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La santa Messa è di Gesù Cristo, non del clero

Il sacerdote è il celebrante della santa Messa, ma non ne è in alcun modo il padrone; tanto meno lo sono il vescovo di quella certa diocesi o il papa, che quest’ultimo sia legittimo o illegittimo. La santa Messa è un evento soprannaturale che ruota attorno al Sacrificio Eucaristico: che è un miracolo, se per caso qualcuno se ne fosse scordato. Che quel pane e quel vino si trasformino nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo, è un miracolo che rinnova l’altro miracolo, quello della Morte e Resurrezione di Gesù Cristo, del quale è, in un certo senso, la ripresa e il rinnovamento. È ben vero che, prima di celebrare la Consacrazione, il sacerdote recita la formula: in unione con il nostro papa e il nostro vescovo, e qui pronuncia i nomi di quel papa e di quel vescovo che, in quel dato momento, occupano le loro rispettive sedi. La validità della santa Messa, però, non discende affatto da quella formula, così come da essa non deriva che abbia luogo la transustanziazione, cioè la trasformazione miracolosa del Pane nel Corpo, e del vino nel Sangue di Cristo. Chi credesse questo, avrebbe una concezione magica dei Misteri cristiani; mentre sono misteri non nel senso della magia, ma nel senso del soprannaturale, che è la quintessenza del fatto religioso e, nello specifico, della Verità cristiana. Se non vi fosse il Mistero, il cristianesimo sarebbe una filosofia, o una dottrina, o una concezione puramente umana: invece esso è la codificazione di una Rivelazione che è per sua intrinseca natura soprannaturale, e quindi irriducibile a una formula, o a una serie di formule, meramente intellettive. Chi pensa che il cristianesimo sia solo una filosofia ha sbagliato indirizzo: perché il cristianesimo è anche una filosofia, ma è, prima di ogni altra cosa, la Rivelazione di Gesù Cristo, il Verbo incarnato, agli uomini di buona volontà. Vale a dire non a tutti gli uomini indiscriminatamente (altro che Fratelli tutti…) ma a quegli uomini che sono disposti ad accoglierla, e ad essi soltanto.

Ma venivamo senz’altro al nocciolo della questione. Semplificando un po’ (ma non troppo), poiché ci rivolgiamo non ai professori di teologia, che di guai ne hanno combinati abbastanza, ma alla gente semplice e ai fedeli comuni, possiamo dire che il nocciolo della questione risiede nella partecipazione o meno ai Sacramenti secondo il rito della Chiesa cattolica, rito che comprende, nella celebrazione della santa Messa, la formula una cum il papa regnante. Lasciamo perdere il fatto che la questione dell’una cum riguarda la santa Messa, e non tutto l’insieme della liturgia cattolica. Secondo i sostenitori della illegittimità di Bergoglio come papa e della sola legittimità di Benedetto XVI, la questione è molto semplice: Bergoglio non è papa, dunque la Messa celebrata una cum lui non è valida, anzi la consumazione dell’Eucarestia configura un vero e proprio sacrilegio, almeno da parte di quanti sanno, o intuiscono, che Bergoglio non è il legittimo successore di Pietro. Pertanto, o si trova un sacerdote che celebri la santa Messa una cum Benedetto XVI, oppure bisogna astenersi dal partecipare alla Messa: tertiun non datur.

Ahimè, siamo profondamente convinti che questa impostazione è alquanto semplicistica e del tutto inadeguata a dare ragione di quel che sta accadendo nella Chiesa, non da sette anni a questa parte, ma da almeno sessanta; senza contare che per la sua natura ultimativa, rigida e senza sfumature, che descrive la realtà in termini di bianco e nero, serve solo ad aggravare l’angoscia e la confusione che già regnano nel cuore dei fedeli a causa di molti e molti altri fattori ed eventi. Certo, sarebbe bello poter credere che la deviazione della Chiesa cattolica dalla vera dottrina di Gesù Cristo, dal vero Magistero e dalla Tradizione, ha avuto inizio nel marzo del 2013, perché ciò scuserebbe tante cose: prima di tutto, scuserebbe la nostra inerzia, la nostra sonnolenza, la nostra insufficienza di credenti. La realtà è che una congiura massonica dei vescovi nominalmente cattolici è stata attuata con successo negli anni 1962-65, e prima ancora, a livello di collegio cardinalizio, con il concave che ha proclamato papa Giovanni XXIII, laddove il papa designato era stato, in un primo tempo, il cardinale Giuseppe Siri, con il nome di Gregorio XVII. Se questo è vero, e noi crediamo che lo sia, allora tutti i papi dalla morte di Pio XII in poi, sono da considerarsi illegittimi, se non sotto il profilo del diritti canonico, sotto quello della fede. In questo senso, concordiamo sostanzialmente con la valutazione fatta a suo tempo dal padre domenicano Michele Guérard de Lauriers e formalizzata nella Tesi di Cassiciacum del 1978-79, secondo la quale dal 7 dicembre 1965, data di approvazione della dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, che contrasta frontalmente col Magistero della Chiesa preconciliare, la sede papale è da considerarsi materialmente occupata, ma formalmente vacante, perché tutti i papi da Paolo VI in poi, avendo accettato pienamente i documenti del Concilio, di fatto si pongono al di fuori dell’ortodossia. A noi sembra anzi che all’elenco dei papi non ortodossi debba senz’altro aggiungersi Giovanni XXIII, sia per le circostanze della sua elezione, sia soprattutto per la sua volontà di convocare a ogni costo un concilio che il suo processore, Pio XII, aveva rifiutato di convocare ben sapendo quello che sarebbe successo, stante la penetrazione della massoneria nella gerarchia ecclesiastica: convocazione che oggi, in prospettiva storica, appare funzionale ai disegni della massoneria e che indica chiaramente che Giovanni, benché vecchio e malato, fu eletto proprio per prendere quella iniziativa, il cui fine era scardinare "dolcemente" la Tradizione, stravolgere la liturgia e, con la scusa del rinnovamento pastorale, di fatto sovvertire la dottrina stessa. Il tutto in funzione della rivincita neomodernista contro la Pascendi di Pio X e soprattutto a beneficio dei rabbini del B’nai B’rtith, desiderosi di porre, per il tramite del cardinale Bea, la Chiesa cattolica in stato di scacco permanente da parte dell’ebraismo.

In particolare, senza ripetere quanto già scritto in una lunga serie di articoli, vogliamo ricordare che:

1) Giovanni XXIII, da giovane, era intimo amico di Ernesto Buonaiuti, il capofila dei modernisti italiani, autore di atroci attacchi contro Pio X nelle Lettere di un prete modernista (anonime, ma sue), amicizia che era anche comunanza d’idee e che egli non ha mai smentito o rinnegato neppure in seguito e neppure dopo la scomunica maggiore toccata al Buonaiuti. Il modernismo è stato formalmente condannato col decreto Lamentabili e con l’enciclica Pascendi Dominci gregis. Inoltre Giovanni XXIII (che, non lo si scordi mai, volle assumere il nome Giovanni e la numerazione di XXIII, anche se nel XIV secolo ci fu un antipapa con quel nome e quel numero, talché alcuni cardinali avevano suggerito che egli adottasse il nome di Giovanni XXIV) volle insabbiare lo scandalo legato ai casi di pedofilia nel clero; autorizzò o permise la più grave delle persecuzioni subite fino a quel momento da san Pio da Pietrelcina; approvò il criminale accordo di Metz del 13 agosto 1962, che impegnava i Padri conciliari e non esprimersi contro il comunismo e in pratica abbandonava i cattolici dei Pesi comunisti alle peggiori persecuzioni da parte di quei regimi, il tutto in nome di un "dialogo" che di fatto fu un’a resa ipocrita e vile. Inoltre era affiliato da molti anni alla Massoneria, secondo la pericolosa inchiesta condotta da don Luigi Villa: e la massoneria è stata ripetutamente scomunicata dai pontefici e dichiarata incompatibile con la professione di fede.

2) Paolo VI condivideva le idee moderniste del suo predecessore, del quale era amico al lontano 1925; come lui fece del suo meglio per insabbiare i casi di pedofilia nei seminari e nei collegi cattolici; era lui stesso un omosessuale notorio, schedato per le sue pratiche dalla polizia fascista sin dagli anni in cui era un giovane sacerdote, ed ebbe diversi amanti, tanto laici che ecclesiastici; era massone e volle che fossero posto i simboli massonici sia sul portale della basilica di San Pietro, sia sulla tomba di sua madre, alla quale era molto legato, cose documentate da don Luigi Villa e consultabili sulla rivista da questi fondata, Chiesa viva; donò il suo anello al primate scismatico Ramsey. Firmando documenti come la Nostra aetate e la Dignitatis humanae, si pose fuori e contro il magistero perenne della Chiesa riguardo alle questioni importantissime dei rapporti con l’ebraismo e della libertà religiosa. Inoltre affidò a un arcivescovo massone, Annibale Bugnini, la cosiddetta riforma liturgica, la quale, oltre a sconciare decine di migliaia di chiese con la costruzione dei nuovi altari, partorì nel 1969 la Messa novus ordo, grazie alla quale la santa Messa di Pio V venne sostituita, quasi da un giorno all’altro, con una messa semiprotestante — quella attuale -, con divieto di celebrare la "vecchia", salvo specifiche autorizzazioni; e ciò nonostante che la Messa vetus ordo non sia mai stata dichiarata formalmente decaduta ed invalida. La canonizzazione di Paolo VI da parte di Bergoglio, il 14 ottobre 2018, è perciò una beffa sacrilega.

3) Giovanni Paolo I ovviamente non ebbe il tempo di mostrare cosa avrebbe fatto da pontefice, tuttavia esistono ampie prove, da noi a suo tempo documentate, che egli approvava pienamente la "svolta" del Concilio Vaticano II e quindi si poneva in discontinuità consapevole col Magistero di sempre sulle questioni centrali della libertà religiosa, dell’ecumenismo e del cosiddetto dialogo interreligioso.

4) Giovanni Paolo II condivideva interamente i cambiamenti apportati dal Vaticano II, cui aveva partecipato nell’ala progressista, segnalandosi personalmente nella stesura di due documenti fra i più importanti e più contrari al Magistero immutabile, la Dignitatis humanae e la Gaudium et Spes, quest’ultimo dedicato al rapporto della Chiesa con il mondo moderno. Fu strenuo sostenitore di uno sregolato "dialogo" interreligioso e indisse la Giornata mondiale di preghiera ad Assisi, che fu di scandalo per molti buoni cattolici. Fu lui a coniare l’espressione fratelli maggiori per indicare gli ebrei e fece ulteriori, enormi concessioni al giudaismo, ammettendo colpe inesistenti da parte della Chiesa cattolica nei suoi confronti. Come se ciò non bastasse, baciò il Corano, nel quale si nega esplicitamente la divinità di Cristo. Ancora, fu lui a sostenere formalmente, per la prima volta, l’intatta validità dell’Antica Alleanza fra Dio e il popolo ebreo, che vanifica del tutto il senso della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo e rende superflua la conversione al cattolicesimo. Sotto il suo pontificato le finanze vaticane furono contaminate da oscuri rapporti con banchieri massoni, mafiosi e criminali, che gettarono il discredito su tutta l’istituzione ecclesiastica; e protesse il pessimo cardinale Marcinkus, regista di tali operazioni, evitandogli l’arresto e l’interrogatorio da parte della magistratura italiana. Fu il creatore di un vero e proprio culto della personalità, ponendo le prime pietre dell’attuale papolatria, specialmente attraverso le grandiose Giornate mondiali della gioventù, spesso degenerate in disordini deplorevoli da parte dei cosiddetti Papa boys.

5) Benedetto XVI fu anch’egli, da giovane, un fervente sostenitore dell’ala progressista al Concilio Vaticano II e in seguito, pur ammettendo che nel post-concilio vi sono stati degli eccessi e delle interpretazioni erronee, ha sempre negato che il Concilio stesso abbia rotto con la continuità magisteriale. Raffinato teologo, nelle sue lezioni da professore e nelle sue opere ha di fatto avvalorato quel relativismo che a parole, da pontefice, ha poi criticato nei documenti ufficiali. A lui, come al suo predecessore, spetta inoltre la responsabilità di aver promosso nei posti chiave dei personaggi dall’ortodossia tutt’altro che limpida, e di aver dato spazio a personaggi come Enzo Bianchi, che, pur essendo un laico, è stato fatto oggetto di manifestazioni di stima come se fosse stato un cardinale: e si tratta di un "teologo" che nega apertamente la divinità di Cristo! Anche sulle dimissioni di Benedetto XVI, formalmente legittime, ma moralmente esecrabili, ci sarebbe molto da dire: quando mai Gesù Cristo ha insegnato, o ha dato l’esempio del pastore che fugge davanti ai lupi e abbandona al loro destino le pecorelle del suo gregge?

Se tutto questo sembra poco a quanti credono che lo scandalo sia Bergoglio e solo Bergoglio, e che fino al 2013 la Chiesa godesse di ottima salute, e la sua dottrina fosse pienamente ortodossa, allora vuol dire che costoro preferiscono pensare così per non doversi rimproverare il sonno che ha permesso alla massoneria di stabilirsi nella Chiesa e di alterare poco a poco la liturgia e la dottrina, conducendo i fedeli nell’apostasia, senza che se neppure se ne accorgessero. Quanto a noi, non abbiamo difficoltà ad ammettere che sì, abbiamo mancato di vigilanza e ci siamo comportati come le vergini stolte, restando senza olio per le lucerne mentre si avvicinava la venuta dello Sposo. Che fare, adesso? Certo il problema non si risolve come se bastasse rifiutarsi di partecipare alla Messa una cum Bergoglio. Oltretutto, quanto potrà ancora vivere Benedetto XVI? E che faranno i fautori di quella posizione, quando non ci sarà più? Che tipo di Messa celebreranno, in nome di chi? Se noi adottassimo il loro modo di ragionare, dovremmo concludere che nessuna Messa è più stata valida dopo il 1958 o al massimo dopo il ’65; e tutti quei milioni di cattolici che hanno fatto la Comunione da allora a oggi, hanno sempre commesso sacrilegio. Noi, però, non lo pensiamo. E per una buona ragione: che la Messa non è di questo o di quel papa, ma di Gesù Cristo; e se il sacerdote è stato ordinato regolarmente e il fedele è animato da pure intenzioni, il Buon Pastore non negherà alle pecorelle del gregge il dono della sua Presenza, come del resto ha solennemente garantito. Non è un mercenario, Lui; né si fa beffe della sete ardente di unione con Lui che anima tanti buoni cattolici…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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