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Nessun dialogo col mondo: il Vangelo è un’altra cosa

Dal Concilio Vaticano II in poi è venuto di gran moda il concetto del dialogo col mondo moderno; anzi, è diventato pressoché un dogma, a dispetto del piccolo dettaglio che tale supposto dogma va a configgere frontalmente con duemila anni di dottrina e di teologia autenticamente cattoliche, come tali tramandate e insegnate dal sacro Magistero della Chiesa. E non ci riferiamo solo al cosiddetto ecumenismo e al cosiddetto dialogo interreligioso; né soltanto, si fa per dire, alla questione della cosiddetta libertà religiosa, in tutta la sua portata di carattere generale (Dignitatis humanae), ma a un atteggiamento ancor più ampio, che non riguarda solo le false religioni e le sette ereticali, ma il rapporto con tutto l’insieme della civiltà moderna, della cultura moderna, delle istituzioni moderne. Quelle istituzioni, per esempio, che, appena dodici anni dopo la fatale svolta conciliare, anzi per chiamare le cose con il loro nome, dolo la rivoluzione conciliare che, ingannando i fedeli, ci ha dato la nuova religione modernista al posto di quella cattolica, conservando però abusivamente il nome e le apparenze di quest’ultima (con relative prebende, stipendi e conti finanziari), hanno introdotto l’aborto volontario nella legislazione italiana e hanno posto la categoria dei medici e degli infermieri, e in senso ampio gli italiani tutti, di fronte a una dilemma drammatico, solo in apparenza sanato dalla possibilità di fare ricorso all’obiezione di coscienza. In altre parole, il concetto del dialogo con il mondo pone sul tappeto non solo questa o quella materia di discussione, ma pone il cristiano di fronte a una scelta radicale: o per il Vangelo o per il mondo, o con Dio o contro di Lui, o per Cristo o per l’anticristo. E se qualcuno pensa, come certamente lo pensa, che questo che abbiamo ora indicato è un atteggiamento vecchio, superato, addirittura antidiluviano, espressione di un cristianesimo chiuso, bigotto, arroccato sulle proprie posizioni, rispondiamo che basta leggere le Sacre Scritture per trovare ovunque la conferma che questa e solo questa è la giusta maniera, per un cristiano, di porsi di fronte al mondo, e che viceversa non si troverà un solo passo, un solo versetto, una sola espressione che possano venire interpretati nella maniera opposta, ossia come un invito a dialogare con la menzogna e con quanti diffondono e pretendono d’imporre la menzogna al posto della Verità. E cosa sia la verità per il cristiano, o meglio chi sia la verità, non c’è bisogno di ricordarlo, perché egli sa che Gesù dice di Sé: Io sono la via, la verità e la vita; nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me.

Uno dei testi che più chiaramente ed eloquentemente chiariscono quale deve essere l’atteggiamento del cristiano di fronte al mondo (e il tanto sbandierato mondo moderno non è altro che il "mondo" all’ennesima potenza, ossia il mondo che ha scelto di essere senza Dio e contro Dio) si trova nel quinto capitolo della Lettera agi Efesini di San Paolo, specialmente nella parte iniziale, là dove l’Apostolo delle genti scrive (5, 1-17):

^
1^Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, ^2^e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.

^3^Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; ^4^lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! ^5^Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – che è roba da idolàtri – avrà parte al regno di Cristo e di Dio.

^6^Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l’ira di Dio sopra coloro che gli resistono. ^7^Non abbiate quindi niente in comune con loro. ^8^Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; ^9^il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. ^10^Cercate ciò che è gradito al Signore, ^11^e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, ^12^poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare. ^13^Tutte queste cose che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce. ^14^Per questo sta scritto:

«Svègliati, o tu che dormi,
dèstati dai morti
e Cristo ti illuminerà».

^15^Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; ^16^profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi. ^17^Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio.

Dunque san Paolo afferma che della fornicazione dell’impurità non si dovrebbe neanche parlare, nel senso che dovrebbe essere assolutamente scontato che simili cose sono del tutto estranee alla vita di una comunità cristiana. Osserva, a questo proposito, il biblista Elio Peretto (in: Le lettere di san Paolo, a cura di P. Rossano, Edizioni Paoline, 1985, p. 484, nota ai vv. 3-8):

La frase "non si sentano nominare tra voi" deve essere precisata. Non è in discussione la possibilità che nel’ambito della comunità si menzionino questi vizi, ma che non devono esistere. "Nominare", nel testo, non indica il fatto fonetico, ma quello esistenziale; significa quindi riconoscerne, accettarne l’esistenza (cf. Rm 15,20).

È appena il caso di osservare che la "pastorale" del signor Bergoglio va nella direzione diametralmente opposta: per quel signore, è scontato invece che la chiesa, fattasi ospedale da campo, deve andare incontro alle ferite degli uomini per medicarle, nel senso di compatire i feriti (non si chiamano più peccatori) e dar loro quel sollievo che proviene da un illusorio e illegittimo condono della loro sregolata condotta di vita. In Amoris laetitia quel signore spinge la sua impudenza fino ad asserire che Dio stesso non domanda altro, a un adultero pubblico e impenitente, che di perseverare nella sua vita di peccato, poiché quello è il massimo che costui, sinceramente, sente e ritiene di potergli offrire (§ 303):

Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo.

Il che, tradotto dal linguaggio untuoso e volutamente ambiguo di quel falso documento magisteriale (poiché l’autentico Magistero non può mai, dico mai, contraddire se stesso, come invece qui clamorosamente avviene), significa che l’adultero o l’adultera passati a una nuova convivenza possono restare tranquillamente in tale situazione di peccato, poiché Dio stesso non osa chieder loro di più, e perché quello è ciò che il peccatore, peraltro non riconosciuto come tale, ma ipocritamente definito come uno che, a causa della "complessità concreta dei limiti", non vive ancora pienamente l’ideale oggettivo del Vangelo (e da quando la dottrina cattolica si chiama ideale?), per il momento può offrire a Dio. In altre parole: non esiste più il peccato; l’adulterio pubblico e pervicace è una bazzecola; la fedeltà coniugale non viene neppure nominata, essendo evidentemente un retaggio di altri tempi, così come la sacralità del vincolo matrimoniale; e non solo l’adultero è autorizzato dal papa in persona a rimanere impenitente, ma si attribuisce a Dio stesso il benestare riguardo a tale situazione, cioè si fa di Dio il mezzano del proprio adulterio e il giudice iniquo che assolve chi ha infranto la legge e promuove la sua ribellione contro l’ordine morale. È difficile immaginare una cosa più sacrilega, più sconcia e ripugnante di questo chiamare Dio a testimonio, garante e promotore del peccato cronico e istituzionalizzato, quale sarebbe il divorzio e un nuovo matrimonio o una nuova unione, che calpesta il sacro giuramento del Sacramento matrimoniale; pure, il signor Bergoglio è capace di superare se stesso e di spingere l’infamia della sua satanica contro-pastorale, il cui scopo evidentemente è quello di trascinare le anime sulla via dell’inferno, ancora più oltre.

Ed eccolo affermare, in un documento (non ufficiale, questa volta: si noti l’astuzia perversa dell’argentino, che si avvicina alla meta un passo alla volta, con la prudenza del brigante deciso a penetrare nell’ovile senza suscitare un allarme prematuro), e precisamente in un’intervista resa pubblica dal servile e adulatorio documentario Francesco, presentato alla Festa del Cinema di Roma, alla fine di ottobre del 2020:

Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo.

Che dire di questa pubblica affermazione del sedicente papa (e qualche prete, interrogato in proposito, si è arrampicato sugli specchi per distinguere fra le opinioni private del papa e il Magistero della Chiesa: come se le prime potessero smentire frontalmente il secondo)? Ogni parola è una menzogna: è tutto un castello di menzogne, costruito con una perfidia che ha veramente qualcosa di diabolico. Primo, che significa che le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia? Con la preposizione semplice "in" il furbo antipapa cerca di far credere che si riferisce alla famiglia di origine di tali persone: ma una cosa del genere, chi mai la mette in dubbio? Chi mai si è sognato di dire che una madre, un padre o un fratello dovrebbero disconoscere il figlio o il fratello omosessuale? Quando mai la Chiesa cattolica ha insegnato una cosa del genere? No: Bergoglio si riferisce alla "famiglia" che due persone omosessuali intendono costruire contraendo una sorta di vincolo matrimoniale, con tanto di figli, acquisiti con l’adozione, o con la pratica della fecondazione eterologa, o con quella del cosiddetto utero in affitto. Infatti, se non si riferisse a questo, avrebbe detto semplicemente "coppie" e non "famiglie"; e non avrebbe rivendicato per esse un diritto legalmente riconosciuto. Secondo, che vuol dire che sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia? Tutti gli uomini sono figli di Dio; ma per esserlo nel pieno senso della parola, e non nel senso massonico, bisogna che anch’essi si riconoscano tali, cioè che riconoscano la loro filiazione da Dio, in quanto creature che da Lui hanno ricevuto non solo la vita biologica, ma anche la vita morale e quella soprannaturale, frutto della grazia. Ora, qui egli opera una deliberata confusione tra peccato e peccatore. La Chiesa non ha mai insegnato che le persone omosessuali sono, in quanto tali, peccatrici; ha sempre insegnato, però, che devono sorvegliare le loro passioni oggettivamente disordinate, e quindi scegliere la via della castità, proprio per non incorrere nel peccato. Viceversa, non si è mai sognata di riconoscere a quelle persone il "diritto" ad avere una famiglia, modellata secondo la loro inclinazione, vale a dire una famiglia "arcobaleno". Ed è qui che si vede come Bergoglio voleva arrivare appunto all’idea di una famiglia omosessuale, non a ribadire l’ovvio concetto che gli omosessuali hanno diritto ad essere accettati nella loro famiglia di origine. Terzo, che significa l’espressione, così politicamente corretta che starebbe bene in bocca a Scalfari o a Bonino, un po’ meno in bocca al vicario di Cristo: nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo? Qui siamo sprofondati nella sola dimensione terrena, dove anche le cose più lontane dalla legge morale naturale possono essere rese legali a colpi di legge; ma non c’è alcun respiro soprannaturale, alcuna dimensione autenticamente religiosa. Per un cristiano, non diciamo per un sacerdote, o addirittura per il papa, è ovvio che la preoccupazione numero uno deve essere la salute della anime: e come possono essere salve le anime, se le si illude che il peccato non sia più peccato, che il male non sia male? Quarto: Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili; ma qui è il papa che sta parlando, o un leader politico a caccia di popolarità? Mio Dio, che tristezza.

Questa che parla non è più la vera Chiesa fondata da Gesù Cristo: semmai è la sinagoga di Satana…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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