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Il nostro progetto di vita? Fare la volontà del Signore

Si sente dire che è necessario avere un progetto di vita, altrimenti non si va da nessuna parte. Perché l’espressione abbia un significato, bisogna però precisare cosa s’intende per "progetto di vita". Se s’intende che ciascuno è libero di costruirsi il progetto che gli pare e piace, secondo una volontà, o meglio un capriccio, totalmente soggettivo, allora sarebbe quasi meglio per quella persona non avere alcun progetto e vivere piuttosto alla giornata. Vivere alla giornata e non formulare alcun progetto per la propria vita è male, ma avere un progetto sbagliato e distruttivo è una cosa ancor peggiore. Chi vive alla giornata potrebbe anche imbattersi, una volta o l’altra, nell’occasione buona per fermarsi a riflettere, avere un ripensamento e un soprassalto di consapevolezza, e imboccare finalmente la strada giusta. Vivere secondo un progetto sbagliato significa avviarsi sicuramente verso lo spreco di sé, con esiti che potrebbero essere irreparabili: perché gli errori si sommano e si moltiplicano e a un certo punto ingabbiano l’esistenza a un punto tale che diventa pressoché impossibile uscirne e ritornare a un’esistenza autentica. Pertanto, il solo modo per vivere la vita autentica è quello di avere un chiaro e giusto progetto di vita: non uno qualunque, ma il solo mediante il quale la vita di quel singolo essere, la sua e nessun’altra, acquista un significato e viene spesa in modo proficuo e costruttivo. Il punto essenziale è questo: ciascuno di noi ha davanti a sé una quantità teoricamente illimitata di strade da percorrere, ma una sola è quella che gli è stata destinata, una sola gli è stata preparata affinché egli la riconosca, la segua e vada avanti sino in fondo, sino alla meta. Chiariamo intanto, a scanso di equivoci, che il progetto di vita non coincide con la scelta delle cose da fare. Le cose che si fanno nel corso della vita acquistano un reale significato a seconda che riflettano o meno l’autentico progetto di quella vita; ma questo non si esaurisce nella loro somma, è qualcosa di assai più ampio. Il progetto di vita è l’orizzonte di senso che ciascuno può dare, ed è chiamato a dare, alla propria esistenza: e tale orizzonte prescinde dalle cose pratiche e dalle situazioni contingenti che formano l’orizzonte immediato di quella esistenza. Perché l’esistenza di ciascuno si articola, o può articolarsi, su numerosi livelli: dal più basso, quello puramente animale, al più alto, quello puramente spirituale. Non tutte le scelte esistenziali, né tutti i progetti di vita, corrispondono ad un orizzonte di senso: perché questo ci sia, è necessario che il progetto di vita e le singole scelte siano conformi a un Progetto più grande, cosmico, nel quale ogni singola vita e ogni singola cosa esistente sono inserite. Pertanto non è possibile immaginare un progetto di vita che sia in contrasto con il Progetto universale: se il progetto di vita è basato sull’egoismo, sulla menzogna e sulla malvagità, esso non asseconda, ma contrasta radicalmente con il Progetto universale, nel quale è contemplata la realizzazione del bene di ciascuno, e nulla può esserci che si attui in contrasto con il bene altrui.

In termini cristiani, il Progetto universale può essere definito mediante il concetto della divina Provvidenza. Nella mente di Dio tutto è assolutamente bene, senza alcuna traccia di male; e ciò che appare male dal punto di vista meramente umano, è bene in senso assoluto, semplicemente perché la mente umana non è in grado di cogliere le infinite relazioni esistenti fra le cose passate, presenti e future, ma vede e giudica le cose in maniera rozza e istintiva, secondo le categoria della soggettività e dell’immediatezza. Ciò che alla mente individuale sembra bene qui e ora, per essa è bene; ma nella Mente divina le cose sono bene solo se contemplate nell’insieme e dall’alto, tutte le cose simultaneamente, anche quelle in apparenza più lontane, perché ogni cosa è in realtà legata ad ogni altra da mille fili misteriosi, e non c’è una sconfinata galassia che non sia collegata al più umile filo d’erba, né vita individuale che non sia collegata a mille e mille altre, sia già esistite, sia ancora da venire, oltre a tutte quelle che esistono contemporaneamente a lei. È responsabilità della cultura moderna aver scordato completamente questa legge fondamentale del reale, mentre i nostri avi la conoscevamo benissimo, anche se in forme semplici ed empiriche e non filosoficamente elaborate: sapevano, ad esempio, che non si può realizzare la propria felicità calpestando il bene degli altri, così come sapevano che da un’azione malvagia, alla lunga, non potrà germogliare nulla di buono, anche se nell’immediato essa sembra che paghi. Queste semplici, intuitive verità facevano parte del bagaglio morale delle persone comuni e venivano insegnate e trasmesse ai figli e ai nipoti, e ciò contribuiva a dare alla società un grado di coesione e di saldezza che oggi sono solo un lontano ricordo, poiché nella cultura contemporanea dominano l’egoismo e la sopraffazione reciproca, e ciascuno è proteso ad inseguire il proprio bene apparente infischiandosene del male che può recare ad altri. E abbiamo precisato "il proprio bene apparente" perché, in effetti, non potrà mai accadere che un’azione intrinsecamente malvagia procuri un bene effettivo a colui che la compie: tutto al contrario, inevitabilmente essa si ritorcerà contro di lui, e gli farà scontare moltiplicato per dieci il male compiuto, e poi ancora, e ancora, innumerevoli volte, fino a quando non avrà compreso il proprio errore e non si sarà ravveduto. Questo, almeno, è ciò che il Progetto universale, vale a dire la divina Provvidenza, contempla affinché si realizzi il bene delle anime: una continua pedagogia dell’autocoscienza e della redenzione. Ma va da sé che se un individuo rifiuta, ostinatamente e scientemente, ogni occasione di ravvedimento, e se ignora o disprezza ogni occasione di bene – e la vita ne presenta sempre in grande quantità -, allora costui si procura con le proprie mani un destino nefasto, dal quale nulla e nessuno lo potranno mai più riscattare. Ed è ciò che in termini cristiani si chiama la dannazione eterna.

Ci piace riportare una riflessione dello psicologo e psicoterapeuta Gino Soldera, tratta dal suo libro Le emozioni della vita prenatale. Guida alla scoperta dell’universo originario del bambino, Macro Edizioni, 2000, pp. 174-176):

Il progetto di vita individuale ha in sé quanto occorre ed è necessario per permettere all’essere umano di diventare se stesso e di realizzare le potenzialità personali di cui è dotato fin dal concepimento, seguendo un percorso unico e originale. Questo percorso è caratterizzato da modi e tempi propri, in cui le diverse situazioni che presenta la vita e le risorse disponibili non sono fini a se stesse ma il mezzo e la possibilità per affrontare quei passaggi, che possono essere costituiti dagli ostacoli e dalle difficoltà interne ed esterne, necessari per favorire il cammino di maturazione personale.

Vivere di rendita sulle proprie capacità fisiche, intellettuali e artistiche senza lavorare per degli obiettivi più avanzato o senza risolvere i problemi irrisolti o superare i traumi dell’infanzia può, alla lunga, avere effetti negativi. Ciò può portare ad una sorta di degenerazione personale morale e a perdere di vista le enormi possibilità umane che la vita offre, e che necessitano di essere esplorate e conosciute per poter diventare proprie, come si è osservato in molti personaggi famosi tra i quali Marlyn Monroe ed Elvis Presley.

L’attrice Judy Garland, nata nel Minnesota in una famiglia di artisti di teatro, cominciò a dimostrare le sue abilità all’età di due anni, appena fu un grado di camminare, ebbe una vita professionale trionfale, e coloro che ebbero modo di danzare, cantare e fare con lei dei film, compresi i critici, le tributarono un’ammirazione sconfinata. Questo però accanto a tutta una serie di scene isteriche prima dello spettacolo, all’uso di bevande alcoliche, all’assunzione di psicofarmaci, alla pratica del sesso indiscriminato e a dei tentativi di suicidio, che la portarono ad allontanarsi sempre di più da se stessa senza permetterle di trovare delle mete su cui ancorarsi. Così andò un po’ alla volta sempre più in basso, alla deriva, fino alla morte avvenuta in un gabinetto.

Altre persone invece una volta toccato il fondo hanno deciso di cambiare vita e di prendere in mano se stesse per risalire la china, così da poter conoscere ed esplorare le gradi risorse del mondo interiore, come ha fatto a suo tempo Dante Alighieri, immortalato dalla sua opera "La Divina Commedia", la quale approfondisce ripercorrendo, a uno a uno, i vari gradi della vita dell’uomo: inizia dall’inferno, per snodarsi poi lungo il purgatorio, fino a raggiungere alla fine il paradiso…

Al progetto di vita, anche se vogliamo, non è possibile accedere direttamente, perché possiamo dire che esso si cela nel profondo del nostro cuore e ai nostri occhi si rende invisibile, come i pensieri che continuamente albergano nella nostra mente. Però, se si presta la giusta attenzione in un atteggiamento aperto e privo di pregiudizi, che spesso sono la tomba della nostra coscienza, esso ci fa arrivare continuamente suoi messaggi e notizie nelle forme e nei modi più disparati, i quali dipendono molto in quel momento dal rapporto che abbiamo con noi stessi e con il nostro mondo interiore. Se questo viene costantemente negato e nascosto allora il progetto di vita può farsi conoscere nelle forme più nascoste, come il linguaggio del corpo o particolari disturbi funzionali, oppure attraverso forti impulsi, non sempre controllabili, verso qualcosa o qualcuno, o con situazioni di vita che continuamente si ripetono o si presentano davanti ai nostri occhi.

Il concetto che nessuno può vivere di rendita sulle proprie capacità naturali, e che, anzi, chi lo fa, va incontro a un fallimento esistenziale pressoché certo, è fondamentale per capire che la vita umana esige da ciascuno l’adozione di un chiaro e coerente progetto di vita, e che tale progetto non può essere fondato sull’egoismo, né sul parassitismo. Si può vivere in maniera parassitaria sia predando le energie e la disponibilità degli altri, come fanno gli individui abituati a sfruttare il prossimo, materialmente e moralmente, cominciando dalla moglie, dal marito, dai figli, sia sfruttando se stessi, vale a dire attingendo senza misura alle proprie attitudini innate senza però elaborarle, svilupparle, coltivarle e soprattutto senza far nulla per metterle al servizio di un progetto di crescita personale e di consapevolezza di sé. Una donna molto bella, per esempio, può abituarsi a giocare tutte le sue carte sul fascino che sa di esercitare sugli altri a motivo del proprio aspetto, e ciò fin da bambina; alla lunga, però, questa strategia esistenziale si rivela disastrosa, perché impedisce qualsiasi evoluzione e crea la continua aspettativa di ricevere l’altrui ammirazione. Quando, però, l’età fa sfiorire la sua bellezza, quella donna, ostinandosi a puntare sulla seduzione del proprio fisico, finisce per diventare patetica e per collezionare sconfitte, frustrazioni e amarezze sempre più gravi, che fatalmente la porteranno alla depressione e alla disistima di sé. Infatti, per avere stima di se stessi bisogna conoscere il proprio valore; ma il proprio valore non può consistere nella continua ostentazione delle proprie doti fisiche. La stima di sé deriva dalla consapevolezza del proprio valore intrinseco: evidentemente, chi punta tutte le sue carte sulla bellezza fisica sa, inconsciamente, di non avere alcun valore intrinseco, ossia di avere un io fatto di nulla. Analogamente, un uomo che punti tutte le sue carte sulla ricchezza, o sul potere, mostra una eguale ignoranza sulla vera natura del proprio io, che non è fatto né di denaro, né di potere; e se l’uno o l’altro dovessero esaurirsi, allora verrebbe a galla l’insussistenza di quella persona, la sua incapacità di farsi amare e apprezzare per i propri meriti personali e non per il suo portafogli ben fornito o per i favori che può elargire agli altri dall’alto della sua posizione sociale.

Un’altra osservazione ci sembra importante per completare le linee essenziali del quadro (le cose da dire sarebbero tante che non basterebbe un libro intero). Quando diciamo che un individuo punisce in realtà se stesso allorché compie il male, dobbiamo precisare che ci sono due modi di fare il male. Il primo, il più ovvio, è quello attivo e intenzionale: sappiamo che calunniare, rubare, desiderare le donna del nostro amico sono azioni moralmente cattive, ma le facciamo lo stesso, soltanto perché non riteniamo che valga la pena di trattenersi. C’è poi una maniera più sottile di fare il male, che consiste nel non fare, a se stessi e agli altri, il bene che si potrebbe, che sarebbe giusto e che le stesse circostanze ci suggeriscono. E quando non intraprendiamo la strada che ci è stata preparata e che i credenti chiamano "vocazione", noi non stiamo facendo il nostro bene, ma il nostro male. È male tutto ciò che va al di fuori del progetto che Dio ha per ciascuno di noi. Dio ci conosce uno ad uno, sino al più profondo dell’anima, compresi gli aspetti che ci sforziamo di tener nascosti non solo agli altri, ma anche a noi stessi. E conoscendoci, ci invita a percorre la strade migliore per noi, che è anche la migliore per quanti ci stanno intorno. La migliore non significa che sarà anche la più comoda e facile: al contrario, in genere è la più ardua e faticosa. Tuttavia, mai c’imporrà un compito superiore alle nostre forze, perché ci ama e ci ha amati fin da prima che fossimo concepiti. Come un padre trepidante per i suoi figli, fa di tutto per ricondurci a Sé: tale è il progetto di vita di ciascuno…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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