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Questa battaglia, come tutte, è sulla comunicazione

Se dovessimo sintetizzare in un solo concetto quale sia la caratteristica essenziale della modernità, senza esitare diremmo: la scomparsa della persona e l’avvento della folla, o della massa, o del pubblico, o comunque si voglia chiamare l’unità indistinta e indifferenziata di ex persone che regrediscono allo stato istintivo e che tuttavia, consapevoli dei mezzi straordinari di diffusione offerti ieri dalla stampa, oggi dalla televisione e dalla rete informatica, e al tempo stesso allettati dalla possibilità di osare il massimo rischiando il minimo, o non rischiando nulla, si avventurano a dire qualsiasi cosa, a mentire, a calunniare, a ingannare, a bestemmiare, certi che per loro, presi individualmente, non verrà il momento di fare i conti con la propria responsabilità, e che tutto verrà addebitato sul conto dei fenomeni sociali di tipo collettivo. Se il giornale dice una certa cosa; se la televisione dice una certa cosa; e giornali e televisioni, tutti insieme, dicono una certa cosa, allora quella cosa diventa senz’altro vera e la folla la recepisce, la introietta, la diffonde a sua volta, come fosse verità rivelata: nessuno va a controllare, a verificare; nessuno prende nota delle incongruenze e delle contraddizioni; nessuno si à il disturbo di constatare che quella certa cosa è in conflitto irrimediabile con l’evidenza dei fatti, con la logica e il più elementare buon senso. Giornali e televisioni dicono che Joe Biden ha vinto le elezioni ed è il nuovo presdidente degli Stati Uniti d’America: e benché non vi sia stata alcuna proclamazione ufficiale, benché esistano molti e gravi dubbi sulla regolarità del voto e siano in corso i controlli richiesti da Donald Trump non solo ai governi degli Stati, ma anche all’Alta Corte di Giustizia, per il pubblico è Biden il nuovo inquilino della Casa Bianca, punto e basta. Così pure i giornali e le televisioni ci stanno ripetendo, da nove mesi, che è in atto una micidiale pandemia, paragonabile — come dice il nostro autorevole ministro della Sanità — alle più grandi pestilenze dei secoli passati, una pandemia che non lascia scampo, che ha provocato già milioni di morti in tutto il mondo; e che, per scongiurarla, bisogna congelare qualunque forma di vita sociale, non solo fuori casa, ma perfino dentro la propria casa: e il pubblico lo crede senz’altro, si arma di mascherina e disinfettante, si tiene alla larga dai suoi simili, evita perfino, se credente, di recarsi alla santa Messa, e non esita a rimproverare il cliente di un esercizio che non indossa bene la mascherina, o il gestore di un bar che non tiene la porta aperta per arieggiare adeguatamente l’ambiente, come raccomandato in continuazione dalle pubbliche autorità.

La massa non è fatta di cervelli pensanti, ma è piuttosto simile a un gregge, a una mandria di bestiame. Nessuno si domanda come mai l’OMS parlasse da ben quindici anni di un’imminente pandemia; nessuno si chiede che razza di vaccino ci vogliono propinare, visto che il Covid-19 non è stato neppure isolato, per non parlare dei tempi tecnici di sperimentazione che rendono quanto mai pericolosa l’assunzione di un farmaco i cui effetti non sono noti. Al contrario, la massa spinge e scalpita per sapere quando arriverà il salvifico vaccino e protesta perché ancora non è stato messo a disposizione di tutti. Certo, ciò dipende anche dal fatto che la televisione, da nove mesi, bombarda gli spettatori, ventiquattro ore al giorno, con notizie terrificanti sul virus e che questi, impossibilitati a uscire e a muoversi liberamente, pefino a lavorare, sono naturalmente indotti a ripiegare sulla televisione, vuoi per avere "compagnia", vuoi per avere notizie. Ma è pur vero che la massa, da decenni, si è abituata a dipendere dalla televisione come da una droga; a tenerla accesa tutto il giorno; ad averne tre o quattro in casa, una per ogni stanza comprese le camere da letto; a non poter fare a meno della sua voce e delle sue immagini: e con ciò ha già abdicato a qualunque e prospettiva o possibilità di pensiero critico, ed è già entrata nel tunnel del più ottuso indottrinamento, quello che avviene senza che chi lo subisce ne sia neppure consapevole.

Tutte le battaglie si giocano sulla comunicazione, e questa, che da molti segnali potrebbe essere l’ultima, non fa eccezione. Anzi: è la battaglia sulla comunicazione per eccellenza; quella che supera tutte le altre per vastità e le fa apparire, in confronto, dei semplici giochi da ragazzi. Ci piace riportare a questo proposito una pagina del padre Cornelio Fabro (Talmassons, 1911-Roma, 1995), massimo studioso italiano del pensiero di Søren Kierkegaard, grande teologo e filosofo oggi pressoché rimosso dalla cultura dominante, anche e soprattutto in ambito cattolico, a motivo della sua cristallina fedeltà alla vera dottrina cattolica, e quindi della sua critica serrata alla cosiddetta svolta antropologica entrata in vigore dopo il Concilio Vaticano II (S. Kierkegaard, Scritti sulla comunicazione, a cura di C. Fabro, Roma, Edizioni Logos, 1979, vol. 1, pp. 102-104):

Con la dottrina del Singolo si compie la fondazione dell’uguaglianza umana ch’è stata mistificata dal pensiero moderno e dalla democrazia moderna ed in particolare dal comunismo. L’uguaglianza cristiana è agli antipodi del "kalokagathòn" classico: "A questo modo il cristianesimo non venne tanto per sviluppare nei Singoli queste virtù eroiche, quanto per abolire l’egoismo e mettere l’amore: ‘Amiamoci l’un l’altro’ (1 Gv 4,7). Non ci sarà allora da spendere tanto tempo e diligenza per perfezionare sé stessi fino ad un certo massimo — dove si può facilmente nascondere l’amor proprio — quanto per lavorare per gli altri". E precisa: "Perciò io ho anche insistito sempre nel dire che il Cristianesimo è proprio per la povera gente che forse lavora e suda tutta la giornata e difficilmente riesce a guadagnare il pane quotidiano. Più uno è fornito di beni materiali e più difficile è per lui diventare cristiano, perché la riflessione può tanto facilmente prendere una direzione sbagliata". Come ha fatto il mondo moderno, e sta facendo la cosiddetta democrazia contemporanea materialistica e amorale cioè permissivista che lascia scatenare i vizi della massa e non riesce più ad arginare la delinquenza.

Infatti (…) la Folla, la Massa, il Pubblico… sono le categorie dell’inautentico, della falsità, il "male del mondo" perché sono rifiuto dell’ideale e carenza di responsabilità. È dalla Folla, aizzata dai caporioni, che venne infatti l’offesa al Santo, alla Verità: "Ancor bambino, mi fu raccontato e nel mondo più solenne: che SI sputava su Cristo, che era però la verità; che la FOLLA (‘coloro che gli passavano davanti’) sputava su di lui e diceva: ‘va in malora!’ – ed Egli era la Verità.(…)

In conclusione — ed è la conclusione di questi scritti sulla comunicazione e perciò lo scopo e il senso di tutta la produzione kierkegaardiana — "… con la categoria de ‘Il Singolo’ sta e cade la causa del Cristianesimo": è la categoria non de missionario fra gli infedeli, ma (come lui!) del missionario fra i cristiani ossia di colui il quale — già al suo tempo ed ancora più oggi — intende "introdurre il Cristianesimo nella cristianità". Solo che allora, nella rima metà dell’Ottocento, l’ateismo era ancora una posizione di élite e le masse non avevano, come oggi, rifiutato, sfidato e diffidato il Cristianesimo.

E lo stesso Kierkegaard, con bruciante ed esemplare chiarezza, nel medesimo testo (op. cit., pp. 194-195):

La Folla è la falsità. E potrei piangere, in ogni caso posso imparare ad avere nostalgia dell’eternità, quando penso alla miseria del nostro tempo, anzi quando soltanto la paragono a quella più grande dell’antichità, che i giornali e l’anonimato la rendono ancor più pazza grazie al "pubblico" il quale, poiché è astratto, esige di essere l’istanza rispetto alla "verità" poiché le assemblee, che pongo quest’esigenza, non si trovano certamente. Che un anonimo, mediante la stampa, giorno dopo giorno (anche nella sfera dell’intelligenza, dell’etica, della religione) possa dire quel che vuole, ciò che forse nel più lontano dei modi non avrebbe il coraggio di dire personalmente neppure nella situazione della più discreta singolarità; ogni volta che egli apre la bocca, ma dovrei dire la gola, rivolgendosi IN UNA SOLA VOLTA a mille migliaia; può avere diecimila moltiplicati per diecimila per ripetere quel che ha detto — e nessuno ha la responsabilità. A differenza dell’antichità, quando la Folla relativamente spregiudicata era l’onnipotente, oggi la Folla è assolutamente spregiudicata: è nessuno, anonimo l’autore, anonimo il pubblico, alle volte anonimi perfino i sottoscrittori, quindi: nessuno, nessuno, Dio santo! E poi gli Stati si chiamano perfino cristiani! E non si venga a dire che la "verità" a sua volta può raggiungere con la stampa la bugia e l’errore. Oh, tu che parli così, interroga te stesso; osi tu garantire che gli uomini, presi in massa, siano altrettanto svelti ad accogliere la verità che non è sempre di gusto piacevole, come accolgono la falsità che è sempre servita in modo appetitoso, per non dire che ciò comunque è connesso con l’ammissione che ci si deve lasciar ingannare! O potresti tu soltanto affermare che la "verità" si fa capire altrettanto presto come la falsità che non esige nessuna conoscenza precedente, nessuna scuola, nessuna disciplina nessuna astinenza, nessuna abnegazione, nessuna onesta auto-preoccupazione, nessun, nessun lento lavoro!

In altre parole, ci siamo abbrutiti fino a metterci nella condizione che il potere, attraverso i mass-media, ci può raccontare tutti quello che vuole, e indurci a credere qualsiasi cosa, per la ragione che da molto tempo abbiamo scelto un tipo di vita in cui non c’è posto per il senso di responsabilità individuale. Nascondendoci dietro la massa, divenendo una cosa sola con la massa, abbiamo potuto concederci il lusso di dire e fare qualsiasi cosa, sapendo che non ne saremmo stati considerati responsabili, o che, in ogni caso, qualcuno — un padre o una madre, un assistente sociale o un giudice — ci avrebbero condonato ogni errore, ogni colpa, addossandone il peso alla "società". Abbiamo scelto la strada più facile, quella della deresponsabilizzazione, e a desso ne paghiamo lo scotto: quello di essere trattati dal potere come dei bambini idioti, di dover fare tutto quello che esso ci ordina "per il nostro bene", di applicare anche le disposizioni più assurde e nocive perché così dicono tutti che bisogna fare, specialmente i giornali e le televisioni. Ci siamo venduti al diavolo e ora il diavolo passa a riscuotere la sua parte. Si riprende quel che ci aveva dato con una mano — la paccottiglia del consumismo, gli abiti firmati, i ninnoli costosi e vistosi — e ci dice che forse ce li restituirà se noi faremo i bravi, se saremo maturi e responsabili, se obbediremo e non faremo resistenza, se accetteremo ogni limitazione, ogni prepotenza, e alla fine anche il vaccino, mediante il quale dei nano-robot potranno essere inseriti nel nostro organismo per controllarlo e marchiarlo con il marchio della Bestia. Non è un risultato del quale si possa andare fieri, ma è tutto quello che abbiamo saputo fare nelle ultime due o tre generazioni. L’impoverimento culturale, la scuola ridotta a parcheggio e l’università a luogo di lavaggio del cervello, gli intellettuali arruolati dal potere e messi a libro paga, i giornalisti che si sono venduti più di tutti; da ultimo perfino i medici inquadrati e irreggimentati affinché vadano contro scienza e coscienza, ad applicare protocolli assurdi e a firmare certificati di morte taroccati: questa è la messe di decenni di fuga da noi stessi, dai nostri doveri, dal senso della vita come compito da svolgere, impegno da onorare, responsabilità nei confronti dei nostri figli. L’ironia della situazione è che la cultura moderna, specialmente il liberalismo e la sua diretta emanazione, la democrazia, hanno sostituito gradualmente la persona con la massa in nome dell’individuo, dei diritti dell’individuo, della libertà dell’individuo. Menzogna, suprema menzogna perché mai l’individuo è divenuto più ininfluente, mai è stato manipolato come adesso. La verità è che la libertà astratta, l’uguaglianza astratta, l’idea seducente, ma aberrante, che uno vale uno, che non ci sono differenze di valore fra gli individui, che il parere della massa vale più di quello di chi compie la fatica di studiare le cose, d’informarsi, di approfondirle, tutto questo non è che fumo negli occhi per nascondere il vero scopo di tanta retorica egualitaria e libertaria: il progetto di un accentramento di potere nelle mani di pochissimi, quale mai si era visto nella storia umana, e dell’asservimento inconsapevole di tutti gli altri al dominio della grande finanza. La libertà infatti non consiste nel fare tutto ciò che si vuole, ma ciò che è giusto; e l’uguaglianza ha senso solo se presuppone il riconoscimento del proprio limite da parte di ciascuno. E così la democrazia è divenuta plutocrazia, e una minuscola oligarchia di supermiliardari è riuscita a mettere la museruola a sette miliardi e mezzo di ex persone, che per lei sono solo bestiame da condurre al pascolo — e, se lo ritiene utile per i suoi programmi, al macello.

Arrivati a questo punto, abbiamo una sola possibilità, e dobbiamo agire subito: riprenderci il nostro vero io e la nostra vera vita, fatta di scelte individuai e responsabili, e lasciar cade il falso ego, gonfiato mostruosamente dal diabolico consumismo. I nostri nonni agivano in maniera etica perché erano stati bene educati, ma anche perché vedevano quasi tutti vivere a quel modo; noi possiamo contare solo su noi stessi. Coraggio: spenta la televisione, non saremo soli: Dio sarà accanto a noi…

Fonte dell'immagine in evidenza: Alan Camerer - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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