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Rompere il cerchio stregato dell’inconsapevolezza

C’era una volta un uomo: mangiava come un bue, beveva come una spugna e fumava come un turco. A un certo punto, dopo anni e anni di quella vita, il suo fegato cominciò a gonfiarsi, i suoi reni a bloccarsi e ai suoi polmoni a sbriciolarsi. Allora quell’uomo prese a lamentarsi, dicendo: «Povero me, mi capitano tutte le disgrazie: cosa ho fatto di male per meritarmi tante malattie?». E quelli che lo conoscevano rimanevano perplessi davanti allo spettacolo sconcertante, quasi grottesco, di lui che faceva la vittima e mostrava una così totale inconsapevolezza del rapporto di causa ed effetto esistente fra il suo modo di vivere e i mali che lo affliggevano. Ebbene, noi siamo esattamente come quell’uomo: la sua storia, che vista dall’esterno appare così stramba, per non dire surreale, è la nostra storia. La sua sregolatezza, il suo disordine esistenziale sono paragonabili ai nostri; il suo atteggiarsi a vittima del destino è uguale al nostro; la sua cecità di fronte alla relazione che lega le sue patologie al suo modo di vivere, è pari alla nostra. Noi viviamo sprofondati nelle cattive abitudini, nell’egoismo, nei peccati, e ci attiriamo ogni sorta di castighi; siamo attanagliati da mille paura, siamo tormentati da mille fantasmi: e tuttavia non solo non cambiamo modo di vivere, ma abbiamo anche la faccia tosta di reclamare e di lamentarci del fatto che la vita sia così dura, che ci siano tante cose brutte, e che il nostro mondo stia diventano invivibile. Pazzi, ciechi ed egoisti come quell’uomo, a chi ci osservi dall’esterno dobbiamo apparire come delle marionette folli, come dei burattini sfuggiti a ogni controllo.

E allora, proviamo a fare questo sforzo di obiettività e di distacco; proviamo a guardarci come ci vedrebbe un osservatore estraneo e perfettamente imparziale: sine ira et studio, senza rabbia né parzialità, come diceva il buon vecchio Tacito, anche se poi razzolava un po’ meno bene di quel che predicava. Che cosa vedremmo? Possiamo descrivere la nostra situazione con le stesse parole adoperate da san Paolo nel descrivere un’altra società in piena decadenza morale, quella del mondo antico giunto nella sua fase terminale: è impressionante la somiglianza fra le due situazioni storiche, la nostra e quella di allora (Romani, 1, 18-39):

18 In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 19 poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. 20 Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; 21 essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. 22 Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23 e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.

24 Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, 25 essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. 26 Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. 27 Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. 28 E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, 29 colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, 30 maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, 31 insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. 32 E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.

È il nostro ritratto: siamo noi che siamo stati abbandonati in balia di un’intelligenza depravata perché abbiamo disprezzato la conoscenza del vero Dio; siamo noi che commettiamo tutto ciò che è indegno come se fosse la cosa più naturale del mondo; noi che ci rotoliamo in mezzo ai peccati senza un’ombra di rimorso, anzi, con la repellente fierezza di chi sta esercitando un suo diritto. Siamo noi colmi di ogni sorta d’ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. Siamo noi che pur sapendo, grazie al dono della ragione naturale, che tali cose sono riprovevoli, non solo seguitiamo a farle, ma approviamo chi le fa e istighiamo gli altri a commetterne di peggiori. Si prenda il caso dell’aborto. Sappiamo, anche senza essere credenti, che è un’azione criminale; sappiamo che il nascituro incolpevole ha il diritto di venire al mondo, e che sopprimerlo nel ventre di sua madre, talvolta perfino all’ottavo mese di gestazione, come consentono alcune delle più recenti leggi progressiste in nome di un satanico concetto di "civiltà", è cosa malvagia e imperdonabile; eppure non solo seguitiamo a praticarlo su scala industriale, e ormai le vittime si contano a milioni anche nella nostra Italia, laddove ci era stato raccontato che si trattava di sanare pochi casi eccezionali, ma ormai consideriamo la cosa pacifica e sacrosanta, e guardiamo come un sovversivo e un malintenzionato chi osi metterla in discussione. La classe medica, la diretta interessata, tace; la classe politica, che ha deciso la legislazione abortista, tace; i magistrati tacciono; i giornalisti tacciono; gli intellettuali tacciono, o se mai toccano l’argomento, approvano e si scagliano con rabbia contro chi ricorda a tutti che uccidere il nascituro è un delitto. Non parliamo poi del clero cattolico, e in particolare dei sedicenti teologi e della maggior parte dei cardinali e dei vescovi. Quando mai parlano di un così grave peccato, che grida vendetta al cospetto di Dio? Semmai, anch’essi se la prendono con il singolo prete che, nelle omelie, si permette di parlare dell’aborto in termini politicamente scorretti; e quando la stampa e la televisione si gettano sul malcapitato per sbranarlo e additarlo al pubblico ludibrio, tacciono e lo scaricano, peggio di come fece Ponzio Pilato con Gesù Cristo. Negli Stati Uniti, abbiamo visto durante la campagna elettorale un "clero" cattolico schierarsi pubblicamente e compattamente a favore di un candidato che si dice cattolico, ma che sostiene l’aborto fino all’ottavo mese di gravidanza, per non parlare delle unioni omosessuali, dell’eutanasia e altre piacevolezze che nascono dalla stessa filosofia. Tutto questo è normale? Al contrario, è semplicemente aberrante; eppure avviene, è avvenuto. E abbiamo visto l’arcivescovo di Washington scagliarsi contro l’altro candidato, negandogli il diritto di far visita a un santuario cattolico, non perché protestante, ma perché non piace ai poteri forti dello Stato profondo; e tuttavia è a favore della vita e condanna sia l’aborto che le altre pratiche anticristiane. E la stampa, compresa la stampa cattolica della nostra Italia? Massicciamente schierata per il falso cattolico e contro il suo rivale, indicato come il Nemico Pubblico numero uno. Un presidente uscente, si noti, che non ha intrapreso una sola guerra, mentre il suo sfidante, negli anni passati, ha approvato e collaborato attivamente alle numerose guerre "umanitarie" che hanno riempito mezzo mondo di morti, di vedove, di orfani, di mutilati, di senza casa.

Ecco: è questa nostra ipocrisia, questa nostra incredibile faccia tosta davanti al peccato e a chi lo compie o lo approva, che sta meritandoci tutti i castighi che si abbattono su di noi. Viviamo male; siamo pieni di paura, di sospetti, d’insicurezze, di angosce, di nevrosi. Il nostro posto di lavoro è costantemente a rischio; non possiamo più fidarci della lealtà delle nostre mogi e dei nostri mariti; non possiamo contare sul rispetto e l’obbedienza dei nostri figli; non sappiamo cosa diavolo viene insegnato loro nelle scuole, o meglio lo sappiamo ma preferiamo far finta d’ignorarlo; non abbiamo alcuna certezza sulla sorte che faranno i nostri risparmi, affidati alle banche ormai divenute pressoché tutte di natura speculativa; non sappiamo se i politici che eleggiamo in regime di apparente democrazia, una volta giunti al governo, saranno coerenti con ciò che avevano promesso, e rispetteranno il mandato popolare ricevuto dagli elettori. Non sappiamo neppure se il nostro sistema sanitario è fatto per curarci o per farci ammalare; non sappiamo se è in atto una pandemia o un gigantesco inganno; non sappiamo che cosa ci sia nei vaccini che sempre più insistentemente vogliono obbligarci a fare, sia contro l’influenza sia contro quest’ultimo virus che non si sa da dove sia arrivato, e che viene paragonato a quello della peste o del colera, anche se i numeri dicono che esso provoca una mortalità dello zero virgola qualcosa, come tutte le altre influenze stagionali, ma che intanto viene utilizzato dal potere per chiuderci in casa, farci sospende le attività lavorative e cacciare via da scuola i nostri figli, nonché per sospendere quasi tutte le nostre libertà costituzionali. Non sappiamo cosa ci sia in questi vaccini, o meglio sappiamo che contengono cellule di feti umani abortiti, oltre ad altre sostanze che hanno poco a che vedere col nostro benessere; nessuno ce lo spiega, nessuno chiede di saperlo, e i professionisti dell’informazione, così solleciti quando si tratta d’informarci sulle malefatte coniugali del famoso attore o della famosa cantante, non ci dicono niente di niente su questo argomento, né si scomodano a intervistare e a interrogare gli scienziati, i biologi, i primari ospedalieri. C’è una perfetta congiura del silenzio in proposito, con un livello di omertà da fare invidia alla mafia e alla camorra. E ci siamo limitati a parlare dell’aborto e della mancata informazione, della mancata riflessione su di esso; ma potremmo parlare di dieci, cento altre cose, tutte che spiacciono a Dio perché sono dei peccati. Ma a che servirebbe, quando abbiamo perduto perfino la nozione di peccato?

Se prendiamo un cattolico qualsiasi e gli domandiamo cosa sia il peccato, molto probabilmente per prima cosa alzerà le sopracciglia e assumerà un’aria sospettosa e seccata. Peccato, peccato: ma che linguaggio da Medioevo è mai questo! Non ha senso parlare del peccato ai nostri tempi, perché noi, che siamo cattolici adulti e vaccinati, abbiamo finalmente capito, dopo duemila anni d’ignoranza e di barbarie, che Dio è amore: quindi parliamo dell’amore di Dio, non ci si venga parlare del peccato e di altre vecchie storie, buone per spaventare le vecchierelle ignoranti e i bambini che credono a tutto. E come siamo arrivati a questo punto, che perfino i credenti non sanno più cos’è il peccato, o meglio non sono neanche disposti ad ascoltare questa parola e a dedicarvi un sia pur fuggevole pensiero? Ci siamo arrivai grazie al tradimento del clero modernista e alla scristianizzazione della famiglie. Un filosofo che non era certo un conservatore, anzi era il migliore amico di Paolo VI, Jean Guitton, ben mezzo secolo fa, cioè ai tempi del tanto magnificato Concilio Vaticano II, faceva la pungente ma veritiera osservazione che nei seminari "cattolici" i futuri sacerdoti non studiavano più Agostino, Ambrogio e Tommaso, ma Lutero, Marx e Freud. Il clero attuale viene da quei seminari, ha studiato quegli autori: Bergoglio viene da lì; McCarrick viene da lì; Sosa Abascal viene da lì; James Martin viene da lì; Parolin, Becciu, Galantino, Zuppi, Maradiaga, Tobin, Cupich, vengono da lì. Hanno studiato a quel modo, e disprezzano a quel modo i buoni vecchi teologi di sempre, a cominciare da Tommaso d’Aquino; semmai hanno studiato sui testi di Karl Rahner e il loro modello è stato il Nuovo Catechismo Olandese. E così, come stupirsi se i cattolici, oggi, ritengono l’aborto una cosa normale; il divorzio una scelta legittima; la pratica omosessuale e la sua ostentazione come le cose più bella del mondo, ne fa fede la vicenda di quel parroco del goriziano che ha dovuto andarsene perché si era permesso di disapprovare l’unione civile di un capo scout con un altro uomo. Si faccia attenzione che san Paolo evidenzia uno stretto collegamento fra il rifiuto della verità e il peccato, laddove afferma che gli uomini, pur potendo conoscere, e anzi avendo conosciuto il vero Dio, si rifiutano di adorarlo, e preferiscono adorare gli idoli (e ciò vale anche per i terrificanti idoli della modernità) perché soffocano la verità nell’ingiustizia. Il peccato, infatti, è il frutto di una vita spesa nel rifiuto di Dio; dunque gli uomini che rifiutano Dio e la sua legge rifiutano la verità perché amano l’ingiustizia. Vivere secondo Dio è vivere nell’amore e nella giustizia; vivere nella ribellione contro Dio equivale a vivere nell’empietà e nell’ingiustizia. Lo sappiamo già dal linguaggio comune. Nel linguaggio comune, si dice che una certa cosa è giusta per dire che è vera. Dunque, le menzogna corrisponde all’ingiustizia e la vita degli uomini d’oggi è interamente sprofondata nella menzogna, quindi nell’ingiustizia. I castighi che ci colpiscono, siamo noi stessi ad esserceli attirati sul capo. Saremo capaci di gettarci inginocchio e chiedere pietà a quel Dio che vorrebbe soltanto amarci, e che per amor nostro ha mandato fra noi il suo Figlio Unigenito?

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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