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Che cosa ci tiene lontani da ciò che ci salverebbe?

Il minimo che si possa dire del momento storico-culturale che stiamo vivendo è che si assiste a un massiccio ritorno del sacro, o quantomeno a un massiccio ritorno di domanda del sacro. Delusa da decenni di cultura materialista, laicista, ateista, molta gente si sente abbandonata in questo momento di angoscia e si accorge che la scienza non è poi quella dispensatrice di certezze e di verità che era stata fin qui rappresentata, perciò torna a rivolgersi alla spiritualità, al sacro, alla trascendenza. In effetti il sacro e la nostalgia del sacro non sono affatto la stessa cosa, tuttavia il secondo è senza dubbio la premessa per procedere alla riconquista del primo. In apparenza, dunque, si direbbe che vi siano tutte le condizioni necessarie affinché si verifichi un ritorno alla tradizione e quindi alla religione dei padri, il cattolicesimo; eppure ciò non accade, se non in un numero piccolissimo di casi, cioè in misura quasi insignificante. Perché? Che cosa trattiene così tante persone dal compiere un passo che si direbbe assolutamente logico e naturale, come lo è l’atto del bere da parte di un assetato? Eppure l’acqua scorre lì, freschissima, invitante, e il luogo è un deserto infuocato: quale mai sortilegio impedisce che quanti sono torturati da una sete terribile, le labbra spaccate, la lingua gonfia, si accostino all’acqua salvifica e vi spengano la loro insopportabile arsura? Questa è la domanda che dobbiamo porci; e se la devono porre in primo luogo i cattolici, o quanti, pur non avendo il dono della fede, vedono tuttavia e riconoscono nel cattolicesimo la dottrina più umana, e la visione del mondo che più di ogni altra si accorda con la ragione naturale e con quell’istintivo senso della vita, della sua bontà, cui ciascuno, per la propria parte, è chiamato, che qualsiasi persona spiritualmente sana prova e non può non provare per il fatto stesso di esistere, di porsi delle domande, di avvertire in sé un richiamo e delle aspirazioni di ordine superiore. Ed è una domanda imperiosa, che esige la massima onestà intellettuale e non ammette ritardi o tergiversazioni, né una risposta reticente, timida e incompleta.

A noi pare che si debba innanzitutto partire da un dato generazionale. Chi è nato prima del Concilio Vaticano II e ha fatto in tempo, da bambino, a imparare il catechismo quello di Pio X, a servire alla santa Messa di Pio V, e ricevere la Prima Comunione e la Cresima innanzi la rivoluzione liturgica protestante e massonica del 1969, ebbene costui sa, o almeno sapeva, perché forse anche lui se l’è scordato, che cos’è il cattolicesimo. Non diciamo il cattolicesimo vero, perché ciò presuppone che esista anche un cattolicesimo falso; ma le parole hanno la loro importanza, perché esprimono i nostri pensieri, ma al tempo stesso li modellano e li definiscono, e quindi non si dovrebbe parlare di cattolicesimo falso, si deve parlare piuttosto di non cattolicesimo, di anticattolicesimo o di contro-cattolicesimo. Dunque, chi si è accostato ai primi Sacramenti prima del 1965, o almeno prima del 1969, sa che cos’è cattolico e cosa non lo è; sa che cos’è la Messa e che cosa non lo è; sa che cosa è il Vangelo di Gesù Cristo, chi è il Papa, cos’è il clero, cos’è la Chiesa e qual è la sua ragione di esistere. In teoria, dunque, uno come il signor Jorge Mario Bergoglio, classe 1936 e dunque ottantaquattrenne, ordinato sacerdote nel 1969, tutte queste cose le dovrebbe conoscere benissimo, e infatti senza dubbio le conosce. Bisogna perciò concludere che quel che sta facendo, sin dal momento della sua illegittima elezione al pontificato, non lo fa per ignoranza, faciloneria o presunzione, ma lo fa perché lo vuol fare, o meglio perché è stato eletto col preciso mandato di farlo, da poteri che sono molto al di sopra di lui e che, anche all’interno del clero cattolico, lo tengono al guinzaglio come il padrone tiene al guinzaglio il suo cagnolino, e lo punisce se non si mostra obbediente, e lo tiene in punizione fino a quando si decide a fare ciò che lui vuole. E lo stesso discorso vale per tutti i cardinali, i quali hanno suppergiù la stessa età; per tutti i papi che si sono succeduti dal Concilio; e per tutti i vescovi, i sacerdoti, i religiosi che si sono prontamente adeguati al radicale cambio di passo e a ogni atto della rivoluzione conciliare, iniziando dalla falsa libertà religiosa, dal falso ecumenismo e dal falso dialogo interreligioso.

Ora, il problema fondamentale è proprio questo: che ormai la maggioranza dei cattolici non è realmente cattolica, perché ha ricevuto il "cattolicesimo" da un clero che ha consapevolmente o inconsapevolmente ripudiato alcuni aspetti essenziali della dottrina, che dubita della divinità di Cristo e perciò anche della sua Presenza Reale nell’Eucarestia, che riduce i Sacramenti a livello di atti sostanzialmente umani; e quindi se tante perosne sono arrivate a provare insofferenza, delusone e perfino disgusto di fronte alle profanazioni sempre più evidenti, alla liturgia sempre più contraffatta, alla dottrina più che mai protestantizzata e secolarizzata, non sanno che esiste un altro modo di essere cattolici, di rapportarsi a Dio, di concepire e di vivere la realtà della Chiesa, di cui tutte le anime battezzate sono parte e non solamente il clero. E allora tutta quella gente che cerca confusamente una risposta al proprio malessere, e al malessere provocato dal materialismo e dal laicismo, si rivolge alle altre (false) religioni, specialmente orientali, le idealizza, le apprende superficialmente da qualche lettura estemporanea o da qualche conoscenza occasionale, e finisce per gettarsi nelle braccia di un buddismo fai da te, o di un taoismo casereccio, o aderisce a qualche setta pseudo orientale, gli Hare Krishna, per esempio, allontanandosi ancor più dalle radici della propria civiltà e della propria tradizione e naufragando su lidi sconosciuti, ove trova bensì l’illusione di un contatto più vero e immediato col divino, o, nel caso del buddismo, con la parte divina di se stesso, ma sacrifica del tutto i diritti della sana ragione naturale e si arrende a un fideismo più o meno cieco, che è la versione anticonformista di quel bigottismo tanto deprecato da quelli che si sono stancati della fede cristiana. Anche il successo dei Testimoni di Geova ha a che fare con la stanchezza del cattolicesimo e con il rifiuto di una pratica religiosa che non soddisfa, perché se ne intuisce la superficialità, l’esteriorità, la scarsissima convinzione, cose tutte ora pienamente confermate dal contegno di tutti quei vescovi e quei preti che sanno solo raccomandare ai fedeli la stretta osservanza delle norme igieniche anti-Covid e non parlano praticamente più di Dio, tanto meno di Gesù Cristo, quasi che la preghiera e la Comunione con Dio fossero qualcosa di secondario, e forse di puerile, di fronte alle dure ma necessarie misure di ordine igienico e sanitario da adottare, quelle sì ispirate da una ragione adulta, e perciò riflesso di una mentalità matura e responsabile.

Si aggiunga che molti cattolici, quelli che negli anni del post-concilio avevano l’età di frequentare il catechismo e si preparavano alla prima Comunione e alla Cresima, hanno conosciuto la loro fede attraverso dei sacerdoti che spesso e volentieri erano imbevuti di modernismo, di teologia della liberazione, di sindacalismo esasperato; da preti operai o preti alla don Lorenzo Milani, che impiegavano metà delle loro lezioni a parlar male del cattolicesimo di un tempo, ossia di prima del Concilio, e per dare a intendere che solo adesso, con loro, stava nascendo il cattolicesimo vero, o che stava rinascendo dopo quasi duemila anni di oblio, provocato da un clero reazionario e alleato coi potenti della terra; e che quei cattolici, crescendo, non si sono mai liberati dalla prima impressione ricevuta da quelle figure di sacerdoti, da quei discorsi, ad esempio da ciò che diceva David Maria Turoldo, no all’abrogazione del divorzio e anche no all’abrogazione dell’aborto (benché ipocritamente precisasse che lui, quanto a sé, era contrario sia all’una che all’altra cosa, ma che, per rispetto di quelli che la pensavano altrimenti, ecc, ecc.: ecco un prefetto esempio di falso dialogo e di falsa libertà di coscienza). Sappiamo quanto è importante, per un bambino o per un adolescente, il primo impatto con una cosa nuova, o la prima impressione ricevuta da un ambiente, da un gruppo di persone, da una certa situazione: il bambino e, in certa misura, anche l’adolescente, non si lasciano impressionare tanto dalla razionalità, quanto dal sentimento. Perciò un professore di matematica il quale, oltre a conoscere bene la propria materia, la sappia anche insegnare bene, e che soprattutto sappia mettere nel suo insegnamento tutta la propria passione, che sappia coinvolgere gli studenti, che li sappia affascinare con la bellezza di quanto viene loro spiegando, avrà delle ottime possibilità di far breccia nel loro animo e di sviluppare in essi le massime potenzialità rispetto a quel determinato ambito disciplinare. Il giovane non fa una netta differenza fra la matematica e il professore di matematica: se il professore lo conquista, anche la matematica finirà per conquistarlo; se il professore non gli piace, perché il suo modo di porsi lo urta, lo allontana, lo amareggia con sprezzanti e continui giudizi negativi su di lui, anche la matematica gli risulterà sgradevole; e quand’anche quel ragazzo avesse delle ottime potenzialità di tipo logico-matematico, può darsi che rimarranno allo stato latente e che, non sviluppandosi, lo porteranno a registrare una serie di insuccessi che il professore interpreterà puntualmente non come segnali della propria inadeguatezza didattica e psicologica, ma del giudizio che dentro di sé aveva formulato, sin dall’inizio, a proposito di quel certo studente.

Ebbene: con l’educazione religiosa è esattamente la stessa cosa. Vi sono delle persone che hanno provato fastidio e istintiva diffidenza, a volte fin da subito, a volte a distanza di anni, per il fatto di aver ricevuto a suo tempo le prime e più importanti nozioni sulla dottrina cattolica da un sacerdote umano, troppo umano, come direbbe Nietzsche; da uno che non faceva mai respirare ai suoi alunni il profumo dell’infinito; che non li entusiasmava mai parlando di Dio, della grazia e della vita eterna, ma che riempiva loro la testa con le formule della nuova teologia postconciliare, dalle quali trasuda un’idea religiosa immanente, materiale, tutta proiettata verso l’impegno sociale, o addirittura politico; tutta protesa a "correggere" le cose sbagliate di quaggiù mediante l’azione diretta, e mai attraverso la via lenta e sicura della conversione individuale, dell’abbandono dell’anima a Dio e dell’amore rivolto al prossimo attraverso la mediazione, e con l’aiuto, dell’amore del Padre celeste. Inoltre può essere accaduto che quei bambini abbiano percepito un’intima scollatura fra le parole del Vangelo che quel sacerdote leggeva e spiegava loro, e lo stile di vita, il modo abituale di porsi, di agire e perfino di parlare di costui. Perché tanti sacerdoti, in seminario, abbiano appreso una maniera d’intendere il cattolicesimo che è solo di tipo sociale, democratica, moderna e modernista, e perché vi abbiano contratto il morbo dell’odio inconscio, ma talvolta anche cosciente, del Vangelo, visto come la pesante eredità dei quei malvagi uomini bianchi che, con le crociate, il colonialismo, l’imperialismo e le guerre mondiali, hanno meritato il disprezzo del genere umano, e in fondo farebbero bene a rincantucciarsi in qualche angolo buio per nascondere la loro vergogna, e smetterla di predicare Gesù Cristo come hanno fatto i loro cattivissimi padri, questa è una cosa che richiederebbe uno studio a parte, ma che certo ha a che fare con il progressivo "sorpasso" numerico del clero di origine africana, asiatica e latino-americana rispetto a quello di origine europea e nordamericana. Sta di fatto che così è accaduto; e che ai bambini e ai ragazzi che sono stati istruiti da quel tipo di sacerdoti non è sfuggita la nota segreta di auto-disprezzo e auto-mortificazione che si celava fra le pieghe di tutto quel gran parlare di povertà, ingiustizia e sfruttamento da eliminare, di rivendicazioni sociali da affermare, di diritti dei popoli e delle minoranze da conquistare. Se poi i cattolici che oggi sono adulti hanno appreso il catechismo, o se hanno frequentato, a scuola, l’ora di religione, non attraverso l’opera di un sacerdote, ma di qualche laico altrettanto progressista e probabilmente meno preparato e ancor più ignorante di dottrina cattolica e storia della Chiesa, allora gli effetti a breve o a lungo termine possono essere stati la delusione o l’indifferenza, e da quelle prime impressioni non si sono mai più liberati. Non si sottovaluti l’istintiva capacità di un bambino di cogliere la coerenza dell’adulto che gli sta di fronte; egli ha un vero fiuto per ciò, e sente da lontano se il prete che gli parla di Dio ci crede davvero, o se crede all’azione umana quale soluzione di tutti i problemi umani, e da Dio vuole solo una sorta di approvazione a posteriori.

Questa, crediamo, è le ragione principale per cui tanti cattolici, delusi dalla mancanza di spiritualità riscontrata nel clero, e ultimamente addirittura disgustati da un sedicente papa che ha distrutto tutti i dogmi, uno dopo l’altro, ma ha introdotto al loro posto il nuovo dogma della vaccinazione come obbligo morale per tutti, invece di scavare alla ricerca del cattolicesimo così come è realmente nel Vangelo e come è sempre stato tramandato, fino alla drammatica rivoluzione del Concilio, guardano altrove e inseguono improbabili modelli di "spiritualità" alternativa, purché siano quanto di più lontano possibile, in ogni senso, compreso quello geografico, dalla religione dei loro padri. Eppure, a tutte queste persone deluse e insofferenti, vorremmo dire di non fermarsi in superficie; di dare spessore e profondità alla loro comprensibile insofferenza: d’ignorare le eresie e blasfemie del clero divenuto apostatico, e ricordare che la Chiesa di Gesù esiste ed è indistruttibile, secondo la sua promessa; e che in essa si trovano una tale bellezza, una tale verità, una così intensa realizzazione esistenziale che nulla di più meraviglioso è immaginabile per appagare la sete umana di verità e pace.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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