrosi, mettendo in crisi le coscienze e diffondendo un pessimismo che richiama altre epoche della storia, ma non è più in linea col sentire del nostro tempo. A queste obiezioni rispondiamo che sì, la speranza cristiana è una delle tre virtù teologali, accanto alla fede e alla carità; ma che la carità, come dice san Paolo, è la maggiore di tutte, perché senza di essa anche le altre diventano lettera morta (cfr. 1 Cor. 13); e della carità fa anche parte la giustizia, perché è cosa caritatevole, e al tempo stesso giusta, mettere in guardia contro i pericoli, correggere, dare al prossimo tutti gli strumenti necessari affinché possa orientarsi verso la verità e la salvezza dell’anima. Per far questo, tuttavia, è indispensabile dire la verità, sempre e senza alcun riguardo umano; non si deve essere timidi, o vaghi, o ambigui, quando è in gioco la verità: perché senza la verità non vi sono né carità, né giustizia, e tanto meno speranza. E la verità è che tacere la realtà del demonio e quella del peccato equivale a ingannare e tradire le anime; e se a macchiarsi di un tale inganno e un tale tradimento sono addirittura i pastori del gregge di Cristo, i principi della Chiesa, allora non si tratta più d’ignoranza o trascuratezza, ma di qualcosa di assai peggiore: una congiura finalizzata a spingere i credenti nell’apostasia e sottrarre a Cristo le anime che erano state affidate loro, per consegnarle invece al regno delle tenebre. Poniamo che un leone sia scappato dalla sua gabbia e si aggiri chissà dove, libero e affamato: il padrone del circo dovrà tacere questa notizia per non spaventare il pubblico, venuto sotto il suo tendone a godere un’ora di spensieratezza e divertimento? O dovrà nasconderla alle pubbliche autorità, per non turbare i sonni dell’ignara popolazione di quella città? Se lo facesse, noi diremmo, e a ragione, che costui è molto peggio di un perfetto incosciente: è un pazzo criminale o qualcosa di ancor più brutto, un sadico e forse un odiatore degli uomini, che desidera per loro tutto il male possibile. Ebbene: tale è stato il comportamento delle massime autorità della Chiesa e di una bella fetta del clero in questi ultimi sei decenni, vale a dire a partire dal Concilio Vaticano II. Sapevano, e sanno, o almeno dovrebbero sapere perfettamente, che il diavolo è libero e scatenato, ma lo hanno taciuto con la massima cura, anzi hanno dato a credere che pericoli gravi, per l’anima, non ce ne sono, perché Dio è un bonaccione che alla fine prenderà con Sé tutti quanti e li porterà in paradiso, senza che vi sia alcun Giudizio da pare Sua. Prima, no; prima, e per diciannove secoli, il clero ammoniva e ammaestrava i fedeli; è dal 1965 che ha deciso di seguire una strada completamente diversa, come se improvvisamente, non si sa perché, fosse scoppiata la pace fra Dio e il diavolo, e gli uomini non dovessero più guardarsi da quel crudele e pericolosissimo nemico, che la Scrittura chiama, significativamente, il principe di questo mondo. Ma se è il principe del mondo, come è possibile vivere nel mondo senza strare in guardia contro di esso? Come è possibile che la Chiesa docente abbia deciso di considerarlo un argomento tabù, da lasciare nei vecchi armadi polverosi, e di parlare solo del lato bello e luminoso dell’essere nel mondo, e di quante magnifiche opportunità questo ci offre affinché noi possiamo realizzarci? Come se ci si potesse realizzare solo per sé stessi, senza piacere a Dio e senza fare la Sua volontà: e dunque senza tener conto del terribile avversario, che sin dalla creazione dell’uomo opera di tutto, ma proprio di tutto, per fare in modo che la creatura prediletta, fatta a immagine del Creatore, si discosti da Lui. Eppure, il clero post-conciliare ha fatto precisamente questo: si è comportato come quel folle o criminale padrone del circo. Ha taciuto su quel che poteva aiutare i fedeli a restare nell’amore di Dio, lusingandoli con vuote chiacchiere pseudo umanistiche, inventate per piacere al mondo. Eppure l’Apostolo san Giacomo chiaramente mette in guardia contro una simile, tremenda tentazione (Gc 4, 4): Gente infedele! Non sapete che l’amore per il mondo è nemico di Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio. Parole chiarissime, inequivocabili. E qui viene subito in mente un signore che dice di essere papa, che si veste come se fosse il papa, ma che è amico di Soros, di Bill Gates, dei Rotschild, di Eugenio Scalfari, di Emma Bonino; è amico dei miliardari che affamano i popoli, degli usurai che sfruttano il potere del denaro mal guadagnato, degli esponenti delle ideologie anticristiane; è amico dei vescovi ultraprogressisti, delle femministe, delle associazioni LGBT, dei massoni che siedono nelle poltrone dell’ONU, dell’UNESCO, della OMS, nonché della BCE. Con tutti costoro va d’amore e d’accordo, e infatti non passa giorno che essi non dicano ogni bene di lui, e le riviste più prestigiose di costoro non ne cantino le lodi, mettendo anche la sua foto in copertina e celebrandolo come l’uomo dell’anno, l’uomo della pace, l’uomo della misericordia e… l’uomo dell’autentico Vangelo. Ma intanto egli non ha risposto alla lettera di quattro eminenti cardiali su importantissime questioni riguardanti la fede; né ha trovato il tempo di ricevere il quasi novantenne cardinale Zen, venuto apposto da Hong Kong per avere un colloquio con lui ed esporgli la drammatica situazione dei cattolici cinesi.
Il crudele nemico degli uomini è anche astuto e rotto a ogni genere di perfidia. Lui ci conosce bene, meglio di noi stessi: conosce ogni nostra debolezza, ogni nostra ferita nascosta, ogni elemento che potrebbe farci vacillare e condurci oltre l’orlo dell’abisso ed è prontissimo ad approfittarne per darci la spinta decisiva. Sta in agguato, spia le sue potenziali vittime, specialmente quelle che vede più indifese, perché hanno smarrito lo scudo della fede l’armatura della grazia. C’è, per esempio, una madre disperata perché ha perso il suo bambino piccolo, e da anni vive con quella piaga segreta, che non si è mai chiusa, e fa sanguinare ogni giorno il suo povero cuore: una madre, per capirci, come la vecchia contessa che incontriamo nelle pagine del Diario di un curato di campagna di Bernanos. Una madre che è ormai vecchia e malata, e ha consumato gran parte della sua vita in una segreta ribellione contro Dio, perché le ha tolto la cosa più preziosa, la creatura da lei più amata, anzi a ben guardare la sola creatura che abbia mai amato nel corso della sua lunga e arida vita. Ebbene: il nemico è lì, pronto a sfruttare l’occasione, a versare sale sulla piaga, e far di tutto affinché la ferita non si rimargini, a soffiare sul fuoco del rancore e della rivolta che alberga nell’anima di quella creatura torturata e senza pace. Il suo scopo è far sì che essa chiuda suoi giorni terreni in discordia con Dio, lontana da Lui, affinché non si salvi e vada incontro alla dannazione eterna. Nel romanzo di Bernanos, l’eroico curato riesce a strappare la contessa, proprio all’ultimo momento, alle grinfie del demonio; riesce a convertirla, a rasserenarla, a farla tornare alla fede: e il giorno dopo la poveretta chiude gli occhi per sempre, riconciliata con Dio (anche se quella riconciliazione sarà l’ennesimo chiodo sulla croce del povero curato, facendo crescere l’avversione di tutto il paese nei suoi confronti, a cominciare dai parenti della defunta). Ma in quanti altri casi non c’è un simile salvataggio in extremis? In quanti casi il crudele e perfido nemico, facendo leva proprio sulle umane debolezze fragilità, sui sensi di colpa, gli scrupoli, i rimorsi, le ferite mai rimarginate, riesce a distaccare le anime da Dio e condurle vero il tenebroso abisso della perdizione? È molto astuto: sfrutta a suo vantaggio anche i nostri lati generosi, se appena scorge un varco ove insinuarsi; e il varco è di solito una qualche forma di superbia, di amor di sé, e quindi una debolezza della fede, perché la vera fede comporta necessariamente un morire dell’orgoglio umano e un affidarsi totale all’amore di Dio. C’è uno, ad esempio, che ha fatto della Verità di Cristo la ragion d’essere della sua vita, la sua battaglia quotidiana, e vi si spende con indomito coraggio: e questa è una cosa buona. Però nelle pieghe del suo animo vi è molto amor di sé, molta smania di piacere al mondo, di attirare l’attenzione altrui, magari anche in male se non è possibile in bene, purché gli altri lo notino e ne parlino: il suo ego si gratifica così, non sopporta il silenzio, né tollera d’essere ignorato. E subito il diavolo se ne approfitta, fa leva su quell’orgoglio, lo gonfia ancor più, a dismisura, e gli offusca la mente, sicché non si accorge di non esser più strumento della Verità divina, ma di essere guidato dalle proprie ambizioni, re perciò manovrato proprio dal nemico che a parole crede di combattere.
Quando il diavolo non riesce a trovare un varco, è capace di sferrare anche un attacco diretto, perfino sul piano fisico: san Pio da Pietrelcina e il santo Curato d’Ars, fra i tanti, ne hanno fatto la drammatica esperienza. L’attacco può essere che ben mascherato, perché "lui" sa che noi, uomini moderni, abbiamo smesso di guardarci nei suoi conforti, e quindi siamo portati a scambiare i suoi attacchi per dei fatti casuali, spiegabili sul piano prettamente naturale. E in effetti può essere così, che gli uomini cadano in un tale equivoco. Può darsi, ma non sempre. Forse hanno smarrito la capacità di cogliere i segni della presenza del nemico, e ciò li rende ancor più vulnerabili. Ora una recente esperienza personale, che racconto perché possa esser di giovamento, forse, a qualcun altro. Giacevo a letto, a tarda notte, stanchissimo, e forse ero già addormentato; o forse no. Impossibile dire se fosse subentrato il sonno profondo o se la coscienza vagasse ancora nel regno crepuscolare del dormiveglia. Sta di fatto che a un tratto ho avvertito una presenza, vicinissima e tangibile, lì, accanto a me, nel buio; una presenza immensamente malefica, e tale da spaventarmi a morte. Ora, devo dire con sincerità che mi ritengo una persona discretamente coraggiosa: non ho mai avuto paura del buio, fin da bambino; non mi sono mai lasciato suggestionare in maniera irrazionale; e non ho mai provato la paura fisica, tranne una volta, tantissimi anni fa, in cima a una vetta delle Alpi, quando fui assalito da una sorta di vertigine. E non ho mai sofferto di incubi, né di cattivi sogni, né di una qualche forma di pavor nocturnus, neppure da piccolo. Eppure, in quel momento, ero letteralmente terrorizzato. Ero paralizzato dalla paura, e provavo un fortissimo senso di oppressione; era come se la mia volontà fosse stata assalita da una forza potentissima, e ridotta a niente. Avevo nella destra, però, la coroncina del Rosario: come ogni notte. Me ne sono ricordato, l’ho stretta e ho rivolto un pensiero alla Madre celeste. A quel punto mi sono svegliato, se pure non ero già sveglio, ancora coi peli ritti per quella esperienza agghiacciante: la presenza malefica e ghignante se n’era andata, non c’era più. Lo ripeto, non possiedo elementi per affermare che si sia trattato di un’esperienza di ordine soprannaturale: potrebbe anche essere stata una forma inconscia di auto-suggestione. Chi lo sa? Ma una cosa è certa: se contiamo solamente sulle nostre forze per resistere agli assalti del nemico, siamo simili a colui che, fidando nei suoi muscoli e nel suo coraggio, crede seriamente di poter affrontare un nemico che dispone della bomba atomica. Tutto ciò che noi, in quanto esseri umani, possiamo opporre al diavolo e alle sue mille tentazioni, è meno di niente: se pretendiamo di farlo, verremo spazzati via come le foglie al vento. Quel che ci rende davvero forti, invincibili, è solo e unicamente la protezione che scende dall’alto e che ha un nome: la grazia di Dio; e c’è una sola maniera di averla: pregare e far sempre la Sua volontà, non la propria.
Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)