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Il nemico mortale della fede è lo storicismo

Tutto il sistema di vita moderno, tutta la società moderna, tutta la cultura moderna sono orientate radicalmente, per la loro stessa natura e non per qualche variabile secondaria, in senso antireligioso, anticristiano e anticattolico (in quest’ordine preciso: infatti la prima forma di modernizzazione del cristianesimo è stata la cosiddetta riforma protestante), tant’è che bisogna fare una scelta: o si è moderni o si è cristiani. Tuttavia, se fra tutti gli aspetti della mentalità moderna dovessimo indicare quello che più di ogni altro ha concorso, e concorre pur ora, alla scristianizzazione del mondo e alla perdita della fede da parte degli uomini, indicheremmo senza esitare lo storicismo. Lo storicismo, infatti, ossia l’assolutizzazione dell’elemento storico fra tutti gli altri che concorrono a determinare la realtà, è il compendio di tutto ciò che, nella visione moderna del reale, si oppone alla fede e contrasta irrimediabilmente e implacabilmente con la visione religiosa. Il suo esito naturale è il relativismo: se tutto è storico; se ogni cosa è soggetta a modifiche, aggiornamenti, sostituzioni; se non c’è nulla di stabile, di assoluto, di definitivo, allora anche la verità è relativa, e dunque non può esserci una religione vera, una verità certa e assoluta, ma tutte le religioni sono buone finché hanno fatto il loro tempo e hanno svolto la loro funzione, poi divengono sorpassate, obsolete, e sono cestinate dalla storia stessa, per essere sostituite da altre. Ora, con la modernità, siamo nella fase in cui color che sanno, gli intellettuali, si mostrano scarsamente interessati a sostituire la penultima religione, il cristianesimo, con un’altra, sia essa il panteismo, la New Age o qualche forma di sincretismo fra le maggiori religioni esistenti, bensì punta a sostituirla con una visione definitivamente emancipata dal divino, o comunque dal trascendente, per sostituirla con una pienamente umana, immanente, intellettuale, che in definitiva non può non coincidere con una sorta di auto-celebrazione e auto-glorificazione dell’uomo stesso.

D’altra parte, lo storicismo è il modo di vedere la realtà tipico delle persone che si credono molto razionali, molto positive e molto realistiche; e poiché la cultura moderna è fatta essenzialmente da un tal genere di persone, la cultura moderna è essenzialmente storicista. Disgrazia ha voluto che le persone colte del cristianesimo, i teologi, i biblisti, gli studiosi di antichità, hanno contratto infallibilmente il morbo dello storicismo e l’hanno introdotto nel sacro recinto della verità cristiana, diffondendo il contagio nel clero e da lì, per un naturale fenomeno di trasmissione, ai fedeli laici. Tutto ciò si è verificato a partire dal XIX secolo, nel momento di massimo sviluppo e di autentico trionfo delle scienze storiche, specie in area tedesca; e infatti, ancora una volta, l’infezione è partita dal protestantesimo, con la fascinazione degli studiosi protestanti per gli splendidi successi della storia, fascinazione che poi si è trasmessa agli studiosi cattolici, passando per i cattolici tedeschi, inglesi e francesi. Il modernismo, all’alba del XX secolo, è stato il momento chiave nella diffusione di un tale contagio: è con il modernismo che si è diffusa fra i cattolici l’idea che , per essere cristiani "adulti" e "maturi", bisogna passare i Vangeli e la Bibbia al setaccio degli studi storici comparati, secondo i più aggiornati criteri di matrice filologica, e il bel risultato è stato che nel giro di una o due generazioni i cattolici colti hanno incominciato a sentirsi inadeguati, goffi, ridicoli, a paragone dei non cattolici, questi ultimi liberi dal fardello di una tradizione obsoleta e di un modo di vedere il mondo arcaico e decisamente intriso di credulità e superstizione. Ed ecco che insensibilmente la Tradizione, ossia il deposito prezioso della Rivelazione trasmessa per via orale dalla Chiesa, ha incominciato a diventare "tradizione", con la lettera minuscola: un bagaglio di vecchie credenze e di vecchie abitudini mentali che, per forza di cose, bisognava mettere in soffitta, essendo impossibile aggiornarlo e riformarlo, e sostituirlo con quanto veniva via, via "rivelato" dal progresso degli studi storici, filologici, biblici. L’intellettuale cattolico si scordato di essere un uomo di fede e si è calato interamente nella parte di studioso moderno: ha ricevuto il plauso del mondo e si è liberato dai suoi complessi d’inferiorità nei confronti di esso.

C’era però un grosso problema da risolvere, un imbarazzante nodo che andava sciolto ad ogni costo, altrimenti tutti gli sforzi per diventare "adulti" e "maturi" ed essere accettati dagli esponenti della cultura moderna, a cominciare appunto dai protestanti, sarebbero stati letteralmente gettati al vento. Il problema era, ed è, questo: che la massa dei fedeli, essendo formata da persone meno colte degli specialisti e degli eruditi, non aveva, e non ha, una mentalità storicista: non trova affatto normale pensare che la Verità assoluta debba inchinarsi innanzi a delle verità relative, né che la Tradizione debba scadere a un fascio di vecchie e un po’ patetiche tradizioni, care ai nostri nonni, ma insomma da riporre definitivamente nel solaio. Situazione paradossale: il cristianesimo, che si è affermato, al tempo dell’Impero Romano, partendo dalle persone incolte e solo alla fine ha conquistato anche le persone colte, adesso era nelle mani delle persone colte che, però, con maggiore o minore consapevolezza, erano ben decise a traghettarlo verso le magnifiche sorti e progressive della cultura moderna, firmando con ciò la sua condanna a morte, anche se il decesso avrebbe richiesto ancora qualche generazione per dirsi definitivo. E qui più che mai vengono alla mente le sacrosante parole di Gesù Cristo, relative proprio alla questione del rapporto fra la fede e la cultura (Mt 11, 25-26): «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.  Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te». In un certo senso, ciò che ha rovinato il cristianesimo è stato la pretesa d’intellettualizzarlo. Diciamo "in un certo senso", perché non c’è nulla di male, tutt’altro, nel voler stabilire un accordo tra ragione e fede: un gigante come san Tommaso d’Aquino ha dimostrato che la cosa è possibile, auspicabile, necessaria; e nessuno ha saputo andare oltre di lui, nessuno è stato capace di superarlo. Il problema è che, con l’avvento della cultura moderna, anche la ragione è stata modernizzata e, per così dire, intellettualizzata (potremmo anche dire: matematizzata). Lo si vede già con Cartesio, e diventa un esplicito programma ideologico con Kant e l’illuminismo. La ragione moderna non è la ragione di san Tommaso e non è neppure quella di Aristotele: è una ragione di tipo assolutamente nuovo, che si considera "libera e spregiudicata", ossia svincolata da un orizzonte di senso ed emancipata da qualsiasi fine. È una ragione (massonica) che serve se stessa, che adora se stessa e pretende di rifare il mondo, non trovandolo del tutto di suo gusto. Pertanto essa abbandona il sano realismo di Aristotele e di Tommaso e si avventura nelle più strampalate e solipsistiche costruzioni, che trovano in Fichte e in Hegel il vertice del delirio di onnipotenza, e proseguono poi, sempre più stancamente e pessimisticamente, nei vaneggiamenti e nelle fumisterie degli esistenzialisti, di un Heidegger, di un Sartre, uomini che nessuno, al tempo di Aristotele o anche di san Tommaso, si sarebbe sognato di definire filosofi; per poi chiudersi nella fortezza del "pensiero debole", istituzionalizzando, per così dire, la propria fragilità e la propria impotenza. Esito inevitabile di tutte le torri di Babele costruite dall’uomo moderno.

Che fare, dunque, di questa massa di cattolici non ancora modernizzati, ossia non sufficientemente civilizzati, o comunque non abbastanza da evitare di sfigurare troppo nei salotti buoni della cultura moderna, dove gli intellettuali (ex) cattolici smaniano per arrivare e, una volta che ci siano arrivati, non possono proprio farne più a meno, sicché si vergognano da morire ad ammettere di professare la stessa religione del popolino, dei bambini e delle vecchiette, fatta anche di manifestazioni esteriori, di pubbliche preghiere, di processioni, di voti e di pellegrinaggi ai santuari mariani? Valga per tutti il caso di quei monsignori e di quei professori universitari, sedicenti cattolici, ma di fatto esponenti del radicalismo pseudo cattolico di estrema sinistra, ospiti pressoché fissi nei programmi "culturali" di certe reti televisive, presso certi giornalisti specializzati nell’arte di spargere il sottile veleno dell’incredulità, dell’eresia e dell’apostasia fra i cattolici. Anche se essi cattolici non sono e perciò, da parte loro sarebbe intellettualmente onesto lasciare che il dibattito interno al cattolicesimo vada per il suo verso, anziché volerlo indirizzare mediante una regia esterna, che poi sarebbe la loro, al fine di renderne gli esiti perfettamente adeguati e conformi alla loro ideologia: laicista, materialista, empia, irreligiosa e totalmente sdraiata sui dogmi irrinunciabili del Politicamente Corretto: libero aborto, eutanasia, unioni omosessuali, fecondazione eterologa, utero in affitto, famiglie arcobaleno, e chi più ne ha, più ne metta. E dunque, nel momento in cui i vescovi e gli intellettuali (ex) cattolici, bramosi di modernizzarsi, si sono contati e hanno scoperto di essere in maggioranza, o meglio, hanno scoperto che la maggioranza infrollita non si sarebbe opposta al loro programma di sostituzione della vera dottrina con una nuova, diversa e perciò falsa, e della vera Chiesa con una falsa chiesa — il che è accaduto oltre mezzo secolo prima di Bergoglio, col Concilio Vaticano II — è apparso chiaro che la priorità doveva essere una sola: rieducare le masse. Erano gli anni del marxismo trionfante, della "fantasia al potere" e, in particolare, della cosiddetta rivoluzione culturale cinese, che di culturale ebbe poco, ma in compenso costò parecchi milioni di cadaveri (analogie della storia: anche oggi, nella chiesa bergogliana, sono in molti a pensarla come monsignor Sorondo, cioè che la Cina è il Paese che più di tutti si avvicina a realizzare la dottrina sociale cattolica), e il modello della rieducazione andava fortissimo. Si volevano rieducare anzitutto i borghesi, incalliti nella loro egoistica insensibilità sociale; si volevano poi rieducare i capitalisti, magari dei piccoli imprenditori che a prezzo di mille sacrifici avevano messo su un’attività, e così liberarli dalla loro mentalità egoistica e classista; poi si volevano rieducare i maschi, tutti quanti, rei di essersi macchiate del crimine secolare di oppressione e sfruttamento del corpo femminile, della mente femminile, della dignità femminile; infine si volevano rieducare i bacchettoni e i moralisti, e far loro comprendere, per esempio, che non c’è niente di male se uno vuole farsi di eroina, o se una bambina di dodici anni vuole andare a letto col suo "innamorato", e da ultimo, ma non per ultimo, che non c’è nulla di sbagliato nel rapporto sessuale fra un adulto e un minorenne, purché questi sia consenziente, perché la malizia appartiene tutta alla marcia e ipocrita borghesia e al repressivo e oscurantista cristianesimo, mentre il sesso degli adulti coi bambini è in realtà è la cosa più pulita, più bella e più buona che si possa immaginare a questo mondo. E a pensarla così erano tutti o quasi tutti i sedicenti maîtres-à-penser del Quartiere Latino, da Sartre alla de Beauvoir e da Henry-Lévy a Cohn-Bendit; né, venendo al paesaggio di casa nostra, erano solo i teorici della pedofilia e della pornografia al potere, come Mario Mieli; ma anche, sia pure in forme assai meno esplicite e clamorose, assai più discrete e quasi nascoste fa le righe, anche insigni esponenti del mondo culturale (ex) cattolico, compresi certi preti che oggi vanno così tanto per la maggiore che qualcuno, dopo averne fatto, per mezzo secolo, dei precursori e dei profeti (ovviamente profeti dell’Evento salvifico per eccellenza, il Concilio ) vorrebbe pure canonizzarli.

Bisogna constatare che la rieducazione avviata dagli studiosi e dai vescovi e sacerdoti modernisti ha avuto pieno successo. È pur vero che è stata condotta con grande abilità, dato che il suo scopo principale era traghettare i fedeli dalla vera dottrina alla falsa, e dalla vera Chiesa alla falsa, senza che se ne rendessero conto, vale a dire avendo cura di evitare brusche rotture e qualsiasi altro gesto che avrebbe potuto rivelare troppo presto il loro gioco. È stata un’applicazione da manuale della tecnica della rana bollita, o, se si preferisce, della "finestra di Overton". Il risultato è stato, dal punto di vista di quei signori, veramente brillante: visto che, per fare solo l’ultimo esempio, il sedicente papa ha manifestato pubblicamente il suo sostegno alle unioni gay e alle famiglie omosessuali, senza che la massa del clero e dei fedeli abbia mostrato consapevolezza dell’enormità di quella esternazione, in flagrante contrasto con duemila anni di Magistero ecclesiastico. Ma che cosa sono duemila anni, se ogni cosa va misurata sul metro della storia umana, la quale, si sa, non ha fretta? Ed ecco come la mentalità storicista è riuscita, alla fine, e con la volonterosa collaborazione dei cattolici colti e intelligenti, a far breccia nella cittadella e a scardinare dall’interno la fede cattolica. Se tutto quel che accade è storico, se tutto è transeunte, che scandalo sarà mai se la chiesa, arrivate le cose a un certo punto, rinnova e modifica la propria dottrina, tenendo conto dell’evoluzione culturale della società? «Bisogna sempre rinnovarsi e saper stare al passo coi tempi: chiudersi in un mondo separato è male, è contrario al vero Vangelo»: questo è il ritornello col quale ci rintronano gli orecchi dal Concilio Vaticano II in poi. Né hanno smesso di rintronarceli, anzi hanno alzato il volume e moltiplicato la frequenza del ritornello storicista. Quante volte ci hanno parlato del Gesù storico, della chiesa storica, del dovere di calare il Vangelo nella realtà concreta, fatta di situazioni complesse, che richiedono "discernimento" e vietano di giudicare chicchessia. Peccato che, a furia di storicizzare, hanno disgustato e allontanato da Dio le anime di tanti fedeli, forse i migliori. Noi ne conosciamo personalmente diversi. A quei preti e teologi pseudo cattolici, Gesù chiederà di render conto delle pecorelle del suo gregge: non solo non le hanno custodite né difese, ma le hanno disperse.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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