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Che cosa possiamo fare, in questa fase storica?

Prima di provare a rispondere a questa ovvia, istintiva domanda, legata all’istinto di sopravvivenza: Che cosa possiamo fare, in questa fase storica, che ci permetta di difenderci, di non soccombere, di fronte alle forze gigantesche che si sono messe in moto per stritolare popoli e individui, famiglie e identità, patrie e fede religiosa?, è necessario, ancora una volta, fotografare con precisione impietosa la nostra attuale situazione. Non parleremo qui delle cause e delle forze che si adoperano contro di noi: lo abbiamo già fatto molte volte. Parliamo invece del rapporto di forze che esiste fra noi e quelle forze e valutiamo esattamente, oggettivamente, le probabilità che giocano a nostro favore, se pur ve ne sono, e quelle che sono contro di noi.

A che cosa si può paragonare la nostra condizione attuale? Siamo simili a un immenso, sterminato gregge di pecore, e i lupi rapaci si accingono ad assalirci per divorarci. Certo, siamo in tanti: siamo milioni, miliardi: se il numero, di per sé, fosse forza, allora avremmo ottime possibilità di farcela. Ma siamo pecore, irrimediabilmente pecore. Ci è stato instillato, con un lavoro paziente e minuzioso, l’istinto da pecora, che non è, non sarebbe, nella natura umana. O meglio ci è stato instillato l’istinto dello sciacallo quando si tratta di soddisfare il nostro egoismo, magari calpestando gli altri; ma quello da pecora quando si tratta di difendere ciò che ci è essenziale, vale a dire la nostra natura mana. Essere umani, nella prospettiva cristiana, equivale ad essere figli di Dio. Di più: essere fatti a Sua immagine e somiglianza. Di più ancora: condividere la stessa vita, lo stesso orizzonte che fu di Gesù Cristo, il Verbo incarnato, Dio fatto uomo per amore nostro. Ma ora i nostri autentici istinti umani giacciono dimenticati sul fondo della nostra anima, come scorie: di fatto, una metodica e capillare contro-pedagogia ci ha insegnato che sono, appunto, inutili scorie, e che solo sbarazzandocene senza rimpianti avremmo potuto essere veramente uomini. Ma essere veramente uomini è possibile solo se ci si riconosce figli di Dio, creati da Dio e amati da Dio. Se ci si crede autonomi e indipendenti; se si rinnega la propria condizione di creature; se ci si ribella alla sovranità universale di Dio, allora si è qualcosa di meno che uomini, e forse qualcosa di meno che le stese bestie irragionevoli. Si è ribelli, ingrati e votati alla rovina: come i nostri primi progenitori, Adamo ed Eva. Ecco perché è importante, anzi è fondamentale credere alla realtà effettiva, e non meramente simbolica – come oggi va di moda fra i cattolici "adulti" e "maturi" – del Peccato Originale. Chi non crede al Peccato Originale non solo non è un vero cattolico (e che ci starebbe a fare il Battesimo, in tal caso?), ma è anche qualcosa di meno di un autentico essere umano: un pazzo, sulla via per diventare un demone. E c’è chi ci sta guidando, da tempo immemorabile, lungo quella via: chi ci istiga alla ribellione e all’odio contro Dio, il Padre amorevole, per seguire le seduzioni perverse del suo nemico, il Maligno. Ciò che diligentemente, incoscientemente, stiamo facendo: come gregge, s’intende, non tutti quanti come singoli individui. Il piccolo resto c’è ancora: ma quanto, quanto piccolo! E quanto debole e disorientato! E quanto scoraggiato, quasi disperato, perché non vede da nessuna parte uno spiraglio di possibile salvezza! Se siamo coscienti di ciò, noi siamo nel piccolo resto. Per quanto indegni, per quanto miseri, per quanto immeritevoli, siamo nel piccolo resto: e Dio non ci abbandonerà. Gesù infatti ha promesso: Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Matteo 18,20); ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo (id, 28,20).

Dunque, dicevamo che l’istinto della pecora, davanti al pericolo, è solo quello di belare e fuggire. Le pecore non sanno lottare: non hanno zanne, né artigli per affrontare i lupi; e anche se li avessero, non avrebbero il necessario spirito combattivo. Peggio ancora: le pecore sono state indottrinate così bene, sono state sottoposte a un così perfido lavaggio del cervello, che, se mai in esse scocca una sia pur minima scintilla di spirito bellicoso, ciò accade non contro i lupi che si preparano ad assalire il gregge, ma contro le poche, pochissime pecore che si son rese contro del pericolo e stanno cercando di dare l’allarme alle loro inconsapevoli compagne. Questo è il dramma dell’ora attuale: le pecore non comprendono di essere esposte ad una minaccia morale, e consumano le loro forze nel digrignare i denti e agitare gli zoccoli contro le rare compagne che, invece, hanno capito e che vorrebbero mettere in guardia l’intero gregge. Il pericolo, per la massa ovina, non viene dai lupi, ma da qualche pecora strana, dal cervello balzano, che semina la confusione agitando lo spauracchio di pericoli inesistenti. E poi c’è un altro elemento che gioca sa nostro sfavore. Le pecore sono perdute senza i pastori ogni gregge è custodito dai suoi pastori. Nel nostro caso, però, i pastori sono diventati quasi tutti dei mercenari, dei briganti che se ne infischiano delle pecore, anzi si sono messi d’accordo coi lupi per condurre il gregge là dove sarà più facile attaccarlo e distruggerlo. Che cosa possono fare le pecore, se i pastori non ci sono o se si comportano da nemici? Le pecore conoscono la voce del pastore: ma la voce dei pastori che ci sono adesso, no, non le riconoscono, e perciò non sanno che fare, non sanno a quale partito appigliarsi. L’istinto le porterebbe a fidarsi, ad andare dietro a quelli che sembrano essere i pastori; ma un altro istinto, più profondo, più sottile, le rende irrequiete: come mai i pastori stanno conducendo il gregge proprio da quella parte, verso il bosco da cui viene l’odore di selvatico dei lupi feroci? Anche se non comprendono, anche se la cosa sorpassa le loro possibilità d’immaginazione, molte pecore del gregge si stanno sbandando, stanno imboccando altri sentieri, tanto più che anche i cani dei pastori sembrano scomparsi, e quei pochi che si vedono ancora, paiono in tutt’altre faccende affaccendati, sicché ogni pecora, di fatto, è libera di andare a pascolare dove vuole. È solo l’atavico istinto gregario che tiene la maggior parte di loro ancora unite: seguono le prime, docili e mansuete, e le prime a loro volta seguono i falsi pastori, come hanno sempre fatto, ingenuamente, e lo m’perché non sanno, come dice il padre Dante (Purgatorio, III, 84).

Eppure, il nodo della questione è tutto qui: nella mancanza di consapevolezza. I cittadini si sono abituato a fidarsi dello Stato; o, se non proprio a fidarsi, a non aspettarsi che vada oltre un certo limite nel ledere i loro interessi; così come i fedeli si sono abituati a fidarsi della Chiesa, mentre in realtà si sono abituati a fidarsi del clero, e il clero è solo una parte della Chiesa, è al servizio della Chiesa, non è tutta la Chiesa, anzi, se per sciagura dovesse tradire, se mai dovesse apostatare, non per questo la Chiesa cesserebbe di esistere, perché essa è formata dalla Comunione dei Santi e non solamente dal clero che a un dato momento storico ne costituisce l’impalcatura visibile e transitoria. I cittadini si sono scordati della Costituzione, o forse non l’hanno mai letta, né meditata: è per questo che non si accorgono che il governo attuale, calpestando la Costituzione, ha gettato la maschera e si sta rivelando apertamente per quel che era fin dall’inizio, ma in maniera occulta: un governo illegittimo, estraneo al popolo e contrario al bene comune, in quanto finalizzato unicamente a perpetuare se stesso, peraltro al servizio di potentati stranieri, e a trarre ogni possibile vantaggio da una situazione generale a dir poco drammatica, che sta infliggendo ferite immedicabili sia all’economia che al tessuto sociale e alla stessa integrità psichica delle persone. Allo stesso modo, i credenti si sono scordati del Vangelo, non conoscono il Catechismo e solo così si spiega che non si siano resi conto che l’inquilino dei Casa Santa Marta, un abusivo eletto in maniera illegittima e sacrilega, scomunicato latae sententiae perché scelto da un conclave manipolato (cfr. Universi Dominci Gregis, cap. VI, § 80), li sta trascinando lontano da Gesù Cristo, lontano da Dio, lontano dal Bene, e li sta abituando a considerare normale vivere nel peccato, sguazzare pienamente nel peccato, disprezzare i Comandamenti e calpestare la Legge divina. La prova? Il Primo Comandamento, quello fondamentale, sul quale si reggono tutti gli altri, e che anche un bambino che si prepara alla Prima Comune conosce perfettamente, asserisce solennemente: Io sono il tuo Dio; non avrai altro Dio fuori di me. Ma costui, affiancato da vescovi e religiosi scellerati, ha introdotto nella basilica di San Pietro un brutto idolo pagano, sanguinario e primitivo, la Pachamama, per familiarizzare i fedeli con l’idea che è cosa buona e giusta adorare la Madre Terra e non più il Padre celeste e amorevole rivelato da Gesù Cristo, allorché disse: Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Giovanni, 14,6). Non disse: Nessuno può arrivare alla Pachamama se non per mezzo di me; e non disse neppure: Io e la Pachamama siamo la via, la verità e la vita. Non disse che adorare l’uno o l’altro era indifferente, né disse, bestemmiando, che Dio gradisce e approva tutte le religioni, come ha messo per iscritto il falso papa Bergoglio nel documento di Abu Dhabi. Pertanto, se i cittadini e i credenti avessero un minimo di consapevolezza; se avessero fatto caso a quanto di abusivo, d’illegittimo, di fraudolento e di malvagio si manifesta nell’azione parallela di questo Stato e di questa Chiesa, brutte contraffazioni del vero Stato e della vera Chiesa, da tempo di sarebbero riscossi e avrebbero rifiutato di prestare fede a quei signori abusivi, traditori, i quali agiscono per il male comune invece che per il bene.

Ecco: questa è la situazione, in cui ci troviamo, guardata senza fronzoli né pietosi eufemismi. È una situazione quasi disperata. È terribilmente tardi per fare qualsiasi cosa, perché i lupi, travestiti da falsi pastori, si sono abilmente e silenziosamente impadroniti di ogni cosa: hanno cacciato i veri pastori e hanno comportato quelli di essi che avevano uno spirito mercenario. Eppure, ci sono alcuni fattori che giocano a favore delle pecore tradite e abbandonate. Il primo è che il pericolo si è fatto talmente grave e talmente prossimo, che un numero sempre crescente di pecorelle lo ha finalmente fiutato, e incomincia a riscuotersi dalla sua ingenua fiducia verso quelli che non la meritavano. Il secondo è che i lupi rapaci conoscono solo la superbia, l’odio e l’avidità, e ignorano del tutto cosa sia l’amore, che a sua volta può suscitare il coraggio anche nei vili, e l’acutezza anche nei superficiali: pertanto ignorano che nulla si regge senza amore, nulla si regge unicamente con la violenza l’inganno e la corruzione, e che pertanto il loro stesso potere ha ormai il tempo contato, proprio perché giunto al massimo gradi di tensione. Il terzo fattore è che il buon sene della fede, seminato dal vero clero di qualche anno fa e dalle sane famiglie dei nostri nonni, oneste e timorate di Dio, semplici ma non sempliciotte, non è andato interamente perduto. Sia pur con fatica, sia pure a distanza di tempo, alcuni semi sono caduti nel terreno buono e ora stanno iniziando a germogliare, dando vita a delle magnifiche pianticelle, vitali e rigogliose. I buoni sacerdoti ci sono ancora, benché nascosti nel mucchio dei perversi e degli ignavi; le sante famiglie ci sono ancora, benché passino inosservate nello strepito di una società che diabolicamente vorrebbe distruggere la famiglia naturale per sostituirla con svariate forme di convivenza, tutte più o meno gravemente disordinate, tutte pi o meno gravemente spiacenti agli occhi di Dio. È per questo che il satanico potere attuale, tanto il Deep State quanto la Deep Church, ha preso di mira, sin dall’inizio, il sacerdozio e il matrimonio fra uomo e donna: per scardinare le basi stesse della società ordinata e della vera fede, e per seminare al loro posto il massimo del disordine e della perversione. Tuttavia non lo fa in maniera troppo scoperta, bensì in maniera subdola, ingannevole, allo scopo di evitare che le vittime designate, le ignare pecorelle, si avvedano del pericolo mortale che incombe su di loro. Si ricordi che il diavolo non si presenta come l’opposto di Dio, ma come la sua scimmia: mescolando verità e menzogna, tacendo alcune cose vere ed esasperandone altre, il diavolo riesce a contrabbandare un falso vangelo al posto di quello vero, senza che tanti se ne accorgano; come riesce a contrabbandare un falso stato che impone la sua perversa volontà (aborto, eutanasia, educazione gender) e favorisce la sostituzione del popolo italiano con immigrati africani e asiatici, mentre uccide con le tasse e con il lockdown il ceto medio, mettendo in ginocchio l’intero tessuto produttivo. È questa la sua abilità: quella di presentarsi sotto false vesti e carpire la buona fede degli ingenui. Abbiamo lasciato per ultimo l’argomento più importante: la fede, alimentata attraverso la preghiera incessante e la pratica assidua dei Sacramenti (possibilmente dopo aver individuato un vero e buon sacerdote in mezzo al falso clero modernista e massone: ce ne sono, basta saper cercare). Dobbiamo persuaderci di una cosa: che senza Dio non possiamo far nulla, ma stando uniti a Lui possiamo fare tutto. La preghiera non è un di più, e non è neppure una tecnica di training autogeno: è il filo diretto che ci tiene uniti a Dio, e lo strumento mediante il quale possiamo ricevere le sue grazie. Chiedete e vi sarà dato, dice Gesù; bussate e vi sarà aperto. Il segreto è tutti qui. Del resto, basta guardare la storia della salvezza: la fede, coltivata con la preghiera, rende le persone comuni, di per sé insignificanti, capaci di cose sublimi, portare il bene in mezzo alla sofferenza e all’abbandono, o dare l’esempio del coraggio davanti alla crudeltà dei persecutori. Il calendario dei Santi è pieno zeppo di umili, eroiche figure che hanno messo in pratica l’amorevole esortazione di Gesù: Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla (Giovanni 15,5).

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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