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La battaglia decisiva è per conservare la purezza

Se dovessimo sintetizzare in una sola formula, in una sola frase, il senso di tutto il combattimento spirituale che impegna l’essere umano dal principio alla fine della sua vita terrena, sia nella dimensione individuale che in quella sociale, diremmo che la battaglia più importante di tutte, quella veramente decisiva, è la battaglia che ciascuno deve combattere, dentro di sé e fuori di sé, per conservare intatta la propria purezza. E saremmo stati tentati di dire: per conservare la propria innocenza, ma l’innocenza non può essere difesa oltre l’età infantile, è praticamente impossibile farlo perché la vita stessa s’incarica di aggredirla e sgretolarla, invece la purezza può essere difesa e preservata perché implica un atteggiamento interiore molto più ampio e più elastico, e soprattutto molto più meditato e interiorizzato. L’innocenza è qualcosa di spontaneo, la purezza è una scelta: e come tutte le scelte razionali può subire attacchi esterni, ma non può essere distrutta, a meno che l’individuo non lo voglia o non lo permetta. Per fare un esempio: un adolescente può essere innocente riguardo al sesso, poi nella sua vita arriva una donna sensuale e senza scrupoli che lo corrompe, e la sua innocenza muore, come una tenera pianticella brutalmente strappata dal terreno. La purezza invece non può essere uccisa, perché, anche se subisce un oltraggio fisico, averla o non averla, perderla o conservarla, dipende da un assenso interiore del soggetto: e se tale assenso viene confermato, allora la purezza è salva, si è rifugiata nella cittadella imprendibile che custodisce il tesoro più prezioso dell’anima, e lo preserva perfino nelle prove più devastanti che si possono presentare nel corso dell’esistenza. L’innocenza, una volta perduta, non tornerà mai più; la purezza, invece, non si perde mai davvero, se non lo si vuole, perché dopo ogni scivolone, dopo ogni caduta, si rialza e si rimette in piedi, ben bilanciata in se stessa e resa più forte e più tenace dalle esperienze negative. Prendiamo il caso di un uomo dal’animo puro che offra tutto il suo cuore a una donna, e che ne resti amaramente deluso; e poi una seconda volta, e magari anche una terza. Se perde a causa di ciò la sua innocenza; se diviene un cinico, un calcolatore, un furbo che impara l’arte di prendere senza dare, d’ingannare per non essere ingannato, di usare per non essere usato, ciò dipende da lui, da quanto era solida e radicata la sua innocenza, da quanto era tutt’uno con lui, oppure un velo sottile di verniciatura, destinato a cadere alla prima prova, a dissolversi senza lasciar traccia di sé. E se ci chiedessero qual è la cosa di cui v’è maggior bisogno, oggi; qual è la qualità morale più necessaria agli uomini affinché possano affrontare le prove che in questo delicatissimo momento storico ci si sta preparando, e che ha già ci si stanno ponendo innanzi, risponderemmo con assoluta sicurezza: l’innocenza. È l’innocenza, resa consapevole e matura dall’esperienza di vita, che offre la più salda difesa spirituale contro le forze del male: esse non possono alcunché contro di lei, possono solo tentarla e tentarla senza posa, ma fino a quando essa, con la grazia di Dio, permane salda sulle proprie basi, è letteralmente inespugnabile, e alla fine anche le forze del male più crudeli e ostinate non possono fare altro che battere in ritirata, sconfitte e umiliate, schiumando tutta la loro rabbia impotente e sibilando invano, come un serpente cui è stato strappato il dente del veleno. Crediamo che proprio a motivo dell’innocenza, la virtù capace di sconfiggere qualsiasi nemico, Gesù abbia raccomandato (Mt 18,3): se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.

Esistono e sono sempre esistite delle anime mal nate, delle anime perse, che godono nel distruggere l’innocenza e nello strappare via i veli della purezza. E poiché stiamo parlando dell’innocenza e della purezza nel loro significato più ampio ed esaustivo, non c’è differenza sostanziale fra il voler distruggere l’innocenza su cose di poco o di gran conto, e sul voler strappare i velo della purezza su ciò che è secondario e ciò che è essenziale. Chi può stabilire una netta linea di separazione fra tali cose? L’innocenza è sempre innocenza, che si esplichi in un ambito modesto o che coinvolga le questioni più sublimi dell’esistenza. Per un bambino di sei anni, l’innocenza è credere che, la notte di Natale, Gesù Bambino verrà a vistare la sua casa; che lascerà fuori l’asinello, ed entrerà a portare i doni; e che la carota lasciata sulla finestra per l’animale, e il bicchier d’acqua lasciato sul tavolo per Gesù Bambino, sono elementi necessari per predisporre una degna accoglienza a così importanti visitatori. Perciò l’adulto che gode intimamente nel dissipare una simile credenza da parte del bambino, che si compiace di dirgli che è solo una favola inventata dagli adulti, e che non c’è nessun asinello, nessun Gesù Bambino e nessun cesto dei regali, e si compiace nel vedere l’incredulità, la delusione l’intima sofferenza sul volto di quel fanciullo, agisce mosso da un sentimento analogo a quello di chi gode a giocare con le più vive speranze di un essere umano, a dissipare i suoi più alti ideali, a sporcare e profanare quel che di più nobile, puro e disinteressato può albergare nelle profondità del cuore. Per un uomo adulto, l’innocenza è credere che esiste il Bene, che si può vivere servendolo e ponendosi sotto la sua protezione, e che fino a quando rimane nell’amicizia di Dio e rispetta il prossimo, nulla di sostanzialmente cattivo potrà accadergli, e nessuna forza malefica sarà in grado di scindere la sua personalità. E per un altro adulto, notare quest’uomo e proporsi di attirarlo lentamente e insensibilmente sulla strada del male; condurlo al punto di venire a patti con la sua coscienza, a calpestare i suoi principi, a perdere il rispetto di se stesso, e infine a farlo dubitare del Bene e ad allontanarlo alla dolce confidenza in Dio, e godere nel condurre a termine una simile, perversa impresa, ebbene tutto questo non rientra nella categoria del male ordinario, ma ha una coloritura più abietta, più spregevole, più malvagia: è la cattiveria infernale dell’anima persa che vuole perdere un’atra anima, strappandola a Dio e portandola con sé là dove la luce è soffocata dalle tenebre e dove non c’è speranza di redenzione.

Il Principe di questo mondo, che conosce le nostre debolezze ad una ad una, che le vede come se fossero scritte per esteso su di un foglio bianco, e che è esperto di ogni sorta di trucchi e basse astuzie per sfruttarle a suo vantaggio e condurci là dove la luce muore e regna solo la più fitta oscurità, in odio a Dio e per folle gelosia verso l’essere umano, da sempre concentra tutti i suoi sforzi per colpire al cuore l’innocenza e per insozzare irreparabilmente ciò che di puro vi è nella nostra anima. Che cosa ci può essere di più puro, commovente e disinteressato dell’amore di una madre per suo figlio, e di un figlio per la propria madre? Ebbene, proprio questa purezza, questa elevatezza così disinteressata suscita il suo furore e lo spinge a insinuarsi con le sue male arti proprio nel bel mezzo di un tale sentimento, capace di librarsi ad altezze ove nessuno dei normali calcoli umani, d’interesse, di egoismo, di furberia, riesce a penetrare e a gettare la più piccola macchia, a proiettare la più debole ombra. Una madre è pronta a dare la vita per quella di suo figlio; e un figlio è disposto ad affrontare le più grandi privazioni per amore di sua madre: non è vero? Ecco allora che l’antico Serpente, carico di tutta la malizia e la perfidia distillate dalle abissali profondità del suo risentimento, riesce a farsi strada fra le pieghe di quel sentimento d’amore e a gettarvi il seme lubrico dell’egoismo, della perversità e della dissolutezza. Ecco che l’amore si carica di connotazioni morbose; ecco che va in cerca di pretesti, che si ammanta di nobili fini per giustificare la violazione della più sacra legge di natura: tu non sporcherai l’innocenza di tuo figlio, tu non calpesterai la purezza della tua creatura. Ecco l’incesto, concepito a poco a poco e consumato con incosciente irresponsabilità, e poi magari esibito dalle pagine di un libro o dallo schermo del cinema, come nel caso del film La luna di Bernardo Bertolucci, il troppo osannato regista di sinistra che la critica ha presentato come una specie di prodigio artistico, meritevole di ogni elogio e al quale era concesso anche di calpestare i confini più sacri della morale, perché ai progressisti tutto è lecito, tutto è permesso, tanto più che la loro buona battaglia consiste nel dipingere a fosche tinte l’odiata borghesia e stuzzicare i pruriti pseudo rivoluzionari del pubblico, specie se esso è formato da figli di papà che amano giocare alla rivoluzione permanente. In quel caso, lo stupro del figlio adolescente — perché di questo si tratta, se si vogliono chiamare le cose con il loro nome — è consumato dalla protagonista, una cantante lirica quarantenne, per un nobilissimo fine: aiutarlo a rompere con la schiavitù della droga. Che cosa non farebbe una madre pur di salvare suo figlio dalla voragine della tossicodipendenza? Arriverebbe anche a portarselo a letto: perfino di questo sarebbe capace il suo amore materno! In confronto alla nobiltà del fine, che cosa saranno mai le meschine, bigotte obiezioni che potrebbe sollevare la morale borghese? A chi possono importare tali obiezioni, se non ai preti bacchettoni e a quattro vecchie zitelle le quali non hanno mai trepidato per la sorte di un figlio, perché non hanno mai conosciuto le difficoltà e i tormenti dell’essere madre?

Una cosa del genere passava anche per la mente di un sacerdote troppo celebrato come intrepido araldo di giustizia sociale e come grande pedagogista rivoluzionario, naturalmente nell’ottica di un’anticipazione dello "spirito" del Concilio Vaticano II: don Lorenzo Milani, il mitico (per tutti i cattolici progressisti) priore di Barbiana. Il quale, in una lettera all’amico giornalista Giorgio Pecorini del 10 novembre 1959, a un certo punto scriveva che se un rischio corre per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!…) e poi chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in culo se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso. E qui ci fermiamo, e non diciamo altro, e lasciamo che gl’intellettuali cattolici di sinistra, come il professor Alberto Melloni, si profondano nella difesa d’ufficio a prescindere del loro beniamino, del quale non possono immaginare che intendesse veramente quel che ha pure scritto, nero su bianco, e che però tanto mal si concilia con l’immagine di eroe senza macchia e senza paura che se ne sono fatti e che nel loro furore di proselitismo hanno distribuito anche gli altri. Sta di fatto che per un adolescente che ha subito l’iniziazione sessuale da parte della propria madre, o ancor più, per un bambino che ha subito violenza sessuale da parte di un indegno educatore (e noi ne conosciamo personalmente diversi, perché bisogna pur dire che questa orribile piaga era diffusa già da molto tempo là dove meno la si sarebbe creduta capace di penetrare, nella quiete raccolta dei seminari), il danno ricevuto è talmente grave da condizionare tutta la loro vita: non ci son parole per descriverne l’entità, e ad esso si attagliano perfettamente le tremende parole di Gesù Cristo, allorché ammoniva con severità estrema (Mt 18,6-7):

Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!

Fin qui abbiamo parlato dell’attacco contro l’innocenza e contro la purezza nella sfera sessuale; ma esistono altri ambiti e altri livelli nei quali tale attacco può essere sferrato, suscettibili di provocare ferite non meno gravi, e in certi casi perfino più gravi, all’integrità spirituale di una persona, specialmente se si tratta di un bambino o comunque di un individuo giovane e inesperto della vita, del quale ha abusato un adulto dopo essersi insinuato e indegnamente spacciato per confidente ed amico.

Lo ripetiamo: la purezza, in tutte le sue forme, ma specialmente la purezza interiore, intesa come pulizia dell’anima, è l’armatura possente con la quale ci si può difendere e si possono sostenere e respingere i più tremendi attacchi, in quella incessante battaglia per la salvezza della propria anima che è, in definitiva, la vita terrena degli esseri umani. Chi, con l’aiuto di Dio, riesce a conservare la propria purezza, possiede un’arma pressoché invincibile, che neanche il nemico più astuto e smaliziato può sperare di abbattere; ma chi perde la propria purezza, chi distrugge in se stesso l’innocenza, chi disperde lo stupore, la meraviglia e la gratitudine davanti allo spettacolo del mondo e si riduce a vedere ogni cosa sotto l’aspetto cinico e utilitaristico del quanto mi può rendere e del cosa ci posso guadagnare, è già morto dentro, è come se fosse morto alla vita e il suo cuore si fosse chiuso con un lucchetto di ferro davanti alla luce e all’amore di Dio. E ripetiamo anche questo: si può perdere l’innocenza, anzi è pressoché inevitabile che la si perda, nel passaggio dall’infanzia all’età adulta; come dice san Paolo (1 Cor 13,11): Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Invece si può e si deve conservare la purezza, che è la fede consapevole nel bene e l’incrollabile convinzione che nessun male può minacciare realmente l’uomo, se questi non è disposto a lasciarsi corrompere, a farsi traviare. Sempre però con la grazia di Dio; mai senza di essa.

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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