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Il vero sacerdote confida solo in Dio e non nel mondo

La Chiesa è la Comunione dei Santi. Se però nella Chiesa s’infiltrano i massoni travestiti da vescovi; se i preti si scordano di essere operai nella vigna di Gesù Cristo e si mettono a fare i sacerdoti della Pachamama; se si prostrano davanti ai rabbini e si mettono a baciare il Corano; e se trasformano le chiese in dormitori, pizzerie e sale da pranzo, e i conventi in luoghi di convegno sull’affettività omosessuale, e le parrocchie un centri di propaganda ideologica dell’immigrazione illegale, con tanto di cartelli che intimano ai parrocchiani rispettosi della legge, cioè "razzisti", a starsene fuori, ebbene, in tal caso non c’è più la Comunione dei Santi, ma la satanica babele degli appetiti della carne. Dove gli appetiti della carne non sono solo quelli che vengono dalla lussuria, dall’ambizione e dalla smania di popolarità ad ogni costo, con forti venature di esibizionismo e narcisismo, ma anche la stessa legittima propensione per la giustizia sociale e per il rispetto dei diritti di tutti e di ciascuno. Perché, quando tali fini, in sé buoni e lodevoli, diventano prevalenti sulla spiritualità e sulla fede in Gesù Cristo; quando spengono lo slancio dell’anima verso Dio e arrivano al punto di configurare un nuovo ordine mondano, che dovrebbe migliorare la creazione e sostituirsi all’opera divina; il tutto confidando nell’uomo e non in Dio, e sostituendo il culto dell’uomo al debito amore e timor di Dio, solo Re dell’Universo e unico padrone della storia, allora anche l’impegno sociale per la giustizia e per l’assistenza ai poveri diventa una diabolica contraffazione della vera fede cristiana. Allora lo stesso Vangelo viene indegnamente manipolato e strumentalizzato per raggiungere dei fini puramente terreni, i quali, per quanto buoni in sé, diventano malvagi nel momento in cui vengono assolutizzati e sostituiti all’orizzonte di fede e di speranza nel solo Gesù Cristo. A quel punto, nella Chiesa non c’è più niente di santo, ed essa stessa non è più la vera Chiesa, ma una contro-chiesa che si sostituisce a questa con audacia sacrilega e che la oscura, dopo averne occupato la parte visibile; giacché quella invisibile, formata dalle anime che hanno lasciato la dimensione terrena, è fuori dalla sua portata. E anche il clero, a quel punto, tra fautori del falso ecumenismo e del falso dialogo, partigiani dell’immigrazione selvaggia e della resa all’invasione islamica, nonché del pieno riconoscimento delle unioni civili omosessuali, oltre che della tacita ma chiarissima approvazione dell’aborto, dell’eutanasia, dell’utero in affitto e di ogni altra maniera per creare le cosiddette famiglie arcobaleno, non è più il vero clero cattolico, ma l’oscena contraffazione del sacerdozio di Cristo, che non solo non conferma le anime nella vera fede, ma le disgusta e le allontana da Dio.

Infatti, qual è la condizione essenziale e irrinunciabile per essere dei buoni operai nella vigna del Signore, se non quella di porre Gesù Cristo a fondamento di tutto, a meta di tutto, a via necessaria per fare qualunque cosa? Il vero sacerdote è infiammato di amore per Cristo ed è l’amore di Cristo che gli dà la forza e il coraggio per amare il prossimo, anche quando esso non è amabile, anche quando è duro e difficile amarlo, perché rende male per bene e si dimostra ingrato, egoista, cattivo. Non si giunge all’amore di Dio attraverso l’amore del prossimo, ma si giunge all’amore del prossimo per mezzo di Dio. È Dio che rende lieve il giogo di chi vuole dedicarsi al prossimo; è Dio che gli fornisce la grazia di poterlo fare, alimentando la sua spiritualità; è Dio che lo assiste, che lo consiglia nei passi dubbiosi, che lo conforta quando è stanco e scoraggiato, e che rinnova e moltiplica le sue energie, finché egli opera solo per la gloria del Signore e mai per se stesso o per la gloria degli uomini. Chi pensa di poter arrivare ad amare Dio amando l’uomo, s’inganna, perché l’amore umano è fragile, debole, incostante, e può facilmente sviarsi su strade che non conducono in alcun luogo, e finire su un binario morto. Dalla dimensione umana vengono l’orgoglio, la superbia, l’avarizia, l’ira e la lussuria: quante volte abbiamo visto cadere miseramente un sacerdote che pareva tanto infiammato di amore per il prossimo, ma aveva tralasciato di coltivare la propria spiritualità e di pregare incessantemente Dio, finendo per inorgoglirsi e per contare solo sulle proprie forze. Ha avuto a che fare col denaro e ne è divenuto schiavo; ha avuto a che fare col potere e se ne è lasciato contaminare; è stato lusingato nel suo desiderio di piacere, e si è fatto schiavo del mondo; ha incontrato un paio d’occhi femminili ed è scivolato sulla buccia di banana della propria sensualità, dando scandalo ai fedeli e gettando nel peccato mortale non solo se stesso, ma anche un altro essere umano. E ciò è accaduto non per caso, ma perché quel sacerdote, forse inizialmente in buona fede, ha voluto preusmere troppo di se stesso, si è scordato la doverosa umiltà, ha tralasciato di nutrire la propria anima alla fonte perenne di Cristo e ha usurpato la funzione di operaio nella vigna del Signore per atteggiarsi quasi a padrone della vigna, perdendo automaticamente tutti i beni spirituali che vengono dal Cielo e ritrovandosi come un sacco vuoto, gonfio solo del vento secco e amaro della propria presunzione.

Come dice splendidamente Gesù nella similitudine della vite e i tralci (Gv. 15, 1-8):

1 «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Al sacerdote non si chiede principalmente di essere un operatore sociale, né un attivista dei diritti civili, e neppure di accompagnare i guerriglieri di un esercito di liberazione dei poveri e degli sfruttati. Queste cose, o alcune di queste cose, possono essere giuste, o quantomeno legittime, così come è legittimo, in casi estremi di legittima difesa, l’omicidio del malvagio: ma non rientrano nelle finalità essenziali del sacerdozio. Né al prete, o al religioso, si domanda di condividere le scelte sbagliate e peccaminose delle anime traviate per manifestare loro la propria vicinanza e solidarietà. La sola vicinanza e l’unica solidarietà che il prete o il religioso possono e devono mostrare ai fratelli sofferenti è quella di Cristo: e Cristo non viene a patti col peccato, mai, per nessuna ragione. Cristo non ha mai incoraggiato il peccatore a perseverare nel peccato, tutt’altro; ha sempre cercato di convertirlo e di ricondurlo alla vita di grazia, la sola che piace al Padre; e, se è sempre misericordioso con chi si pente, non fa sconti riguardo alla vita morale che tutti sono chiamati a condurre. Quella suora argentina che condivide la condizione dei prostituti transessuali e raccoglie denaro per sostenerli perché, in tempi di Covid-19, "hanno poco lavoro con cui mantenersi", è totalmente fuori strada ed è lei stessa motivo di gravissimo scandalo, non solo ai fedeli, ma anche a quei disgraziati. Infatti li inganna, dando loro a credere che Cristo chiuderà un occhio sul duplice peccato nel quale vivono immersi: quello di prostituirsi e quello di praticare la fornicazione contro natura. Eppure tali cose fatalmente accadono, quando il sacerdote o il religioso si scorda di essere solo un operaio della vigna di Cristo e, accecato dall’orgoglio, vuol "dimostrare" di avere più carità e misericordia di quanta ne abbia sempre avuta la Chiesa verso gli infelici e i sofferenti, e quasi più di quanta ne ebbe Gesù Cristo nella sua vita terrena, allorché diceva alla peccatrice: «Vai, e non peccare più», il che è ben diverso dal dire, o dal sottintendere con il proprio comportamento, «Vai e seguita a vivere alla tua maniera, fai pure tutto quel che ti pare e piace». No, non si chiede questo al sacerdote, neppure in nome della carità verso gli ultimi. Non gli si chiede neanche di calarsi nelle centraline elettriche per ripristinare la fornitura di corrente ai palazzi occupati abusivamente da chi potrebbe pagare l’affitto, ma non vuol farlo, perché ritiene suo diritto vivere a spese della comunità. Né gli si chiede di improvvisarsi "cappellano" a bordo delle navi che, con la scusa di raccogliere i poveri naufraghi, collaborano attivamente, oltretutto col denaro sporchissimo dei grandi speculatori finanziari, all’infame commercio di carne umana fra i Paesi poveri e quelli relativamente benestanti; né di atteggiarsi a novello Mosè che guida i poveri verso la salvezza del Mar Rosso, magari per coprire le abiette speculazioni che si celano dietro il business della falsa accoglienza, spesso all’ombra di cooperative d’ispirazione cattolica o direttamente all’ombra delle curie vescovili, con le loro diramazioni e i loro ambigui corollari di amicizie e parentele presso aziende disinvoltamente interessate agli utili.

C’è una sola maniera, per un sacerdote, di non perdere la bussola e rimanere saldamente ancorato alla luce di Cristo; pregare, pregare, pregare sempre, con fervore, senza stancarsi; pregare e rivolgere ogni pensiero, ogni richiesta, ogni riconoscimento della propria fragilità e piccolezza al Solo che non inganna, che non delude, che non tradisce mai. Nei Vangeli c’è tutto: basta leggerli e rileggerli fino a impararli a memoria, e meditarli con cuore puro e animo sincero. Quando si appresta ad affidare a san Pietro la cura della Chiesa da Lui fondata, Gesù, nell’atto di congedarsi dalla dimensione terrena, gli chiede per tre volte se lo ama davvero, e per tre volte gli rivolge la stessa identica raccomandazione: aver cura amorevolmente delle pecorelle del suo gregge, anche a prezzo della sua vita (Gv. 21, 15-19):

15. Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci i miei agnelli».. 16 Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». 17 Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi ami?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle». 18 In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». 19 Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi».

Sullo sfondo di questo discorso, come si vede, c’è il martirio: e tanto basti per snebbiare il cervello a quei sedicenti cattolici che vorrebbero andare sempre d’amore e d’accordo con il mondo, a braccetto con il mondo, applauditi e riveriti dal mondo. Niente affatto. Il vero sacerdote, come anche il vero cristiano in generale, sa che tra il Vangelo e il mondo non c’è alcun compromesso possibile, ma guerra eterna, sino alla fine della storia, quando Gesù Cristo tornerà a giudicare il mondo e a porvi fine. Il mondo, infatti — ce n’eravamo per caso scordati? — un bel giorno finirà, e nessuno sa quando; ma il Regno di Dio è per tutta l’eternità. Bisogna perciò fare una scelta: chi sceglie di stare col mondo costruisce sulla sabbia; chi sceglie di stare con Dio costruisce sulla roccia. Gesù non hai promesso onori e piaceri a chi lo vuol seguire; non si capisce pertanto perché molti cardinali, vescovi e preti, per non parlare del personaggio che usurpa il ruolo di vicario di Cristo, ritengano di aver diritto all’applauso del mondo. Hanno fatto la loro scelta: alla Croce di Cristo hanno preferito le lusinghe di questo mondo di fango, destinato a scomparire nel nulla. Quando lo Stato ha chiuso le chiese; quando ha sospeso la celebrazione della santa Messa; quando i suoi uomini hanno osato irrompere nella casa del Signore e interrompere brutalmente il celebrante nel momento più solenne del Sacrificio Eucaristico, i veri sacerdoti, i veri vescovi e cardinali e un vero papa, se ci fossero stati, avrebbero dovuto alzarsi in piedi e gridare, come fece sant’Ambrogio all’imperatore Teodosio: «Non ti è lecito fare tali cose!» e poi affrontare le conseguenze: le multe, il carcere e, se necessario, il martirio nel nome di Gesù Cristo. Questo significa accudire le pecorelle del gregge di Cristo; e non altro. Gesù è stato martirizzato: i suoi seguaci pretendono di essere trattati dal mondo meglio di Lui? Ha detto Egli stesso (Gv. 15,18-20):

18 Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. 19 Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. 20 Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra.

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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