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Lei è medievale? Sì, certo: grazie a Dio!

A due giorni dall’uscita del video con l’intervista che il bravo Francesco Toscano mi ha fatto sul tema Viganò parla il linguaggio della verità, per il canale Vox Italia, sento il dovere di ringraziare il pubblico che con tanto calore ha mostrato di averla apprezzata, oltre all’amico Andrea Cometti del sito Accademia di Filosofia Nuova Italia, che l’ha resa possibile. Viaggiare verso le 40.000 visualizzazioni dopo sole quarantotto ore, tanto più per un ospite che interviene per la prima volta su un canale Youtube, non è cosa da poco; ma più ancora della quantità, mi ha commosso la qualità dei commenti, finora oltre 700, la quasi totalità dei quali sono di segno quanto mai positivo, per non dire entusiastico; il che mi conforta sulla giustezza della strada intrapresa e mi conferma nella persuasione che vi è un diffuso desiderio di verità, tanto più forte quanto più asfissiante e miasmatico è il livello di appiattimento e servilismo dell’informazione mainstream. Inoltre, che il rigore intellettuale, la coerenza e l’impegno indefesso nella ricerca della verità vengono apprezzati assai più di quel che non si crederebbe stando alle apparenze, cioè all’immagine della società che viene data da quelli stessi che manipolano quotidianamente e sfacciatamente i fatti, e creano le effimere mode dell’usa-e-getta, e sempre nuovi bisogni artificiali, per tener la gente imprigionata in una gabbia invisibile, una specie di bolla ipnotica che permette ai Padroni Universali, come li chiamava il compianto Giulietto Chiesa, di fare quel che vogliono e decidere a tavolino il destino di sette miliardi e mezzo di persone.

La riflessione che oggi voglio fare, tuttavia, non prende le mosse da quei circa 700 commenti estremamente lusinghieri, dei quali ringrazio gli autori, ma su quelle pochissime note stonate e sgradevoli che, si sa, non mancano mai quando qualcuno osa andare contro la corrente melmosa del Politicamente Corretto; e ciò perché penso, e ho sempre pensato, che se i complimenti fanno piacere sul piano affettivo, su quello intellettuale invece, di solito, sono le critiche che stimolano a progredire e a migliorarsi, approfondendo il proprio punto di vista e rafforzando le basi sulle quali esso si fonda. Bisogna, ripeto, andare a cerare con il lanternino queste voci astiose e biliose; e quindi avrei anche potuto tranquillamente ignorarle, specie considerando che non si tratta di critiche argomentate, frutto di un pensiero ponderato e ragionato, ma di sentenze telegrafiche, inappellabili, che denotano una rabbia e un’aggressività incapaci di motivare se stesse. Tuttavia, se è vero che avrei potuto imparare di più, sul piano intellettuale, da una critica matura che non da scomuniche apodittiche, pure è mia abitudine non scartare mai nulla, neppure le manciate di fango che mi vengono lanciate dietro la schiena, per farne occasione di riflessione, ripensamento e ulteriore maturazione. Uno, ad esempio, se l’è talmente presa per il mio giudizio non favorevole sul suo amato Pasolini, che si vanta di non essere andato oltre e annuncia che non mi seguirà mai più: nessun problema; peccato che non abbia dedicato un minuto a di tempo a prendere in esame le ragioni per cui ho espresso quel giudizio. Un altro ha lodato la mia intervista, però si è lamentato che mi preferisce quando non me la prendo coi meridionali: e di grazia, quando mai l’ho fatto? In quell’intervista, no: evidentemente, in qualche altra sede. Vada allora a rivedere quel tale articolo, o quel video, in cui ritiene che io abbia offeso i meridionali, e poi ne riparleremo. Forse non mi ha letto direttamente, ma si è limitato ad ascoltare giudizi o atteggiamenti che altri mi hanno attribuito. Male: bisogna sempre andare alle fonti, mai fidarsi di versioni indirette. Per quanto mi riguarda, porto con fierezza un nome meridionale, perché mio padre era siciliano, mentre la mamma era friulana e la mia infanzia si è svolta in Friuli (in Sicilia sono stato una volta sola in tutta la mia vita): e sono onorato di aver avuto quei due genitori. Come potrei disprezzare i meridionali in blocco? Sarebbe come disprezzare una parte delle mie radici, e dunque di me stesso, dal momento che noi siamo tutt’uno con le nostre radici.

Poi c’è un signore che mi lancia un duplice insulto, senza aggiungere altro: insulta e basta, come un bambino che ti fa le boccacce e ti mostra la lingua da dietro il finestrino d’una macchina in corsa. Evidentemente non si rende conto di aver commesso un reato e che il telefono potrebbe squillargli in qualsiasi momento da parte della polizia postale, se decido di querelarlo, e che in tribunale sarebbe certamente condannato a risarcirmi i danni, perché è stato così sciocco da firmare con le sue stesse mani la propria ammissione di colpa. Caro amico t’informo di una cosa che evidentemente non sapevi: non esiste il diritto d’insultare gratuitamente il prossimo, la Costituzione non lo prevede, e la legislazione italiana neppure. È chiaro che tu, da buon progressista, non ti sei mai posto il problema: abituato dai modelli della stampa e della televisione progressiste, tu pensi che un progressista può insultare impunemente un "reazionario", e che nei confronti di quest’ultimo non esiste legge o diritto che tenga: è solo spazzatura e chiunque può fargli la pipì addosso. Il tuo maestro deve essere quell’Andrea Scanzi, che nei suoi articoli sul presidente Donald Trump ha ricoperto costui letteralmente di letame, senza darsi la pena di fingere neppure un’ombra di obiettività e senza mai entrare nel merito di ciò che ha fatto, o eventualmente non ha fatto, il Presidente per il suo Paese. Lo insulta volgarmente e basta, e questo sarebbe giornalismo; mentre ogni lode e ogni sorriso sono per il magnifico Joe Biden, cocainomane e pedofilo, padre di un figlio ancor peggiore di lui, che è la somma di tutte le virtù e che rappresenta la sola speranza per il popolo americano. Ebbene, guarda che ti sei sbagliato: le cose non stanno così, e chi agisce come hai fatto tu, poi è chiamato ad assumersene le conseguenze. A parte ciò, se dedico una fugace attenzione a quel signore (e non s’illuda: questa è la prima e ultima volta che parlerò di lui, semmai parleranno i miei legali), che certamente non merita, è solo perché il suo piccolo schizzo di veleno si presta a una riflessione su tutte quelle persone meschine e rancorose che sono state morse dalla tarantola dell’invidia e dal bisogno compulsivo di farsi vedere, di attirare l’attenzione, senza dubbio perché sanno di essere nulla. Ne provo compassione perché solo una vita vuota e piena di frustrazioni può spiegare il loro modo d’agire, magistralmente descritto da Dostoevskij nella figura del protagonista dei Ricordi del sottosuolo. Povero amico, che ne diresti di prendere la vita nelle tue mani e impegnarti a farne qualcosa di meglio che schizzare fango e veleno contro quelli che disperatamente invidi? Perché se non li invidiassi, certo avresti altre cose più interessanti e più importanti da fare, che perder tempo e sprecare energie per insultarli come un qualsiasi misero leone da tastiera.

E veniamo alla critica più interessante. Un signore ha scritto, con fare sentenzioso, dall’alto della sua coscienza illuminata: Lamendola, ovvero il medioevo. Caro amico, anche se non era questa la tua intenzione, sappi che tu mi hai fatto il complimento più bello e più gradito di tutti. Non era la tua intenzione, perché la parola medioevo, per te, è sinonimo di oscurità e barbarie: e la cosa ti pare talmente chiara ed evidente, che non ti sei mai preso la briga di approfondirla, e tanto meno di chiarirla a te stesso. Così hai sentito dire da cento film, romanzi e programmi televisivi; così, probabilmente, la pensavano il tuo professore di storia e quello di filosofia, i quali devono averti indottrinato con innumerevoli lezioni su Voltaire, Kant, Hume, Hegel e Marx, Freud, Gramsci e chi più ne ha, più ne metta, e sbrigato dei giganti del pensiero come sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino in poche battute, tanto ne erano infastiditi e irritati; forse perché, a loro volta, non li avevano mai presi sul serio, o forse perché la loro santità, e il loro stesso essere cristiani, li rendeva automaticamente dei personaggi antipatici, nonché delle figure minori, un po’ buffe, certamente anacronistiche e incapaci di dire una parola utile e interessante agli uomini d’oggi. Insomma, hai appreso anche troppo bene la lezione imparata a memoria dalla cultura dominante, e generosamente distribuita dai vari Umberto Eco, Piero Angela, Margherita Hack, Corrado Augias, Piergiorgio Odifreddi, e così via: dietro le apparenti e secondarie differenze, tutti usciti dal medesimo stampino: illuminista, modernista, positivista, scientista e banalmente materialista. Ebbene, caro amico che credi di assegnare la patente di medievale come fosse un marchio d’infamia, sappi che mi hai reso un grandissimo riconoscimento, per il quale ti ringrazio e del quale vado fiero. Il medioevo è stato, semplicemente, la civiltà cristiana: la civiltà che ha preso sul serio il cristianesimo e ne ha fatto le fondamenta per costruire ogni altra cosa, sia sul piano collettivo che su quello individuale. La civiltà cristiana corrisponde allo sforzo, sempre imperfetto, è chiaro, di realizzare l’insegnamento del Vangelo nella realtà storica: non subordinando il Vangelo alla storia, magari con la scusa di renderlo "più vicino" e "più concreto", come hanno fatto i pessimi padri del Concilio Vaticano II (perché, il Verbo incarnato non era abbastanza concreto?), bensì subordinando, com’è giusto e come è logico per un credente, la storia al Vangelo. La storia è il regno del divenire; il Vangelo è la Parola Assoluta, perché è il Verbo incarnato. Il Vangelo illumina la storia, anche nei suoi momenti più difficili e tenebrosi; la storia senza il Vangelo è il caos, la guerra di tutti contro tutti, l’inferno sulla terra. Chi segue il Vangelo ha sopra di sé una stella polare che lo guida attraverso qualunque mare sconosciuto; chi prende come misura e come punto di riferimento la storia, sprofonda in un labirinto senza fine, che si trasforma in un incubo dal quale ci si vorrebbe risvegliare, ma non lo si può, perché quell’incubo è tutto il nostro sistema vita, e per uscirne bisognerebbe cambiarlo: appunto, convertirsi. Il cristiano è colui che sente la chiamata alla conversione; mentre chi è moderno, chi è illuminista, chi è progressista, sente solo il richiamo delle passioni, del qui e ora, e tutt’al più di una ragione miseramente mutilata, fatta di solo pensiero strumentale e calcolante. Il Vangelo è civiltà, piena realizzazione di ciò che è autenticamente umano; la modernità è la barbarie tecnologica, l’oscurità pseudo razionale e pseudo scientifica che asservisce l’uomo a un progetto disumano, l’egoismo scatenato che alla fine si rivolge anche contro se stesso. Ti sei mai chiesto, caro amico che disprezzi così tanto il medioevo da aver fatto dell’aggettivo medievale l’epiteto squalificante per eccellenza, come mai, dopo il Medioevo, nessun poeta ha saputo scrivere un poema sublime come la Divina Commedia, e nessun architetto ha saputo edificare qualcosa che assomigli, anche da lontano, alla perfezione, alla bellezza, alla grandiosità delle cattedrali romaniche e gotiche? E come mai nessun cantante o musicista moderno abbia saputo creare una suggestione paragonabile al canto gregoriano? A meno che tu sia convinto che Svevo sia meglio di Dante, che il ponte di Calatrava a Venezia sia più bello della Cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto, e che la musica rap o il rock metal siano di gran lunga preferibili alle fughe e alle altre opere per organo di Johan Sebastian Bach. Se lo pensi, allora getto la spugna e desisto da qualunque ulteriore ragionamento. Vuol dire che ti hanno rubato non solo il senso critico e la capacità di ragionare con la tua testa, sostituendoli con formule preconfezionate e standardizzate, ma anche il puro e semplice sentimento di ciò che è bello, il quale è, o dovrebbe essere, innato e istintivo in ciascun essere umano.

Ma ho ancora una cosa da osservare. Il mio interesse principale, non l’unico, è la filosofia, e ciò per la buona ragione che la filosofia consente di guardare dall’alto, e di saper spiegare, di tutti gli altri aspetti della vita e della società, dall’economia alla politica e dall’arte alla scienza; con la sola eccezione della teologia, che è superiore alla filosofia, e della fede, che è superiore anche alla teologia. Ma come, mi dirà qualcuno, tu dunque hai ancora una visione gerarchica del conoscere? Certo; eccome: non per nulla mi vanto di essere definito medievale. E questo perché la vita è gerarchia: innanzitutto gerarchia di valori; poi, gerarchia d’intelligenze; indi, gerarchia di sensibilità. Contrariamente a quel che pensano i progressisti, non siamo tutti uguali: c’è chi vale molto e c’è chi vale poco; c’è chi sa pensare e chi no; chi sa amare e chi sa solamente odiare. Teoricamente, ciascuno di noi ha ricevuto sufficienti talenti per vivere nel modo migliore la propria vita, e offrire qualcosa anche agli altri; di fatto, molti preferiscono coltivare il proprio egoismo, non fanno niente per sviluppare i propri talenti e si accontentano di vivere di rendita, specie se la fortuna li ha fatti nascere ricchi, o belli, o intelligenti, ma di un’intelligenza fredda e calcolatrice. Confesso di essere estremamente selettivo nelle amicizie: non m’interessa avere molti amici, ma averne di buoni. E la stessa cosa mi guida nella ricerca del sapere: non m’importa da quante persone è ascoltato Bach, da quanti viene letto Dante, da quanti viene meditato san Tomaso d’Aquino: fossero pure, come in realtà sono, un’esigua minoranza, in compagnia di Bach, di Dante e di san Tommaso d’Aquino mi sento più ricco del più ricco miliardario. E in compagnia del Vangelo sento che non mi manca nulla, anche se mi togliessero tutto e mi abbandonasse anche il più caro amico (cosa che realmente è accaduta e non una volta sola). Come si può essere soli e abbandonati, se Gesù è accanto a noi? Parafrasando san Paolo nella Lettera ai Romani: se Gesù è con noi, chi sarà contro di noi?

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Biswajeet Mohanty from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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