Il segreto della rinascita è uno solo: tornare a Dio
8 Novembre 2020La Chiesa nell’ora delle tenebre
10 Novembre 2020Si sente dire sovente che qualcuno è in crisi, o che qualcuno è allo sbando, come se le due espressioni fossero equivalenti e pressoché intercambiabili; ma ciò non è affetto vero. Se la crisi deve risolversi in una catastrofe o se, al contrario, si trasformerà in un’occasione di crescita, di maturità e di consapevolezza, ciò è tutto da vedere. E dipende, naturalmente, non dalle circostanze esteriori che l’hanno provocata — una perdita, una delusione, una sconfitta — ma dalla capacità dell’individuo, o meno, di mantenere il dominio di sé quando pare che tutto stia scivolando fuori controllo. Un tempo si udivano frequentemente espressioni come: Sono in crisi, oppure: Tizio è in crisi; oggi assai meno, forse perché ad andare in crisi è tutta la società, e quando un fenomeno diviene generale, il singolo caso non fa più notizia. Quest’ultima considerazione ci conduce a riflettere all’aspetto sociale della crisi: non solo gli individui, ma le comunità e le nazioni possono andare in crisi; e questo è precisamente il nostro caso. Basterebbe il fatto che l’Italia ha raggiunto il primo posto nella triste classifica della denatalità a livello mondiale, per capire che tutto il nostro sistema è andato in crisi: una crisi che da anni, da decenni, non viene rischiarata neppure da un timido raggio di sole. Perfino i rimedi si rivelano inefficaci o controproducenti: il bonus bebè, ad esempio, con il quale, teoricamente, lo Stato incoraggia la famiglie a fare bambini, si è rivelato un incentivo all’ulteriore immigrazione/invasione straniera (si può dire, o è razzismo?; comunque lo diciamo), sommandosi alle pensioni e ai sussidi di povertà generosamente distribuiti non solo agli immigrati, ma anche ai loro genitori, fatti venire appositamente dai Paesi d’origine: gente che non lavora, né ha mai contribuito, neppure in minima pare, alla formazione del P.I.L. italiano, e che d’altronde non ha alcuna intenzione d’integrarsi. Oppure va beneficio di famiglie che sono già alquanto benestanti, le quali semmai dovrebbero cominciare a pagare un po’ più tasse, e non certo ricevere un assurdo regalo da parte della finanza pubblica, assai oneroso per il contribuente di ceto medio-basso, e del tutto superfluo e ingiustificato per chi lo riceve.
Crisi, dunque: crisi demografica; crisi economica; crisi sociale; crisi sanitaria; crisi della giustizia; crisi dei trasporti; ma anche crisi culturale, morale, spirituale, religiosa e perfino intellettuale: si pensi al rapido, inarrestabile tracollo della scuola pubblica, che fino a qualche anno fa insegnava ancora a pensare e a studiare in modo intelligente, e ora è piombata nella più squallida palude del conformismo e dell’appiattimento politically correct. Una scuola dove i veri maestri sono diventati Greta Thunberg, Carola Rackete, Fedez e Bergoglio (nell’ordine, probabilmente); dove i professori esultano per la "vittoria" di Joe Biden e la meritata sconfitta dell’orrido Donald Trump; e dove si insegna che perfino a casa è necessario e doveroso indossare la mascherina. Sì, a casa: avete capito bene. Succede ogni giorno, nelle nostre scuole superiori: ci sono professori e professoresse che pretendono dai loro alunni l’uso della mascherina anche a casa, e ovviamente li controllano tramite lo schermo del computer durante le lezioni on line. Neppure i carabinieri, per adesso, si sognano d’imporre una simile normativa; e perfino il buon Giuseppi ha consigliato, sì, di portare la mascherina anche in casa, ma (bontà sua) per ora si è limitato a consigliarla e comunque in presenza di ospiti e persone estranee. Invece quei professori pretendono, esigono, che gli alunni studino a casa portando la mascherina: non si sa con quale diritto, non si sa a quale titolo, però lo fanno e ottengono obbedienza, perché le famiglie vanno per le perse, quando addirittura non approvano una simile prepotenza e una simile follia. La distruzione dell’intelligenza e dello stesso buon senso più elementare sono arrivate a questo punto. Altro che luogo dove si insegna a pensare e dove si imparano gli autentici diritti del cittadino, non quelli abusivi rivendicati negli ultimi anni, e non di rado ottenuti, da minoranze aggressive che il potere utilizza come cavalli di Troia per scardinare la società, suo obiettivo finale. Oggi la scuola è divenuta il luogo del non pensiero, del nichilismo, del così fan tutti, oltre che della più crassa ignoranza.
La crisi, dunque, è un passaggio fondamentale nel percorso della vita umana: una porta stretta, dalla quale si può uscire piegati, distrutti, in balia delle forze estranee (e qui ci mettiamo anche le persone affettivamente più vicine, allorché sono, o diventano, oppressive e distruttive), oppure più forti, più consapevoli, più liberi di quanto si era prima: insomma, completamente trasformati e rinnovati. Tutti dobbiamo passare per quella porta stretta, e di solito più volte: non c’è modo di evitarla, perché tutta la vita umana, a ben guardare, è una incessante crisi, nel senso di mutamento, scelta e decisione. Nondimeno, quasi sempre vi si giunge impreparati, anche se per farne un’occasione di rinascita è necessario avere un certo grado di consapevolezza. Vale la pena di riflettere su una pagina del medico e psicoterapeuta Rüdiger Dahlke, tratta dal libro Crisi personale e crescita interiore (titolo originale: Lebenskrisen als Entwicklungschancen, München, Bertelsmann Verlag, 1995; traduzione dal tedesco di Laura Antonella Pozzi, Roma, Ed. Mediterranee, 1997, pp. 17-18):
Il termine greco "crisis" significa oltre a crisi anche decisione, separazione, conflitto, divisione, giudizio, scelta e prova. L’ideogramma cinese di crisi è identico a quello di pericolo e di occasione. Non dovremmo limitarci a considerare la crisi unicamente in senso negativo, come accade per esempio nella lingua tedesca. Conosciamo infatti nel campo della medicina il termine "crisi di guarigione" e definiamo generalmente come "crisi" la fase critica di una malattia. Da questo punto in poi, se le cose vanno per il verso giusto, ha inizio la guarigione, dunque la crisi è anche il punto di svolta per un miglioramento. Se interpretiamo questo termine anche come "decisione", come accadeva per gli antichi greci, abbiamo la chiave dell’essenza di ogni crisi. Grazie alle interpretazioni che il popolo cinese dà di questo termine e includendo l’espressione "occasione", abbiamo una visione globale di esso. La definizione di Karl Jaspers è molto simile: "Nel corso dell’evoluzione la crisi denota l’istante in cui il tutto si modifica, compreso l’uomo stesso, sia che questo sia avvenuto per sua volontà che per errore". E ancora: "La storia della vita non si evolve regolarmente nel tempo, bensì dispone di esso da un punto di vista qualitativo, spinge lo sviluppo dell’esistenza all’estremo, finché è indispensabile prende una decisione. Solo opponendosi allo sviluppo l’uomo può fare il vano tentativo di temporeggiare sulle decisioni, senza poi prenderne una. In questo modo è lo sviluppo reale della vita a decidere per lui. La crisi sopraggiunge a suo tempo; non si può ignorarla o evitarla. Come ogni altra cosa nella vita, essa deve maturare. Non deve essere interpretata necessariamente come una catastrofe, ma può al contrario manifestarsi per sempre, senza che esteriormente ce ne si accorga".
Effettivamente ogni crisi ci pone di fronte alla condizione di decidere se accettarla consapevolmente o respingerla per quanto è possibile. Già in questo momento viene deciso se essa diventerà un pericolo oppure un’opportunità. L’antico pensiero cinese, che ruota attorno alla polarità di Yin e Yang, vede ancora l’unità dietro a queste due eventualità contrapposte.
Anche ogni malattia implica la medesima decisone. O viene accettata, trasformandosi così in un’occasione, oppure viene respinta, diventando un pericolo. Già l’insorgere di malattie implica una decisione. Se quest’ultima non viene presa coscientemente, la sua energia passa inevitabilmente nell’inconscio. Spesso si manifesta in seguito sotto forma di malattia. La tematica originaria viene poi rappresentata simbolicamente dai vari sintomi. Siamo quindi continuamente divisi fra l’affrontare coscientemente o l’evitare momentaneamente questo problema, in condizioni difficili, in quanto misteriose. Anche se non riusciamo quasi più a prendere consciamente tale decisione, poiché scegliamo ormai per abitudine la strada della repressione apparentemente più facile, le decisioni vengono comunque continuamente prese.
Ogni qualvolta ci rifiutiamo di affrontare un problema, viene automaticamente a crearsi un divario tra corpo e anima. Se questo diventa insopportabile a causa dell’eccesivo allontanamento tra i due, l’organismo cerca di porre rimedio da sé a questa situazione. O l’individuo si ammala, oppure sopraggiunge una crisi di diversa natura di fronte alla quale si può prende una nuova decisione, Entrambe le possibilità rappresentano un tentativo di riavvicinare corpo e anima. Ciò accade perlopiù comprendendo consapevolmente il dramma rappresentato sul palcoscenico della società o del corpo.
L’autore, da medico e psicoterapeuta qual è, insiste, giustamente, sull’aspetto medico e psicologico dello stato di crisi, per gli effetti che produce sulla psiche e sull’organismo qualora non venga affrontata con lo spirito giusto, e la decisione venga dilazionata oltremisura a causa di un’incapacità dell’individuo di misurarsi con la sfida che essa rappresenta. A noi, invece, interessa soprattutto l’aspetto filosofico, e ciò che vogliamo evidenziare è che la "soluzione" prospettata dall’antica filosofia cinese, e più precisamente taoista, consistente in una complementarità degli opposti basata sulla loro identità e diversità, ci sembra inaccettabile sia alla luce della ragione naturale, sia alla luce della Rivelazione cristiana. L’idea che il bianco debba includere il nero e il nero della includere il bianco, o che il principio maschile debba includere quello femminile e viceversa, tanto seducente sul piano dialettico — al punto da aver fornito l’impalcatura fondamentale del pensiero idealista — quanto, all’atto pratico, velleitaria e pericolosa. Si tratta, a ben guardare, di un sistema gnostico: è lo gnosticismo che delinea una coincidentia oppositorum fra il principio della luce e il principio delle tenebre, fra il cielo e la terra, fra il bene e il male. Ed è anche un sistema alchemico ed esoterico: è l’esoterismo alchemico che sostiene la coincidenza di ciò che sta in alto con ciò che sta in basso, per realizzare l’opera magica della Cosa Unica. Lo gnosticismo persegue l’illuminazione come via di salvezza, mentre l’esoterismo persegue la conoscenza come via per l’illuminazione: i due sistemi si integrano e si completano a vicenda. Ogni gnosticismo inclina verso l’esoterismo e ogni esoterismo è una forma di gnosticismo. L’esoterismo alchemico, in particolare, persegue il ritorno all’unità indifferenziata, al divino Ermafrodita, ossia all’individuo che ha in sé entrambe le nature, maschile e femminile, e che pertanto è pienamente autonomo, pienamente autosufficiente, pienamente realizzato. Inutile dire che i tempi in cui viviamo sono straordinariamente propizi a questo tipo di visione filosofica: nel relativismo dilagante e nella confusione totale delle certezze, a partire dalla propria identità di genere, si potrebbe quasi pensare che il transessualismo oggi propagandato con tanta insistenza sia la forma più nobile di realizzazione della dimensione sessuale, e corrisponda a uno sguardo più ampio e onnicomprensivo sul mondo; anche se una tale conclusione avrebbe fatto orrore ai grandi alchimisti dei secoli passati, e senza dubbio pure ai maestri taoisti, i quali, al contrario, non persero mai di vista la necessità della chiara distinzione degli opposti, pur nella loro complementarietà. D’altra parte, la cultura moderna vive di semplificazioni: lo Yoga per tutti, il Tao per tutti, l’esoterismo per tutti, sebbene siano evidenti contraddizioni in termini, creano un ricco mercato di sprovveduti in cerca del maestro ‘giusto’, del libro o del corso di mediazione suscettibile d’illuminarli, Dio sa in che cosa e in qual modo.
Da parte nostra, osserviamo che la ragione naturale dice, per il principio di non contraddizione, che due cose distinte non potranno mai diventare una sola, se non annullandosi e cessando di essere se stesse; che ciò, peraltro, non è né desiderabile, né realizzabile, se non a prezzo di una forzatura del tutto artificiale, che violenti la loro reale natura; e che se mai lo fosse, ciò equivarrebbe all’avvento del caos, l’ordine essendo basato sul fatto che una cosa è quella e non altra e ciascuna cosa, essendo se stessa, conferisce un senso al tutto, e solo se è identificabile come tale, sottrae l’esistente al vortice folle dell’indifferenziato. Come potrebbe la luce diventare tenebra, o la tenebra diventare luce; come potrebbe il bene essere tutt’uno col male, e il male col bene; e il vero col falso, e il falso col vero? La Rivelazione cristiana, poi, assicura che luce e tenebra sono due cose completamente diverse e opposte; che la tenebra non è un principio auto-sussistente e originario, ma una perdita della luce, così come il male è una perdita del bene e la menzogna è una corruzione della verità. Pertanto, non è con l’approccio suggerito da studiosi e psicoterapeuti come Rüdiger Dahlke che ci sentiamo di raccomandare che si affronti la battaglia della crisi: e ciò sia per quel che riguarda la crisi dell’individuo, sia per quella sociale. L’obiettivo finale deve essere uno solo: una più approfondita consapevolezza di sé e del mondo; e il necessario presupposto è la coscienza di ciò che si è, tanto come individui che come corpo sociale. Solo sapendo ciò che si è, ci si può trasformare, si può crescere e divenire migliori; non annullandosi nella polarità opposta, cancellando l’identità originaria. Un dio potrebbe forse fare una cosa simile, non l’uomo. E tale, infatti, è il peccato di orgoglio in cui cade ogni forma di gnosticismo e di esoterismo: la folle pretesa di auto-divinizzarsi…
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