Tempo di desolazione, tempo di avvento
10 Febbraio 2021Quello strano conclave del 1958
11 Febbraio 2021Negli anni ’90 andava fortissimo un manuale di storia per il biennio delle scuole medie superiori intitolato Storia e società, lavoro di équipe di ben sei autori, nessuno dei quali figurava in copertina; su quei due volumi hanno studiato alcuni milioni di studenti italiani e quindi hanno inciso parecchio nella formazione culturale e nel modo di ragionare di un’intera generazione, quella che si affacciava all’adolescenza negli anni di Mani Pulite, della distruzione di DC e Psi ad opera della magistratura di sinistra, e dell’incerto passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, all’ombra delle decisioni prese sul Britannia e con personaggi come Monti e Draghi già pronti a fare il loro brutto lavoro in conto terzi ai danni della nostra economia e degl’interessi vitali della nazione. Più che un manuale di storia, in verità, si direbbe un manuale di tuttologia: con buona pace delle differenze disciplinari, non solo di contenuti, ma anche di metodi e di linguaggio, il primo volume, intitolato Dalla preistoria a Roma, incomincia in realtà non dalla preistoria, ma… dalla nascita (sic) della Terra, cui segue la formazione dei continenti e degli oceani (tettonica a zolle), la comparsa delle prime forme di vita secondo il più vieto e rigoroso schema evoluzionistico darwiniano, e infine il processo di ominazione, dall’australopiteco all’homo abilis, il tutto corredato dagl’immancabili disegni della giraffa che allunga il collo per nutrirsi delle foglie degli alberi, e soprattutto dell’australopiteco che pian piano si raddrizza, cresce di statura e di belle proporzioni, e alla fine si trasforma nell’homo sapiens sapiens, con tanto di arco e frecce; e a "spiegazione" di tutta questa bellissima storia, l’affermazione che scimmie antropomorfe e ominidi offrono il modello di una probabile evoluzione parallela. Che tutto questo sia un po’ discutibile, ma soprattutto che non competa affatto alla storia, ma ad altre discipline scientifiche, nemmeno l’ombra di un sia pur vago sospetto; né si capisce per quale miracolo un professore di storia della scuola media, che mai ha sostenuto nel suo corso di laurea un solo esame di astronomia, cosmologia, geologia, mineralogia, paleontologia, climatologia, zoologia, botanica o anatomia, dovrebbe essere in grado di spiegare ai suoi studenti delle cose che non sa affatto e che richiederebbero degli studi specifici o quantomeno una seria preparazione di base. Quasi certamente, la stragrande maggioranza dei professori che hanno adottato quel testo o lo hanno trovato in adozione, o hanno saltato quella prima parte, oppure si son limitati a farla leggere in classe, così come stava, senza aggiungere nulla di loro e senza saper rispondere appropriatamente ad eventuali domande dei ragazzi. Forse le avranno dirottate verso il collega di scienze naturali; in tutti i casi, una pessima partenza, fondata sull’approssimazione e l’incompetenza, e più ancora sulla presunzione di spiegare ai giovani delle cose che l’adulto non conosce e sulle quali verosimilmente non ha mai riflettuto quanto è necessario per poterle chiarire ad altri. Gli studenti, in ogni caso, che hanno le antenne e registrano più cose, nel profondo, di quante sappia o creda la loro stessa intelligenza cosciente, avranno preso buona nota di questo fatto interessante: non è necessario conoscere bene una cosa, né avervi ragionato sopra, ma è sufficiente affidarsi a ciò che sta scritto su un libro, prenderlo come verità rivelata e ripetere le sue parole: il bel voto è assicurato, altro non viene preteso dalla scuola. A proposito del declino dell’Italia: il declino è iniziato da qui, da questo conformismo intellettuale, da questa abitudine all’istinto pecorile. Perché una società, per affrontare le sfide del futuro, deve avere almeno una parte dei suoi cittadini, la futura classe dirigente, che sappia cosa significa pensare con la propria testa, immaginare delle soluzioni, cercare delle risposte, e non semplicemente ripetere a pappagallo qualcosa che altri dicono o scrivono, ma che non è stata verificata per nulla.
E ora veniamo a un esempio specifico sul quale vogliamo soffermarci: le persecuzioni anticristiane. Ecco cosa si può leggere nell’approfondimento intitolato Quanto sono vere le persecuzioni? (da: Società e storia, Milano, Bruno Mondadori Editore, 1994, vol. 2, Dall’Impero ai Comuni, p. 133; impossibile sapere chi ne sia l’autore, già è difficile capire chi siano gli autori dell’opera):
Le persecuzioni anticristiane sono meno frequenti e feroci di quanto comunemente si creda; esse si alternano a lunghi periodi di tranquillità e non sempre si estendono a tutto il territorio imperiale. Anche la famosa persecuzione di Decio del 250 può forse essere ridimensionata; così paiono indicare fonti nuove e diverse da quelle degli scrittori dell’epoca.
Gli scrittori cristiani dei primi secoli hanno divulgato l’immagine di un governo imperiale non solo ostile al cristianesimo, ma anche deciso a estirparlo. I documenti in proposito sono spesso inconfutabili, anche se c’è, presso questi scrittori, una tendenza a esagerare termini del problema, così da trarne ampio materiale per le pie leggende dei santi martiri (in greco "martyr" significa "testimone").
Del resto è difficile districare verità storica e mito, perché i documenti attendibili sono pochi e ancora meno conosciute sono le testimonianze di parte pagana.
Un caso meglio noto è quello della persecuzione che l’imperatore Decio ordinò nel 250. Eusebio di Cesarea (263 ca.-339), vescovo e autore della "Storia ecclesiastica", racconta che Decio emanò un editto che intimava a tutti gli abitanti dell’impero d’implorare gli dei ufficiali dello stato romano, affinché assicurassero la prosperità dell’impero; furono dunque istituite delle commissioni di controllo per sorvegliare l’effettuazione del rito e redigere un certificato ("libellus"), che andava poi presentato alle autorità. Chi si rifiutava veniva gettato in prigione e là, frequentemente, torturato. Eusebio è però una fonte non sempre attendibile: sappiamo che fissò a dieci il numero delle persecuzioni anticristiane per analogia con le dieci piaghe d’Egitto, quelle che, secondo la Bibbia, Dio mandò contro il faraone per indurlo a far partire gli ebrei. Allo stesso modo, il preteso editto che Nerone avrebbe emesso nel 64 (l’"Institutum neronianum") è una finzione letteraria elaborata per la prima volta dallo scrittore cristiano Tertulliano, all’inizio del III secolo.
Quanto a Decio, gli studiosi si domandano il vero scopo della sua iniziativa: era finalizzata a valutar esattamente il numero degli aderenti al cristianesimo, oppure al ritorno di massa all’antica religione di stato? Il successo innegabile del provvedimento farebbe pensare a questa seconda ipotesi, visto che per salvarsi molti cristiani sacrificarono effettivamente agli dei, mentre altri ottennero un certificato corrompendo le commissioni.
Il punto è che i papiri egiziani ci hanno conservato 46 di questi "libelli", è così siamo infornati con maggiore ampiezza su come andarono le cose. Il sacrificio agli dei era richiesto anche ai pagani, come prova il certificato ottenuto da una sacerdotessa del dio-coccodrillo. Le commissioni non erano poi troppo severe, se una persona poteva sacrificare in nome di un’altra; e da altra fonte siamo infornati che a Roma alcuni che perseveravano nella loro fede furono rilasciati dal carcere.
Tra costoro c’era un tale Celerino, il cui coraggio impressionò a tal punto l’imperatore da indurlo a ridonargli subito la libertà.
L’editto di Decio fu insomma un censimento su vastissima sala della lealtà verso lo stato, e non una misura diretta in prima istanza contro i cristiani; sarà col suo successore Valeriano che la persecuzione diverrà apertamente anticristiana.
Che dire di questa pagina di storia d’un manuale destinato ai giovani fra i quattordici e i sedici anni?
L’atteggiamento mentale di chi l’ha scritta sembra quello di Voltaire o di Gibbon: qualcosa che appartiene alla polemica razionalista e antireligiosa di tre secoli fa, quando gli enciclopedisti contavano avaramente le vittime delle persecuzioni per sostenere che dopotutto non era successo nulla di grave, e del resto i cristiani se l’erano cercata, col loro rifiuto di adeguarsi alle leggi e comportarsi da bravi cittadini. Lo stesso senso della disciplina, lo stesso imperativo di obbedire alle leggi e stare alle consegne, anima oggi quella stessa cultura progressista che trent’anni fa offriva agli studenti manuali di questo genere: allora era per la prosperità dell’impero romano, oggi è per la difesa della salute contro la mortale minaccia del Covid-19, in entrambi i casi si fa appello al senso di responsabilità della gente e si sottintende che se qualcuno non vuol collaborare, se ha dei dubbi, è un negazionista, un disfattista, un individuo socialmente pericoloso. Si chiama statalismo: vecchio vizio dei progressisti che non vuol mai morire, di qualunque slogan si ammanti: ieri della liberté, egalité e fraternità, oggi della difesa della nuda vita messa a rischio dall’indisciplina e dalla incoscienza dei ragazzi che la sera vogliono uscire e dalle famiglie che vorrebbero consumare un pranzo domenicale in trattoria o magari, horribile dictu, farsi qualche giorno di vacanza al mare. Ma almeno gli imperatori romani, quando ordinavano ai cittadini di fare sacrifici agli dei, avevano di mira ciò che ritenevano il bene comune o quel che oggi si chiamerebbe interesse nazionale; mentre i governanti attuali servono interessi stranieri, svendono e tradiscono il proprio Paese e si fanno schermo di un’emergenza sanitaria che non c’è, mentendo e sapendo di mentire.
Ma vediamo più da vicino cosa dicono gli autori della pagina citata. Per "dimostrare" che le persecuzioni anticristiane furono meno frequenti e meno feroci di quanto comunemente si creda, prendono in esame una sola di esse, quella di Decio del 250. Perché proprio quella e solo quella? Forse perché ritengono di poterla "smontare" più facilmente; non spiegano però come dalla demitizzazione di un episodio si possa demitizzare una vicenda che copre quasi tre secoli. Ma infine cos’hanno dimostrato? Dopo aver premesso che gli scrittori cristiani hanno la tendenza a esagerare il racconto delle persecuzioni, anzi a esagerare i termini del problema (perché evidentemente si tratta solo di un problema; chissà se userebbero questa espressione per parlare delle persecuzioni antisemite nella Germania nazista) e che lo fanno per trarne materiali coi quali fabbricare le pie leggende dei santi martiri, anzi più che veri martiri dei testimoni, come attesta l’etimologia greca della parola martire (che colpo di genio!), passano a confutare la gravità della persecuzione di Decio. Per prima cosa osservano che la fonte principale è la Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, un autore notoriamente poco attendibile, visto che ha scelto arbitrariamente il numero dieci per le persecuzioni, solo per poter stabilire un parallelo con le dieci piaghe che colpirono l’Egitto ai tempi di Mosè. Andiamo, non è già questo un indizio di faziosità e superstizione? Un esempio di ciò che gli autori intendono per obiettività e serietà della ricerca storica è offerto da quel che dicono dell’Institutum neronianum: un falso, un apocrifo fabbricato da Tertulliano per denigrare quel simpatico imperatore. In realtà su di esso esiste un discussione, fra gli storici e i filologi, che non si può considerare definitivamente risolta; ma tant’è: i nostri autori dicono che quel documento è un falso, con la stessa sicurezza con cui hanno detto che l’australopiteco si è gradualmente trasformato in un essere umano: e dunque perché non dovremmo fidarci della loro parola? Ma il punto di forza per smontare le ben note esagerazioni degli scrittori cristiani viene adesso, quando si dice che possediamo molti libelli rilasciati dalle commissioni imperiali, e da essi risulta, chi l’avrebbe mai detto, che anche i pagani erano chiamati a sacrificare (bella la citazione della sacerdotessa del dio coccodrillo, molto folkloristica) e i commissari erano facilmente corruttibili, per cui bastava comprare un certificato anche senza bisogno di eseguire il sacrificio, o mandare un amico al posto proprio, come i vigili odierni che fanno timbrare il cartellino al collega; per non dire che a volte i giudici erano così magnanimi da non insistere con le loro richieste e rilasciare gli arrestati senza far loro ulteriori pressioni. Insomma, un quadretto quasi idillico: commissari umani e provvedimenti miti: non una vera persecuzione, ma un censimento sulla fedeltà della popolazione. Peccato che il quadretto vada in pezzi con la tranquilla ammissione che il successore di Decio, Valeriano, scatenò una persecuzione vera, con tutti i crismi. Perciò, alla fine, cos’hanno dimostrato i nostri autori? Che le persecuzioni non ci sono quasi state e che, come suggerisce il titolo, parlare di persecuzioni è perfino eccessivo? Ma lo hanno dimostrato davvero, o l’hanno semplicemente affermato, offrendo per questo drastico ridimensionamento prove assai tenui, per non dir nulle? La spocchia ideologica che sorregge tutto l’impianto argomentativo è così evidente che la sola cosa che se ne ricava è che chi rappresenta la cultura dominante, in questo caso laicista e progressista e dunque più o meno apertamente anticristiana, non si sente in dovere di fornire una seria documentazione di ciò che afferma: è sufficiente che lo affermi, certo che nessuno oserà contraddirlo. Chi oserà dire che il modo di fare storia di quei signori è antistorico perché viziato dai loro pregiudizi? Possono permetterselo perché la cultura cristiana è ormai debolissima, arrendevole e auto-colpevolizzante. Si fosse trattato di altre persecuzioni subite da altri gruppi, non avrebbero osato. Quando si parla della Shoah, guai a chi non concorda sul numero canonico dei Sei Milioni. Ma per i martiri cristiani è un’altra faccenda. E intanto, oggi, bruciano le chiese, ammazzano i cristiani, ma per la cultura dominante tutto va bene.
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