Questa battaglia, come tutte, è sulla comunicazione
7 Dicembre 2020Il precursore dell’antisemitismo? Ovvio: san Matteo
9 Dicembre 2020Abbiamo visto, nel precedente articolo Questa battaglia, come tutte, è sulla comunicazione (pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 07/12/20) che ciò che fa la differenza fra quanto detto alla televisione e quanto detto al di fuori di essa è il principio della quantità che si fa arbitrariamente qualità; che assume, cioè, un alto grado di plausibilità e di persuasività proprio in ragione del fatto che viene proclamato dal piccolo schermo e che per ciò stesso, indipendentemente dal suo contenuto di verità, acquista un significato e un valore intrinseci. Inconsapevolmente, la gente pensa: Se lo dice la tv, è probabile che sia vero; e se lo dicono tutte le televisioni, allora sarà vero senz’altro. Meccanismo psicologico che è tipico della massa, non della psicologia individuale; ma è appunto la fruizione quotidiana della televisione che crea la massa, insieme ad altri fattori della società moderna, per cui si può dire che l’una cosa determina l’altra: non ci sarebbe una così grande credulità verso i contenuti televisivi se non ci fosse il pubblico televisivo, ma non ci sarebbe nemmeno quest’ultimo se non ci fosse l’abuso quotidiano della televisione come spettacolo e come passatempo da parte di centinaia di milioni di persone che non sono solite ricorrere ad altre fonti per apprende ciò che accade nel mondo. Possiamo anzi dire che la tv ha la capacità di persuadere quanto più la si guarda, e che la sua capacità pervasiva/persuasiva va assai oltre i contenuti specifici, ma si estende a ogni aspetto del reale, e in questo senso la pubblicità televisiva, che parrebbe un ambito limitato alla sfera commerciale, è suscettibile di esercitare l’influsso più penetrante di tutti, appunto perché il pubblico non sta in guardia contro la sua capacità di persuadere, o per dir meglio di sedurre, in maniera dolce ed occulta, e crede che si tratti solo di lasciarsi o non lasciarsi influenzare circa l’acquisto di un determinato prodotto. Per dirne una: la pubblicità non si limita a reclamizzare questa o quella merce, ma presenta anche un modello di stili, di comportamenti, di modi di essere, i quali pur non essendo il suo oggetto specifico, influenzano, eccome, la mente del pubblico: tant’è vero che nel giro di qualche settimana, mese o anno lo stile complessivo di una società può essere profondamente cambiato soltanto dall’opera silenziosa e implacabile della pubblicità televisiva. E se fossimo stati meno distratti, noi italiani avremmo potuto rendercene perfettamente conto proprio osservando noi stessi, a partire da quando il mezzo televisivo è entrato nelle case di ogni famiglia, cioè nel decennio fra il 1960 e il 1970, durante il quale si è verificata l’eclisse degli stili di vita nazionali ed è incominciata la sciocca e pedissequa imitazione di modelli stranieri, specialmente d’oltre Atlantico, cosa che si è accompagnata anche a un mutamento profondo della società stessa, dei suoi valori, dei contenuti culturali, educativi, estetici, religiosi, ecc.
Ora, nella situazione in cui ci troviamo al presente, con i mass-media interamente impegnati al servizio di quelli stessi che vogliono sottometterci per mezzo del terrore creato dalla pandemia, si tratta di vedere se e cosa si possa fare per contrastare gli effetti del Pensiero Unico realizzato mediante la Narrazione Unica. Sembrerebbe una battaglia persa in partenza: se quel che conta non è la verità, ma il monopolio dei mezzi d’informazione, come si può evitare che la massa continui ad essere manipolata, e che si lasci docilmente manipolare? Per fare un esempio concreto: ci si sarebbe potuti aspettare che il rifiuto della segregazione sanitaria imposta con il pretesto della pandemia, un provvedimento assurdo, che non si era mai visto neanche durante le vere pestilenze del passato, e che sta uccidendo l’economia, i primi a reagire, a rifiutare di sottomettersi e quindi anche di accettare il Pensiero Unico, sarebbero stati quelli più direttamente danneggiati nella loro stessa possibilità di sopravvivenza: piccoli imprenditori, commercianti e artigiani. Invece si assiste allo sconcertante spettacolo di gente che perde l’azienda, che perde il lavoro, ma che accetta con rassegnazione il proprio destino perché convinta, in apparenza, che tale sia il prezzo da pagare per scongiurare l’ulteriore diffusione del contagio e una paurosa moria di persone, specialmente quelle più anziane. Ma se neanche i più colpiti dalla dittatura sanitaria imposta dal governo reagiscono, cosa ci si può aspettare dagli altri, dagli statali, dai pensionati, i quali, almeno in un primo tempo, non soffrono particolari difficoltà di tipo economico? E se i mass-media continueranno a battere, sempre più ossessivamente, sul tasto del terrore sanitario, e i politici e i governatori delle regioni li asseconderanno, e i partiti di opposizione continueranno a brillare, come finora è stato, per la loro assenza e la loro inadeguatezza: chi o che cosa permetterà di rompere l’incantesimo maligno della bolla mediatica che tiene la popolazione inchiodata ai dettami del Pensiero Unico, e le impedisce perfino di esprimere la più legittima e naturale protesta?
Per rispondere a questa domanda, bisogna partire dall’analisi realistica dei fatti. I fatti dicono che le persone più serie, preparate e intelligenti non riescono a convincere e spostare quote significative di opinione pubblica finché le televisioni e i giornali dicono l’opposto: e ciò seguiterà a verificarsi fino a quando la popolazione sarà, appunto, "opinione pubblica". L’opinione pubblica è un’astrazione creata dagli organi di stampa per indicare gli orientamenti prevalenti, indotti dalla stampa stessa. In altre parole, esiste un’opinione pubblica dove i giornali sono molto diffusi e dove non vi sono altre fonti d’informazione alle quali la gente possa attingere. Perciò bisogna partire da qui, e 1) smettere di leggere i giornali e di guardare la televisione, o almeno le grandi reti nazionali, tutte asservite ai piani dell’élite globalista; 2) cercare la vera informazione e il contatto con altre persone e gruppi che la pensano allo stesso modo, sfruttando gli spazi di libertà che ancora esistono nella rete. Con la scusa della pandemia, infatti, il governo ha paralizzato, insieme a ogni altra forma di vita sociale, anche l’attività culturale e informativa dei gruppi e delle associazioni che cercano di tener vivo un minimo di pensiero critico; nulla però vieta che incontri e conferenze possano avvenire online, come si fa per la scuola pubblica, con la cosiddetta didattica a distanza. E infatti il governo, non solo in Italia, ma in tutti i Paesi occidentali, si sta accanendo proprio contro questi ultimi spazi di libertà sulla rete informatica: ogni giorno vengono cancellati dei video, vengono rimossi dei contenuti, vengono penalizzati dei blog, insomma viene attuata una durissima censura ai danni di quanti si sforzano di tener accesa la fiammella della libertà di pensiero e si rifiutano di appiattirsi sulle verità preconfezionate del Pensiero Unico al potere. Tuttavia finché tali spazi esistono bisogna sfruttarli al massimo, e anzi cercare di potenziarli; ma è chiaro che non dureranno ancora per molto. Gli stessi monopolisti della grande finanza, le multinazionali del farmaco, della stampa, del cinema e della televisione controllano anche i canali infornatici e le piattaforme online, e hanno aumentato le misure di controllo per bloccare e neutralizzare qualunque voce di dissenso. Esistono degli algoritmi che, in presenza di determinate parole-chiave, nonché di immagini-chiave, fanno scattare automaticamente la censura e la relativa sanzione. Provate a fare l’esperimento, se non ci credete; se pensate che si tratti di fantasie di complottisti o di gente affetta da mania di persecuzione, provate a parlare sui social, in un certo modo, di quelle tali categorie o minoranze, di quelle tali centrali di potere che dominano la scena mondiale mediante il World Economic Forum, il Gruppo Bilderberg o le riunioni segrete nel Bosco Boemo in California; e state a vedere cosa accade. Se siete i gestori di un sito o di un blog, vi verrà segnalata la presenza di contenuti controversi, o scorretti, formule che si usavano nei sistemi totalitari del passato e che ora sono tornate di moda per indicare il crimine di libera informazione e di libera opinione. Nei casi più seri, vi giungerà una mail da Youtube che vi accuserà d’incitamento all’odio e magari vi anche un avviso della polizia postale che qualcuno ha sporto denuncia contro di voi. L’algoritmo viene allertato anche se parlate di Covid-19, di pandemia, di vaccini: provare per credere. Il minimo che vi possa capitare è che appaia un rimando nel quale si dice che, per avere informazioni corrette su tali argomenti, dovete visitare i siti istituzionali a ciò preposti, ad esempio quello del ministero della Salute. Il quale, trovandosi affidato alle amorevoli cure di un’aquila della medicina come il ministro Roberto Speranza, è di per sé quanto mai rassicurante. Del resto, è logico che quei signori agiscano in tal modo: ricordiamo la sorte toccata a Julian Assange per aver reso pubblici i contenuti di file riservati, e il fatto curioso di esser passato da beniamino dei liberal a figlio di nessuno dopo che le sue rivelazioni sono state ritenute rilevanti per la sconfitta di Hillary Clinton nel 2016. I progressisti amano molto la libertà d’informazione, ma solo quando favorisce loro.
Più in generale, c’è bisogno di ricostituire il senso critico e di lavorare sulle cause che hanno reso quasi tutti dipendenti dalla televisione e, in misura minore, dalla carta stampata. Non è difficile. La ragione principale di tale dipendenza, a ben guardare, è la stessa per cui la grande maggioranza delle persone non si prende cura della propria salute in prima persona, ma preferisce affidarsi ciecamente a qualcun altro, a cominciare dal medico, e si ritiene soddisfatta solo se torna a casa dal suo ambulatorio con la ricetta in tasca per acquistare un nuovo farmaco, mentre resta delusa se gli viene consigliato di lavorare sulla prevenzione, di seguire una dieta più opportuna, di fare del moto, di combattere la tristezza con una vita attiva e ricca di interessi, insomma se si tratta di fare la fatica di assumersi la responsabilità di star bene, invece di correre ai ripari dopo che la salute se n’è andata: sempre però aspettandosi la soluzione dall’esterno, in modo da non doversene occupare personalmente. Se non fosse così diffuso questo genere di pigrizia, il livello medio di salute delle persone sarebbe sicuramente più alto; così come se la pigrizia non si manifestasse nell’accendere il pulsante del telecomando e mandar giù mezz’ora al giorno, magari più volte, di frottole televisive servite a domicilio, e da consumarsi in maniera del tutto passiva, forse non saremmo arrivati a questo punto di asservimento e di umiliazione. In altre parole è la pigrizia mentale, unita alla sciatteria, al conformismo e alla sfiducia in noi stessi, che rendono così deboli le nostre difese immunitarie, sia a livello fisico che a livello intellettuale. Un organismo sano si protegge da se stesso, naturalmente, contro gli assalti delle malattie: la malattia subentra quando l’equilibrio psicofisico si è rotto. Allo stesso modo, la pigrizia mentale e il conformismo ci rendono passivi davanti alla televisione e fanno sì che noi le conferiamo tutto il potere che essa esercita su di noi. Siamo proprio noi, infatti, a consegnarci, disarmati e indifesi, al potere tirannico che esercita il piccolo schermo, o meglio che esercitano per mezzo di esso i Padroni Universali. Stiamo rendendo loro le cose un po’ troppo facili, perché ci comportiamo, e non certo da ieri, ma da una vita intera, come dei cani sperduti che anelano a ritrovare ad ogni costo un padrone, un padrone qualsiasi, e non vedono l’ora che qualcuno se li prenda e metta loro il guinzaglio, così almeno avranno la certezza di non patire la fame e di avere una cuccia ove rifugiarsi quando fa freddo. Noi ci comportiamo esattamente così: non è la televisione ad essere forte, siamo noi che le diamo tutta questa forza; non sono le multinazionali del farmaco ad essere forti, è il nostro atteggiamento rinunciatario e sbagliato davanti alla fatto della salute e della malattia che le rende così potenti e temibili. Se noi modifichiamo il nostro modo di porci, se noi ci riprendiamo una parte almeno di quegli spazi di libero arbitrio cui abbiamo volontariamente rinunziato; se torniamo a impossessarci delle stanze della nostra casa che abbiamo ceduto, chissà poi perché, a degli estranei, oltretutto male intenzionati nei nostri confronti, allora ci sono delle buone speranze di poter modificare radicalmente lo stato di cose presente, e di riprenderci quella libertà d’informazione, e perciò di scelta, che attualmente abbiamo perduto, consegnandola a chi non merita affatto la nostra fiducia.
A questo punto, la cosa essenziale che abbiamo scoperto farci difetto è la motivazione. Molti si chiederanno perché mai dovrebbero sobbarcarsi la fatica di occuparsi personalmente della propria salute, delle propria informazione, dei propri risparmi, della propria fede, visto che chi dovrebbe occuparsi di tali cose desta, sì, qualche sospetto di sfruttare la propria posizione per curare il suo interesse e non il nostro, ma in tutti i casi è molto più semplice lasciare che le cose vadano come sono sempre andate, e ciascuno si occupi del proprio ambito: il medico della nostra salute, il giornalista della nostra informazione, il bancario dei nostri risparmi e il sacerdote della nostra fede. E se si fa osservare alla gente che è stupido seguitare a dar fiducia a chi ha mostrato di non meritarla questa risponderà che alla fine non si può pensare a tutto, visto che ci sono già tante cose importanti delle quali si è costretti ad occuparsi. Il che è vero: ma fra le cose essenziali non ci sono i vestiti firmati, il pilates, i tatuaggi, l’abbronzatura, ecc.; e guarda caso, a dedicare moltissimo tempo a tali attività sono proprio quelli che dicono di non aver tempo per occuparsi seriamente della salute, dell’informazione, dei risparmi e della fede. Pertanto, è chiaro che dobbiamo operare un radicale ripensamento della nostra vita. Se siamo soddisfatti di come abbiamo finora vissuto, abdicando alla responsabilità di prenderci cura di noi, allora non c’è niente da fare. Se invece ci rendiamo conto che il potere si appresta a schiavizzarci sfruttando la nostra pigrizia, c’è ancora qualche speranza…
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