Il vero sacerdote confida solo in Dio e non nel mondo
28 Ottobre 2020Il nemico mortale della fede è lo storicismo
29 Ottobre 2020Platone e Aristotele, i due massimi filosofi della Grecia, avevano già detto tutto, beninteso prima della Rivelazione cristiana, e dunque entro i limiti della ragione naturale. Li si può, anzi li si deve ammirare entrambi, per la grandezza smisurata del loro genio, tale che tutto quanto è poi stato detto in ambito filosofico, sempre eccezion fatta per l’apporto — decisivo — del cristianesimo, non è che una variazione sul tema centrale della loro speculazione. I moderni non hanno aggiunto assolutamente nulla, semmai hanno intorbidato le acque e confuso ciò che era chiaro, oppure hanno confuso ulteriormente ciò che non era chiaro del tutto. Inutile negare che Platone, specie ad un giovane, si presenta molto più affascinante. Il suo pensiero possente, sorretto da una capacità espressiva e poetica altrettanto possente, si libra in alto come l’aquila si libra al di sopra degli altri uccelli. Il suo slancio verso l’Assoluto ha qualcosa di commovente oltre che di grandioso, e la plastica efficacia dei suoi miti fa vibrare una nota che risuona in profondità nella nostra anima, dandoci delle sensazioni esaltanti, al limite del sublime, come l’ascolto di un perfetto concerto di musica sinfonica. Da giovani, anche le nostre simpatie andavano al pensiero platonico, non a quello aristotelico, così aridamente e piattamente razionale, così almeno a noi appariva, pur se dotato — questo era innegabile — di una forza di penetrazione logica superiore a ogni obiezione. E tale simpatia si accende anche nell’animo di molti cristiani, perché il tono generale della speculazione platonica, per non parlare di quella neoplatonica, sembra andare proprio nella stessa direzione di quella cristiana: dal terreno all’ultraterreno, dal sensibile al sovrasensibile, dall’umano al divino. Lo slancio dell’anima verso le regioni rarefatte dell’Idea richiama lo slancio dell’anima cristiana verso il suo Creatore: e infatti c’è tutto un filone della filosofia cristiana medievale, quello che culmina in San Bonaventura, che si richiama proprio al precedente platonico e agostiniano), che ha la caratteristica d’un impulso mistico non meno che di un pensiero speculativo razionalmente strutturato. Perciò da giovani anche noi, affascinati dal "misticismo" platonico, ci domandavamo come mai la Chiesa cattolica non avesse adottato, quale base per la propria teologia, il platonismo invece dell’aristotelismo: era una cosa che ci sembrava strana, una sorta d’incidente nella storia del pensiero occidentale. Eppure, avremmo dovuto prestare attenzione a un fatto significativo: gli ultimi filosofi pagani, quasi tutti neoplatonici, erano anche ferocemente anticristiani: loro sì che avevano afferrato la sostanziale, radicale incompatibilità fra le due visioni, quella di Platone, e più ancora di Plotino, e quella del cristianesimo. E tale incompatibilità di fondo non si coglie tanto nell’itinerario dell’anima verso la sfera del divino, quanto nel rapporto fra l’uomo e il mondo. Il mondo, per i platonici, non è che la brutta copia del mondo vero, della realtà vera, che è l’Iperuranio, il mondo delle pure Idee. Ogni cosa terrena non è che la copia di una cosa, perfetta ed eterna, che si trova in quel mondo. Fra i due mondi non vi è continuità, non vi è relazione, ma una distanza drammatica: per colmarla, è necessario negare radicalmente valore e dignità al mondo terreno, e calpestare con sdegno tutto ciò che esso ci offre, ivi comprese le relazioni d’affetto, ad esempio l’amore che i genitori ci hanno dato da bambini, e che ci ha permesso di crescere sani ed equilibrati. Per il platonismo, tutto ciò che è terreno è basso, meschino, inferiore e meritevole di essere oltrepassato senza il minimo rimpianto: al massimo, si riconosce un certo valore alla bellezza sensibile, riflesso della bellezza spirituale, quale tappa intermedia dell’itinerario dell’anima verso Dio. Ma l’arte, in quanto copia di una copia, ossia la natura, è a sua volta meritevole di biasimo, spinto fino al disprezzo: a che serve, se non a sedurre i sensi e imprigionare l’anima ancor più crudelmente in quell’oscuro carcere che è la realtà terrena? Ecco perché il platonismo, a uno sguardo superficiale, può sembrare affine alla visione cristiana: perché alimenta un giudizio negativo sul mondo, e giustifica l’ascetismo con la nozione di una realtà terrena deludente e meschina, misera di per se stessa, in quanto copia sbiadita della realtà vera, che è fatta di pure essenze spirituali.
Questa, però, non è la vera e sana prospettiva cristiana: questa è la visione dei cristiani malati di misantropia, pessimismo e nichilismo esistenziale. Pertanto potremmo dire che, a dispetto delle apparenze, è quasi perfetta peri cristiani moderni: intendendo per cristiani moderni quelli che hanno introiettato le categorie essenziali della modernità, e che, insieme ad esse, hanno anche fatto l’esperienza della sazietà e della nausea provocate dal materialismo, dallo scientismo e dal pragmatismo scaturiti dalla cultura moderna. Un cristiano moderno è un cristiano doppiamente frustrato, perché moderno e perché, travasando la modernità nella visione cristiana, è deluso anche di essa, come era perfettamente logico. Il cristianesimo è radicalmente alternativo alla modernità, e se tenta di prolungare la sua presa sulla società sforzandosi di modernizzarsi, non riesce a fare altro che perdere ciò che di profondo e di attrattivo vi è nella sua concezione del mondo. La quale, in poche parole, è ispirata non al disprezzo e al ripudio, ma all’apprezzamento e al godimento di tutto ciò che nel mondo è buono e amabile, naturalmente non nel senso disordinato dell’edonismo ateo ma in quello della gioia cristiana testimoniata da un’opera come il Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi (e prima ancora, prima dello stesso cristianesimo, ma in accordo con la sua visione, dal Cantico dei Cantici). Il platonismo ha questo in comune con la modernità, o meglio con la modernità giunta nella fase senile, che inizia a dubitare di se stessa, come accade nella fase che stiamo vivendo: la nausea e il disgusto verso ciò che aveva sopravvalutato e assolutizzato, ossia la dimensione immanente; e l’esaltazione esagerata, acritica, della dimensione mistica dell’esistenza, che non nasce però da un’equilibrata valutazione degli aspetti buoni e cattivi del mondo di quaggiù, ma da un cieco e generico desiderio di evasione, da un bisogno di andare via da ciò che non piace, che non soddisfa, che ha "tradito", più che dal preciso obiettivo di andare verso una meta definita. La visione aristotelica è unitaria e compatta, quanto quella platonica è divergente e quasi schizofrenica. Per la prima non c’è un mondo delle Idee dal quale siamo "caduti" per un misterioso capriccio del destino, e al quale aspiriamo a ritornare, negando e cancellando ogni rapporto con il mondo di quaggiù; al contrario: il mondo vero è questo, sulla base di un robusto e intelligente realismo. Ciò non significa che la realtà totale sia tutta qui, in ciò che si tocca, si vede e si può misurare; ma che per giungere alla realtà ultima si deve passare attraverso la realtà transitoria nella quale ci troviamo, senza ignorarla o disprezzarla. E infatti così lo ha visto il più grande filosofo cristiano di tutti i tempi, san Tommaso d’Aquino: ha visto che mentre il platonismo presentava analogie superficiali con la visione cristiana, ma una incompatibilità di fondo, l’aristotelismo, invece, col suo schietto e simpatico realismo, per cui una mela è una mela e una casa è una casa, e nulla di diverso da ciò che si mostra ai nostri sensi, può fornire una base filosofica eccellente alle verità superiori mostrate dalla Rivelazione, perché accoglie come cosa buona la Creazione di Dio (e Dio vide che ciò era buono, dice il libro della Genesi), la guarda con stupore ammirato e con riverente partecipazione, e vede in essa il riflesso di quella sapienza e di quell’amore che sono gli attributi di Colui che ha fatto tali cose.
Ma ci sono altri due aspetti che legano in maniera sostanziale la visione platonica alla filosofia moderna. Il primo è dato dal dualismo ad essa sotteso: se il mondo vero è un altro, mentre quello in cui viviamo è un mondo basso e imperfetto, allora ha ragione Cartesio di stabilire una rigida distinzione fra res extensa e res cogitans, fra il pensiero e la materia: distinzione che non cessa di produrre conseguenze funeste a tutti i livelli, dalla politica alla medicina, e dal diritto all’etica. La cultura moderna è la cultura dello sdoppiamento e della schizofrenia: non è stata capace nemmeno di giungere a una visione unitaria dell’uomo, della sua mente e della sua salute (o della sua malattia) proprio perché non è stata capace di ricomporre il dualismo cartesiano (e platonico). Ciò ha prodotto una scissione all’interno dell’uomo e, con essa, la sua inevitabile conseguenza, l’adozione di una doppia morale. Incalcolabili sono i danni provocati da tale scissione e dalla doppia morale: impossibile farne l’inventario, tuttavia non è esagerato affermare che la maggior parte dei mali che l’uomo moderno infligge a se stesso e agli altri, sia sul piano della vita individuale che su quello della vita sociale, e quindi della storia, hanno in tale fattore la loro ultima radice. Un dualismo latente è sempre esistito nell’anima umana; l’uomo ha sempre percepito una distanza fra ciò che è e ciò che dovrebbe essere, fra ciò che egli desidera come buono e ciò che la vita infine gli riserva. Però il realismo aristotelico-tomista ha dato una risposta soddisfacente a tale aporia: il mondo è buono, ma è ferito dal peccato; anche l’anima umana è soggetta a una duplice attrazione, verso il male e verso il bene, senza che ciò faccia dell’uomo uno schizofrenico, perché sia la ragione naturale che la Rivelazione gli hanno fornito gli strumenti per tenere a banda il proprio lato oscuro, i propri istinti più bassi, e per incanalarli e sublimarli in direzioni accettabili e perfino utili; e al tempo stesso per sviluppare e potenziare il suo lato luminoso, che tende alla pace dell’Assoluto, non con la nostalgia rabbiosa del neoplatonismo, che odia il "carcere" terreno, ma con la nostalgia serena e rasserenante di chi sa che deve portare a termine il proprio pellegrinaggio terreno per meritare poi quella pace, come premio ed effetto della vita buona.
Il secondo aspetto che lega il dualismo platonizzante alla cultura moderna è l’insoddisfazione verso il mondo di quaggiù, visto come una realtà negativa, che attende dall’uomo la propria redenzione; non da Dio, dal momento che Dio ha creato il mondo così, con tutte le sue miserie, e sembra indifferente al male che vi imperversa, o, se non è indifferente,è impotente ad estirparlo. Nasce così l’idea, illuminista e massonica, di un mondo terreno che deve avere nell’uomo il proprio dio, il proprio redentore e salvatore, il proprio architetto e organizzatore, il proprio giudice e il proprio boia. Inutile dire che a fare resistenza contro la bonifica integrale del mondo terreno non sono solo le forze della natura, viste come una realtà da soggiogare e da rendere inoffensiva, ma anche gli uomini stessi, quelli che non capiscono o che si oppongono al processo di auto-redenzione del mondo terreno. Di qui deriva la tolleranza illuminista riservata solo a chi la pensa come i philosophes e negata agli altri, ad esempio, secondo Locke, agli atei e a cattolici, questi ultimi perché considerati sudditi infedeli in quanto seguaci di un re straniero, il papa; e di qui la disinvoltura con cui i rivoluzionari francesi mandavano alla ghigliottina i "nemici del popolo", pari soltanto a quella che avrebbero mostrato, centotrenta anni dopo, i loro "colleghi" bolscevichi in Russia. Sii mio fratello o ti ucciderò, diceva un aristocratico francese passato al giacobinismo: e tale idea, di eliminare fisicamente chi si oppone alla redenzione dell’umanità, è un’idea tipicamente massonica. Ecco una buona ragione per vedere nella falsa enciclica Fratelli tutti del falso papa Bergoglio un documento abietto e pericoloso: abietto perché smentisce e dissolve duemila anni di autentico magistero cattolico; pericoloso perché getta le premesse ideologiche per odiare e, in prospettiva, per eliminare chi si oppone al paradiso in terra, ultracomunista e ultramigrazionista, teorizzato e auspicato da Bergoglio e dall’attuale vertice della (falsa) chiesa cattolica. Inutile aggiungere che il comunismo di questi signori è uno specchietto per le allodole e il migrazionismo è il vero obiettivo, visto come il grimaldello con cui far saltare definitivamente le identità (a cominciare da quella cristiana), secondo l’agenda del Nuovo Ordine Mondiale, voluto, pensato, studiato e attuato dall’oligarchia finanziaria internazionale.
Pertanto, la scelta fra platonismo e aristotelismo non è cosa che si possa confinare all’ambito strettamente filosofico, ma riguarda la vita di tutti, e quindi richiede una presa di coscienza e un’assunzione di responsabilità da parte di ciascuno, anche di chi non ha mai aperto un libro di filosofia in vita sua e non ha alcun interesse, né alcuna predisposizione, per gli studi filosofici. Da una parte ci sono i falsi misticismi, la paccottiglia teosofica e New Age, lo Yoga de noantri e il taoismo a un tanto il chilo, tutti in funzione di una visione dualista, che allarga la spaccatura creatasi nella coscienza dell’uomo moderno, aumenta la sua angoscia esistenziale, esaspera le sue tensioni e le sue contraddizioni e favorisce oggettivamente l’opera di manipolazione e asservimento condotta dalle potentissime forze dell’oligarchia finanziaria, perché un uomo disorientato e senza radici e una società schizofrenica e lacerata in se stessa sono il materiale ideale per chi voglia esercitare su di essi un dominio radicale e spregiudicato, fondato sul condizionamento mentale e sulla paura irrazionale (vedi la falsa pandemia da Covid-19) più ancora che sulla coercizione fisica. Dall’altra parte c’è uno sguardo unitario, benevolo, armonioso sull’esistente, tanto nella sua parte visibile — la natura creata – che in quella invisibile. L’alternativa fra idealismo platonico e realismo aristotelico è perciò, in ultima analisi, un’alternativa esistenziale che oggi si presenta con particolare nitidezza ed urgenza. Si ricordi che le scelte della vita concreta trovano la loro origine nella prospettiva generale da cui si guarda il mondo. È importante, anzi essenziale, che lo sguardo sulle cose sia limpido e veritiero…
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