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Perché i vampiri appaiono insieme ai filosofi del’700?

Strano, stranissimo ma interessante personaggio Jacques Collin de Plancy (Plancy-L’Abbaye, 1793-ivi, 1887), occultista e demonologo molto addentrato nei segreti dei regni oscuri, che a soli diciotto anni se n’era andato in un fiordo norvegese per scrivere in perfetta solitudine le sue prime opere, compresa quella che gli avrebbe dato notorietà internazionale: il Dizionario Infernale, un manuale di demonologia nel quale mostra un’erudizione davvero eccezionale. E non solo s’interessava con tale intensità allo studio dei demoni; pare che avesse aderito esplicitamente al satanismo, allora assai diffuso nella buona borghesia e nell’aristocrazia francesi, come sarebbe stato testimoniato anche dal romanzo-verità di Huysmans Là-Bas (L’Abisso). Più tardi, durante un soggiorno in Olanda, la sua vita conobbe una crisi e una radicale conversione al cattolicesimo, resa pubblica nel 1841-42, ciò che lo spinse a ripubblicare il suo libro più importante in una forma che, fatta salva l’oggettività della parte documentaria, rifletteva pienamente la dottrina cattolica, tanto da ricevere l’autorizzazione ecclesiastica. Nel 1846 fondava addirittura, nel suo paese natale (un borgo che ai nostri dì non arriva a 1.000 abitanti) la Società di San Vittore per la diffusione dei buoi libri e la formazione dei lavoratori cristiani. Non è nostra intenzione trattare qui, nel loro insieme, la figura e l’opera di questo originale scrittore, oggi pochissimo noto all’estero e nella sua stessa Francia, paradossalmente (ma è davvero un paradosso?, ci si rifletta bene) senz’altro meno conosciuto e meno apprezzato di quando, nella prima fase della sua vita, era un volterriano militante, un nemico dichiarato dei valori tradizionali e probabilmente aderiva a una setta di adoratori di Lucifero. Quel che qui c’interessa porre in evidenza è una notevole intuizione, che — come è proprio delle personalità grandi — lascia cadere con relativa noncuranza, quasi che si trattasse di merce comune mentre, al contrario, è merce assai rara e rivelatrice di un’intelligenza superiore. Si tratta di questo: mentre quasi tutta la cultura ufficiale, francese e mondiale, e di conseguenza pressoché tutto il pubblico, considera il secolo di Diderot, Voltaire e Rousseau come quei signori volevano che fosse ricordato, ossia "il secolo dei lumi", Collin de Plancy vide in esso un altro aspetto, quello della distruzione dei valori morali più antichi e della somma astuzia, o ipocrisia, o sfacciataggine, come la si vuole considerare, di attuare un autentico inganno ai danni dell’opinione pubblica, facendo finta di prendere di mira le basse superstizioni del popolino, mentre il vero obiettivo degli illuministi era colpire a morte la cultura trasmessa dalla tradizione e specie la sua base, il cristianesimo.

Qualcuno potrebbe obiettare che Collin de Plancy non fu affatto l’unico a leggere il rovescio dell’illuminismo come la rovina morale dell’Europa, ed è vero. Tuttavia ecco qui l’elemento veramente originale della sua tesi, che gli veniva offerto dai lunghi e attenti studi condotto sul vampirismo, del quale giornali francesi e olandesi avevano iniziato a parlare, riferendo notizie che provenivano da vari Paesi dell’Europa centro-orientale, specialmente Polonia e Russia, ma anche dall’Austria, dall’Ungheria e dalla Serbia, già a partire dalla fine del XVII secolo: l’ondata di terrore del vampirismo, della licantropia, della magia nera, faceva irruzione nel mondo moderno insieme e contestualmente alla distruzione dei valori culturali e morali che avevano sorretto per oltre un millennio la civiltà cristiana dell’Europa. Scriveva, dunque, Collin de Plancy nel suo Dictionnaire Infernal (da: Storie di Vampiri, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Roma, Newton Compton, 1994, 2017, p. 952):

I Vampiri hanno diviso con i filosofi illuministi l’onore di travagliare il Settecento: mentre i primi terrorizzavano la Lorena, la Prussia, la Slesia, la Polonia, la Moravia, l’Austria, la Russia, la Boemia e tutto i il Nord dell’Europa, i secondi procedevamo alla distruzione della Francia e dell’Inghilterra rovesciando le convenzioni più antiche, e dandosi l’aria — nel far ciò — di attaccare unicamente gli errori del volgo ignorante.

Ogni secolo, è vero, ha le sue mode, e ogni Paese, come osserva Dom Calmet [benedettino francese, 1672-1757, abate dell’abbazia di Saint-Pierre de Senones, in Lorena, erudito molto apprezzati e grande studioso del vampirismo e di altri fenomeni preternaturali] ha le sue prevenzioni e le sue malattie. Ma è un fatto che i Vampiri non si siano mostrati in tutto il loro tenebroso splendore né durante il Medio Evo né a popolazioni barbare; per rivelarsi appieno, hanno invece scelto il secolo di Diderot e di Voltaire, e l’Europa che si vantava della propria civiltà.

Si diede il nome di ‘uiperi’ o ‘upiri’, e più generalmente di ‘Vampiri’ in Occidente, di ‘brucolachi’ o ‘vrycolachi’ nella Morea, di ‘katakani’ nell’isola di Creta, a uomini che, pur morti e seppelliti da parecchi anni o almeno da parecchi mesi, si facevano vedere "in corpo e anima", parlavano, camminavano, infestavano i villaggi, perseguitavano uomini e bestie, e soprattutto succhiavano il sangue alle persone vive, sino a sfibrarle e a farle morire. Non si poteva por fine alle loro pericolose visite se non dissotterrando i cadaveri, impalandoli, tagliando loro la testa, svellendone il cuore dal petto e dandoli alle fiamme. Coloro che morivano per i morsi del Vampiro, divenivano Vampiri a loro volta.

I giornali di Francia e d’Olanda parlano, già nel 1693 e 1694, dei Vampiri che si facevano vedere in Polonia e soprattutto in Russia. Nel "Mercurio Galante" di quei due anni si riporta come opinione comune presso quei popoli che i Vampiri potessero apparire da mezzogiorno fino a mezzanotte; che succhiavano il sangue degli uomini e delle bestie con tale avidità, che sovente sprizzava loro fuori dalla bocca, dalle narici e dalle orecchie; che talvolta i loro cadaveri nuotavano letteralmente nel sangue in fondo alle loro tombe.

Poi l’Autore prosegue mettendo in fila gli elementi sui quali si basa la sua conoscenza della materia, con la scrupolosità di un antropologo culturale e la vastità di prospettive di un’intelligenza allenata filosoficamente e quindi libera dai pregiudizi. Ora, non è neppure dei vampiri che vogliamo parlare: perciò non ha alcuna importanza credere o no alla loro esistenza; ciò di cui vogliamo paralare è la credenza nei vampiri, così come essa si è diffusa nella cultura moderna a partire dal XVIII secolo, e riflettere sulla curiosa coincidenza che il XVIII secolo è passato alla storia, appunto, come il "secolo dei lumi" e perciò, in teoria, il meno adatto che si possa immaginare al proliferare di una credenza di questo tipo, e di una relativa letteratura dell’orrore, di cui gli esempi più noti sono il racconto Vij di Nikolaj Vasil’evic Gogol’, del 1833 (dove però il mostro, più che un vampiro, è un essere terrificante collegato col mondo della stregoneria), il racconto Carmilla, di Joseph Sheridan Le Fanu, del 1872 (dove il vampiro veste gl’insoliti panni di una bellissima donna, oltretutto dai gusti sessuali deviati) e il romanzo Dracula, il vampiro, di Bram Stoker, del 1897; e più tardi, anche di un cospicuo filone cinematografico, specie a partire dal film muto Nosferatu il Vampiro di Friedrich Wilhelm Murnau, del 1922, nel contesto dell’espressionismo cinematografico tedesco (due anni prima era apparso il classico dei classici, Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene). Desideriamo essere chiari su questo punto: credere o meno che esistano creature come i vampiri, che "ritornano" dal regno della morte per trasformarsi in persecutori dei viventi e succhiatori di sangue umano, è cosa che ora, in questa sede, non c’interessa; c’interessa il fatto che tale credenza è divenuta una credenza di massa o che, in ogni caso, è divenuta parte non insignificante della cultura moderna, toccando, sia pure esteriormente, anche le persone che a livello razionale rifiutano del tutto, come ridicola e inverosimile, una simile idea, ma che tuttavia godono, per esempio, a leggere romanzi o vedere film aventi per tema un simile soggetto, calandosi nell’atmosfera vampiresca non a livello razionale, ma emotivo ed estetico, sen affatto sentirsi ridicoli o irrazionali. E anche su questo punto, vorremmo essere chiari al di là di ogni possibile equivoco: l’esistenza di siffatte creature appartiene al patrimonio culturale dell’Occidente, e non solo dell’Occidente, fino dalla notte dei tempi; ne abbiamo ampie testimonianze, specialmente letterarie, per tutto il mondo greco e romano. Ne abbiamo già parlato ampiamente a suo tempo, in un apposito saggio pubblicato sul sito di Arianna Editrice (Mostri, fantasmi e vampiri nel mondo antico, il24/11/07, per cui rimandiamo il lettore a quel nostro lavoro di parecchi anni fa, che fu anche il tema di un ciclo di pubbliche conferenze, a Oderzo nel 2007 e a Treviso nel 2008, e di una serie di articoli successivi, ora riuniti sul sito dell’Accademia Nuova Italia (vedi spec. Apollonio di Tiana e il vampiro, del 18/04/17; Vampiri e lupi mannari sono creature della mente o provengono da un’altra dimensione?, del 04/12/17; Un caso di licantropia nella Germania del tardo XVI secolo, del 21/001/18).

Ciò che colpisce, pertanto, non è il fatto, in se stesso, che la cultura occidentale abbia sempre creduto all’esistenza di simili esseri, ma che la cultura moderna abbia ripreso una tale credenza dai secoli precedenti e che l’abbia anzi sviluppata e amplificata al massimo, e questo proprio mentre gli enciclopedisti e i savants dell’illuminismo spazzavano via senza scrupoli i "residui" della cultura tomista, e più in generale cristiana, per creare una nuova filosofia e una nuova visione del mondo, una nuova Weltanschauung, come dicono i tedeschi, non più imperniata su Dio e la nozione della vita eterna, bensì sull’uomo e l’assolutizzazione della vita terrena, in particolare del sapere tecnico e scientifico, visti come strumenti di emancipazione dalla soggezione alle forze cieche della natura. Ci domandiamo perciò: da dove vengono i vampiri moderni, visto che la cultura moderna, che esalta la ragione e aborrisce tutto ciò che sa di superstizione, ha rotto i ponti col passato e pretende di rifare il mondo, e di costruire quasi una seconda natura, escludendo rigorosamente tutto ciò che sa d’irrazionale? Non è curioso il fatto che il "buio" Medioevo non abbia concesso un così ampio spazio alla credenza dei vampiri, e più in generale delle creature demoniache (licantropi, spettri, mostri d’ogni tipo), mentre con il pieno avvento della modernità e della cultura illuminista, poi di quella positivista, si assiste a un’esplosione che ne fa un tema di moda, con decine e decine di opere letterarie e musicali (si pensi, per queste ultime, al poema sinfonico Una notte sul Monte Calvo di Modest Petrovic Musorgskij, del 1867)? Poiché si assiste a una evidente contraddizione fra ciò che la cultura moderna dice di perseguire e ciò che poi, di fatto, essa persegue, e sia pure nella finzione letteraria e a livello di credenze popolari, a qualcuno corre l’obbligo di indagare le ragioni di una simile stranezza.

E se invece non fosse poi una stranezza? Se vi fosse in ciò un’implicita ammissione di tutti i limiti, le contraddizioni e le frustrazioni di una cultura razionalista e scientista che pretende di sgombrare l’orizzonte da ogni residuo magico, mitico e sovrasensibile, e poi è costretta a produrre essa medesima, peraltro nelle forme degradante (e degradanti) della letteratura e del cinema di consumo e della cultura di massa, quegli elementi simbolici dei quali non può fare a meno, perché in essi riflette il proprio lato oscuro e i propri inconsci sensi di colpa? In effetti, crediamo di poter avanzare una spiegazione abbastanza logica dell’apparente stranezza. Nella visione cristiana le forze del male hanno una provenienza ben precisa: vengono dal diavolo, l’eterno nemico dell’uomo, invidioso del suo destino di gloria nella luce dell’Amore divino, dalla quale egli si è per sempre autoescluso. Ma appunto perché il diavolo non è un principio opposto a Dio e di pari potenza, ma una creatura ribelle, così lui e gli spiriti immondi che gli sono soggetti non possono agire che nei limiti assegnati loro da Dio, e con la sua permissione. La preghiera costante e la vita in grazia di Dio sono, perciò, difese sufficienti agli assalti ordinari del diavolo; non lo sono, è vero, quando si tratta di assalti straordinari; ma anche in tali casi esiste il rimedio efficace: l’esorcismo di un sacerdote che invoca l’intervento salvifico del Signore. Nella cultura moderna, laica e materialista, non c’è più il diavolo, così come non c’è Dio: eppure il male sussiste, e sussistono anche gli assalti del maligno. Di dove vengono allora, e come spiegarli, una volta rifiutata ogni fede nel soprannaturale? Evidentemente, una cultura totalmente atea e immanentista — e la cultura moderna è la prima, in assoluto, a configurarsi come tale — deve trovare un’altra causa e un’altra provenienza, proprio come un medico che rifiuti l’idea della malattia, e si trovi perciò in imbarazzo a spiegare la febbre. Non resta che attingere al mondo di quaggiù: i vampiri sono i morti che ritornano, i licantropi sono uomini che si trasformano in belve, e così via: è spaventoso, ma non c’è nulla di soprannaturale. La credenza nei vampiri svolge inoltre una seconda funzione: consente di proiettare su un soggetto definito il malessere, l’angoscia, la disperazione che la cultura moderna genera e alimenta, avendo negato la possibilità di una vita oltre la morte. Ogni società ha bisogno d’una discarica per i propri orrori e terrori che funga da valvola di sfogo. Insomma qualsiasi cosa, fuorché l’idea cristiana di redenzione.

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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