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Il male viene dalla città

Abbiamo detto e scritto tante volte che la malattia è la modernità; che la modernità è il cancro che divora i popoli e le ricchezze e che prosciuga e inaridisce l’anima delle persone; e che tutta la cosiddetta civiltà moderna è una anti-civiltà, perché nasce da una lotta sistematica e da un odio feroce contro ciò che è spirituale in nome delle cose materiali, e in particolare del denaro, del profitto e dell’arricchimento. Ma come si è diffusa la modernità, per quali vie ha conquistato, poco alla volta, tutto l’Occidente, e poi gran parte del pianeta, sostituendosi alla civiltà autentica che l’aveva preceduta, ossia la civiltà cristiana medievale? Poiché la modernità è una creazione di alcuni gruppi intellettuali e di una parte delle classi superiori, specialmente di estrazione borghese, ma più ancora del grande potere finanziario, essa si è diffusa a partire dalle città; più precisamente, dalle grandi città. Prima sono state le città italiane e fiamminghe del Rinascimento: Firenze (quando il fiorino era la moneta forte d’Europa), Roma, Napoli, Venezia, Bruges, Anversa, Bruxelles; poi le grandi capitali dei regni divenuti monarchie nazionali (Londra e Parigi), cui si sono poi aggiunte, superandole, le metropoli americane della Costa Est e di quella Ovest: New York, Boston, Filadelfia, Los Angeles, San Francisco e San Diego. Da queste città, che si possono contare sulle dita delle mani, e da pochissime altre, è nata e si è diffusa la cultura moderna, insieme al sistema di vita moderno; da esse, dalle loro classi dirigenti, dalle loro università, dalle loro banche e dalle loro industrie, dai loro giornali, dalle loro televisioni e agenzie di stampa, si è esteso al mondo intero, o a gran parte di esso, l’approccio moderno alla realtà, con i suoi modi di produzione e con la sua arte, la sua poesia, il suo pensiero filosofico e giuridico, la sua pedagogia, la sua medicina, la sua psichiatria, la sua scienza, la sua tecnica.

«Ma è nelle gradi città – obietterà qualcuno – che si forma e si sviluppa quanto c’è di più vivo nella cultura, nel pensiero, nella politica, ecc.; è da lì che parte la scintilla dei grandi movimenti intellettuali, artistici, letterari; è in esse che viene a maturazione il senso civico, la coscienza dei diritti, l’idea di libertà, insomma quanto di meglio ha saputo esprimere lo spirito umano negli ultimi secoli. E non certo dalle piccole città, dai paesi o dai villaggi; non certo dalle campagne; se fosse per le piccole città e per le campagne, noi saremmo ancora avvolti nell’ignoranza; saremmo ancora costretti a inchinarci davanti ai nobili, e magari ad essere processati dagli inquisitori; saremmo vittime di mille superstizioni, di credenze primitive, di forme di vita quasi preistoriche». Davvero? Proviamo a considerare bene la cosa. Che tutto quanto è buono venga dalle città, questa è una leggenda che è stata creata da coloro che vivono nelle città e che hanno trovato in esse i mezzi e le condizioni per poter esercitare un’influenza sproporzionata sull’intera popolazione: una piccola minoranza d’intellettuali e di membri del ceto dirigente che forgiano l’immaginario collettivo (oggi servendosi dello strumento potentissimo dei mass-media) e creano la cultura dominante. Nel mondo antico, Roma, con le dimensioni gigantesche che aveva raggiunto in età imperiale, era vista dai suoi stessi abitanti — ne fanno fede i versi di Orazio, di Giovenale e altri — come una metastasi della società. Nel Medioevo non esistevano grandi città, perché la società era di tipo agricolo e feudale e i centri politici erano nei castelli, mentre centri economici nel senso che noi intendiamo praticamente non ce n’erano. Aquisgrana, la capitale di Carlo Magno — ma già parlare di capitale è una forzatura, perché la capitale era là dove si spostava, di volta in volta, la corte imperiale — era un villaggio con le case di legno di pochissime migliaia d’abitanti. Le cose cambiano con la modernità, ma per molto tempo la misura dei centri urbani non eccede le reali necessità economiche e non supera, di norma, le dieci o ventimila anime. Prendiamo il caso del primo e più forte dei nuovi stati nazionali, il regno di Francia: Parigi è un’anomalia in un Paese disseminato di villaggi e piccoli centri, e ancora alla vigilia del 1789 non supera il mezzo milione di abitanti. Ma proprio da questa anomalia — e da Londra, l’altra anomalia europea, dove già si fanno sentire gli effetti della nascente Rivoluzione industriale — parte il movimento che cambierà per sempre i sistemi di vita e i modi di pensare dell’intera Europa. È da Parigi, dalla ville lumiére, che si diffonde l’illuminismo, coi costosi volumi della Encyclopédie e con la fama dei suoi prestigiosi intellettuali, irriverenti verso la tradizione e ben decisi ad affermare non solo un nuovo ordine di cose, ma proprio un nuovo tipo di umanità. Ed è da Parigi che il segnale dei gloriosi tempi nuovi viene annunciato al mondo, allorché la folla assiste al passaggio del corteo che porta in trionfo, infilzata in cima a una picca, la testa del governatore della Bastiglia – fortezza-prigione ormai vuota ma odiata quale simbolo dell’assolutismo — per le vie cittadine. Una scena che avrebbe fatto inorridire qualunque marinaio europeo che si fosse trovato ad assistervi in qualche remoto villaggio di cacciatori di teste del Borneo o della Nuova Guinea. A Parigi si è formata una nuova casta, quella dei philosophes, i quali si autodefiniscono anche savants, coloro che sanno, che hanno capito: con il sottinteso che gli altri, gli abitanti delle campagne, e più ancora le generazioni del passato, non hanno e non avevano capito mai nulla, ma vivevano e vivono come animali irragionevoli, e perciò bisognosi di essere guidati, di essere istruiti, di essere radicalmente riformati. Da quel momento in poi, l’idea di plasmare l’uomo nuovo, l’uomo illuminato dalla luce della verità, l’uomo al passo coi tempi, non cesserà di essere inseguita e predicata dagli intellettuali progressisti di tutte le città d’Europa e del mondo (ma dire intellettuali illuministi è quasi un pleonasmo, perché un intellettuale tradizionalista è una contraddizione in termini). Stiamo cioè parlando di una classe di parassiti sociali tanto spocchiosi quanto arroganti, ben decisi a imporre il loro credo all’intera umanità, i quali si sentono chiamati dal destino alla nobile missione di distruggere l’ignoranza e la superstizione e far capire ai loro retrivi contemporanei, e se possibile anche alle generazioni future, quale sia la verità vera, non quella fasulla insegnata per tanti secoli dal Vangelo di Gesù Cristo. E cioè che l’uomo è il centro di tutto, che l’uomo può e deve fare da solo, che l’uomo è il padrone assoluto dell’universo e che la sola misura che può e che deve accettare per condurre i suoi atti è quella della propria ragione. Una ragione libera ed emancipata da qualunque remora, da qualunque scrupolo e soprattutto da qualunque tradizione; una ragione che brilla di luce propria, non illuminata dalla grazia o da qualsiasi altra realtà sopranaturale, ma che ha in se stessa il suo fondante e la sua ragion d’essere. Una ragione, infine, che coincide sostanzialmente con la ragione logico-matematica, ad esclusione di ogni altra idea di ciò che è razionale e ragionevole; e dunque una ragione destinata a passare, attraverso alcune tappe intermedie, come il deismo predicato dai fratelli massoni, nel materialismo più radicale e nell’antifinalismo più drastico. Abbiamo accennato alla massoneria: ebbene, è proprio questa la grande novità del mondo moderno, insieme allo strapotere finanziario che, dopo aver parassitato l’economia degli stati, ma pur sempre sotto il controllo del potere politico, a partire da un certo punto — difficile stabilire una data precisa, il processo è alquanto graduale – giunge a rendersi di fatto indipendente e perciò a porsi come un potere sovrano, superiore a ogni altro potere, poiché tutti i poteri costituiti, quello politico, quello giuridico, quello economico, quello religioso, finiscono per trovarsi legati ad esso, subordinati ad esso, indebitati con esso. Tutti gli devono dei quattrini, perché tutti spendono più di quanto possano guadagnare; per cui il grande potere finanziario (e massonico) decide di passare alla fase del Nuovo Ordine Mondiale — e ciò non oggi, ma già a partire da almeno due secoli fa — ossia a riorganizzare la struttura economica, sociale, politica e culturale del mondo secondo le sue necessità, le sue convenienze e i sui bisogni. A quale scopo? Allo scopo di trasferire sempre più ricchezza, pubblica e privata, nei suoi inesauribili forzieri; e, parallelamente, a trasformare i modi di pensare, di sentire, di vivere della gente nel senso che è maggiormente funzionale ai suoi interessi. Non bisogna credere che i movimenti culturali che si diffondono in Europa a partire dall’illuminismo siano "spontanei", nel senso che comunemente diamo a questa parola. La verità è che sono stati o pensati, o quanto meno strumentalizzati dal potere finanziario; in qualche caso esso li ha creati dal nulla, servendosi di nuove tecniche, e ciò vale in particolare per gli ultimi cinquant’anni, a partire dalla diffusione dell’informatica, dei social network e di tutto ci che viaggia nell’immaginario sulla scia del cinema di Hollywood, una tipica creazione di codesti Illuminati. E anche le cose in apparenza più spontanee e più "innocenti" — cosa c’è di più spontaneo e innocente di un film per bambini, magari targato Disney, o di un film per famiglie, tipo commedia brillante e sentimentale, o di una canzone melodica venduta in milioni di copie? Tutto, invece, ma proprio tutto, è stato costruito, vagliato, selezionato per fare breccia nel sentire delle persone comuni e per modificarlo dall’interno, in maniera tale che le persone non se ne rendano neppure conto. Quanti ragazzi degli anni ’60 si accorgevano, ascoltando con sommo piacere le note della canzone Imagine di John Lennon, che quello era il grido di battaglia del Nuovo Ordine Mondiale e che stava modificando, pressoché a loro insaputa, tutti i punti riferimento ricevuti dai genitori, dalla scuola, dalla chiesa, insomma da tutta la tradizione? Quanti coglievamo la portata devastante di quel ritornello che recita:

Imagine there’s no heaven
It’s easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people living for today

Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people living life in peace, you

e quanti si rendevano conto che la società futura così delineata era l’inferno sulla terra profetizzato da Dostoevskij, allorché Ivan Karamazov aveva proclamato che se Dio non esiste, allora tutto è permesso? Quanti si rendevano conto che i Beatles stavano semplicemente propagandando l’ideale satanista di Aleister Crowley, fa’ ciò che vuoi? E quanti conoscevano le parole del curato d’Ars, Jean-Marie Vianney, il quale aveva detto che, lasciati senza Dio per qualche anno, gli uomini si sarebbero ridotti ad adorare le bestie? Ebbene: tutto questo ha preso le mosse dalle grandi città. È da Parigi, da Londra e da New York, i grandi centri del potere finanziario, che prendono le mosse le rivoluzioni: quelle politiche, come la Rivoluzione francese, e quelle del costume, come il femminismo e la nuova moda degli anni ’60. La minigonna ha contribuito all’edificazione del mondo secondo John Lennon più di quanto vi abbiano contribuito tutti i Lenin, i Mao e i "Che" Guevra messi insieme. Ha distrutto in attimo il senso del pudore femminile, ha modificato radicalmente l’idea della donna, e non solo l’ha resa per sempre donna-oggetto per l’immaginario maschile, ma anche l’idea che ella ha di se stessa, deviando ogni suo istinto dalla maternità e dalla famiglia all’erotismo, alla brama d piacere sempre e comunque, di piacere a tutti, di suscitare il desiderio e poi, magari, di negarsi, per inebriarsi alla nuova sensazione di potere che le dà il fatto di essere desiderabile e follemente desiderata da tutti, ma accessibile solo se e quando lo vuole lei. Un modo di pensare ormai talmente diffuso da sembrare perfino ovvio: non è forse nel suo pieno diritto fare del proprio corpo ciò che le pare e piace? E invece si tratta di un modo di pensare recentissimo: possiamo ben affermarlo perché abbiamo visto le nostre nonne, le nostre mamme le quali non erano così, non penavano così, non sentivano così, e mai si sarebbero vestite così. Dunque, c’è stato un cambiamento radicale, nel giro di pochissimo tempo. È partito dalle grandi città e ha conquistato i piccoli centri, poco a poco, dopo qualche resistenza. Oggi, nel Villaggio Globale, la distinzione fra città e provincia praticamente non esiste: c’è solo un’immensa megalopoli. E tutti vivono felici e contenti, con le minigonne e gli anticoncezionali, la smania di divertirsi e il disprezzo del passato. C’è una sola cosa che non quadra nelle meraviglie della globalizzazione: la mascherina e tutto ciò che essa implica. Thomas Jefferson, presidente degli Stati Uniti dal 1801 al 1809, parlando del futuro della nazione, ammoniva i suoi concittadini (in Wolf Schneider, La città, destino degli uomini, Garzanti, 1961, p. 255): Se ci rinchiudiamo nelle città come fanno in Europa saremo rovinati come lo sono in Europa e ci divoreremo reciprocamente come fanno in Europa. Ed è ciò che sta accadendo.

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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