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«E che mi frega a me, che so’ Pasquale io!»

L’atarassia, il senso di estraneità e di superiorità del saggio davanti alle sofferenze e alle miserie della vita, la sua capacità di chiudersi e di proteggersi in una sdegnosa, beata indifferenza , che in ultima analisi è autosufficienza totale, sarà anche una bella cosa; ma esiste un limite, oltre il quale diventa un atteggiamento ridicolo e grottesco. Si può essere del tutto indifferenti alle cose di quaggiù solamente in due casi: se si è dei perfetti mistici già rapiti con l’anima in cielo, oppure se si è dei perfetti idioti, dei minorati mentali che non hanno coscienza del mondo intorno a sé. Quando la casa brucia e il tetto sta per crollare, e si rischia di morire bruciati vivi o soffocati dal fumo, non ha senso assumere una posa di sovrana indifferenza e di ascetico distacco, a meno che si desideri morire per una scelta precisa e ponderata.

In questi ultimi tempi ci capita sovente di sentire frasi di questo tipo: «Sì, la Chiesa è uscita completamente dai binari, e Bergoglio è certamente un falso papa, un agente della massoneria ecclesiastica: ma che me ne importa? Io non gli bado, né lo considero; non m’interesso affatto di lui: lo ignoro. Non mi riguarda». Oppure: «Il governo Conte Bis e i suoi decreti, che sfruttano una emergenza sanitaria creata a bella posta per togliere definitivamente la parola ai cittadini, impaurirli, ricattarli, colpevolizzarli, imbavagliarli e portarli ad accettare, anzi perfino ad invocare, ancor meno libertà, ancor meno diritti costituzionali, in cambio di una presunta maggiore sicurezza? Non vale neanche la pena di parlarne: si finisce per dare a quella gente più importanza di quanta ne meriti. Andiamo per la nostra strada e non calcoliamoli neppure; bisogna fare come se non esistessero». Ebbene: l’analisi è giusta, la ma diagnosi è peggio che sbagliata: è semplicemente folle. Sarebbe come dire che non bisogna attribuire troppa importanza all’incendio che sta divorando la nostra casa; o che non mette conto di sprecare fiato a denunciare le malefatte di un collega disonesto, o di un coinquilino piromane, spacciatore, mafioso, terrorista. Loro sì, intanto, s’interessano di noi, anche troppo; e le fiamme dell’incendio avanzano, e fra breve sarà troppo tardi per correre ai ripari. Dunque, finché abbiamo un corpo fisico, una vita terrena, una famiglia, una casa, un lavoro, un’identità, dei bisogni, dei valori, degli ideali, non possiamo assumere l’atteggiamento di chi se ne sta beato nella sua torre d’avorio, e guarda con compatimento, dall’alto in basso, lo spettacolo degli altri che si affannano e si arrabattano, più male che bene, nelle fatiche e nelle difficoltà dell’esistenza concreta. Anche se avessimo raggiunto il più alto grado di distacco umanamene concepibile, resta sempre il fatto che la sofferenza degli altri merita compassione, e che noi stessi abbiamo il diritto e il dovere di difendere quel che ci spetta, quel che attiene alla nostra sopravvivenza e alla nostra dignità, quel che fa di noi degli uomini liberi, anzi semplicemente degli uomini, perché un uomo privo della libertà è qualcosa di meno di un uomo, specie se si è posto volontariamente nella condizione di schiavo. Così, restare impassibili mentre un borsaiolo ci sfila il portafogli per la strada, senza reagire, senza far nulla per difendere quel denaro, che è frutto del nostro onesto lavoro, non è cosa propria del saggio che si è distaccato dalle basse cose di questo mondo, ma dello stolto, o del vigliacco, o entrambe le cose insieme.

La stessa cosa si può dire di quel che avviene ai nostri giorni nella società e nella chiesa. Ci stanno sfilando dalla tasca della giacca il nostri Paese, la nostra famiglia, la nostra proprietà, il nostro lavoro, i nostri risparmi, i nostri figli, la nostra fierezza, la nostra dignità, perfino la nostra intelligenza e capacità di pensare, e ci stano riducendo al livello di una plebe servile indistinta, ridotta a mendicare come una graziosa concessione del padrone quel che è nostro, quel che ci spetta, quel che i nostri padri hanno conquistato lottando duramente sul terreno sociale; e, ciò che è peggio di tutto, ci stanno mettendo nelle condizioni d’ipotecare il futuro dei nostri figli, ancor prima che nascano. E allora non ha senso fare gli uomini "superiori" e distaccati; non ha alcun significato logico assumere la posa di chi non è toccato, né coinvolto da tali miserie. Ci stanno inoltre rubando, sotto il naso, la nostra fede: falsificando la dottrina, stravolgendo la pastorale e rendendo irriconoscibile la liturgia. L’argentino, che non è certo il solo responsabile di questo inaudito furto sacrilego, ma solo l’ultimo e il più sfrontato dei ladroni travestiti da pastori che si sono succeduti alla guida della chiesa negli ultimi decenni, ha osato pubblicare una "enciclica" nella quale di tutto si parla tranne che di Gesù Cristo, e quasi nulla anche di Dio in generale; ma si parla soltanto di questioni sociali, di politica, di ambiente, di fratellanza umana intesa in senso massonico. Né si è trattenuto dal cantare le lodi delle false religioni, dell’islam specialmente, suggerendo che i cattolici, per amore di pace, dovrebbero sottomettersi a loro, così come lui ha dato l’esempio della sottomissione alla dittatura cinese, gettando in pasto ad essa i veri cattolici cinesi e autorizzando la nomina di vescovi taroccati, senza prestigio, senza dignità, il tutto rifiutando di ascoltare la voce dell’episcopato cinese e perfino di ricevere il quasi novantenne cardinale Zen, venuto apposta da Hong Kong in Vaticano per informarlo sulla reale situazione dei credenti in quello sventurato Paese (che l’orrido monsignor Sorondo non si è peritato definire quello che più si avvicina a realizzare la dottrina sociale della chiesa). E di fronte a un simile scempio, a una tale nefandezza, i cattolici dovrebbero reagire dicendo: «A Bergoglio non presto attenzione, non lo considero nemmeno; faccia quel che vuole: per me non esiste»? Questa è precisamente la strategia dello struzzo: nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere.

Tutto questo ci ricorda una scenetta che abbiamo visto da bambini, ai tempi del canale unico, su Studio Uno del 1966, con Totò de Curtis e la sua bravissima "spalla" Mario Castellani (https://youtu.be/MuaJdM5JKzs). Totò racconta all’amico un incidente occorsogli poc’anzi: uno sconosciuto, un pezzo di giovanotto con due spalle così, lo ha apostrofato dicendogli: «Pasquale, disgraziato, maledetto, figlio d’un cane, vien qui che ti sistemo!», e lo ha riempito di ceffoni e cazzotti, per poi mollargli un formidabile pugno sulla testa, dopo avergli fatto levare il cappello. Castellani, scandalizzato, incredulo, continua a chiedergli: «Ma tu, che hai fatto? Ma tu non ti sei difeso?»; e Totò, ridendo fino alle lacrime, come se stesse parlando non di un’avventura toccatagli personalmente, ma di un fatto che riguarda qualcun altro: «Io pensavo fra me e me: voglio vedere questo stupido dove vuole arrivare». L’elemento comico è tutto giocato nel contrasto esilarante e grottesco fra Totò che ride a crepapelle parlando delle botte che ha preso senza battere ciglio, e l’altro che quasi non può credere alle proprie orecchie all’udire il resoconto distaccato e divertito di un comportamento così assurdo e autolesionistico. Da ultimo, quando Totò ha finito di enumerare le percosse e gl’insulti ricevuti dall’energumeno, e l’amico gli chiede ancora una volta: «Ma perché non ti sei difeso?», lui risponde, piegandosi addirittura in due per il gran ridere: «E che mi frega a me, so’ Pasquale io?!». La situazione nella quale ci troviamo attualmente, come cittadini italiani e come fedeli cattolici, è esattamente la stessa: c’è un governo che fa polpette della Costituzione, un papa che fa strame della dottrina cattolica, e molte persone non trovano di meglio che dire, magari criticando quelli che vorrebbero reagire e che, per quanto possono, fanno sentire alto e forte il loro dissenso: «E che mi frega a me: quello non è mica il mio governo; quello non è il mio papa!». Chi pensa così è come dicesse: «Perché dovrei prendermela? Io non sono mica italiano; non sono mica cattolico!». E invece sì che lo sei, caro amico: ti piaccia o non ti piaccia, sei un cittadino italiano e un credente: dunque non puoi girare la testa dall’altra parte, mentre costoro fanno a pezzi sia l’Italia che il Vangelo di Gesù Cristo, per darci in cambio un protettorato dell’Unione Europea, destinato a divenire il campo profughi di tutta l’Africa, e un ‘vangelo’ ridotto a vulgata massonica, ecologista e ambientalista, dove di Gesù Cristo non è rimasto più nulla, neppure il nome per salvare le apparenze. A meno che tu abbia un attico a Londra o a New York, e abbia acquisito la cittadinanza inglese o americana; e a meno che tu abbia deciso di sposare la nuova religione del Concilio, portata da Bergoglio alle estreme ma logiche conseguenze, insite nelle premesse della Dignitatis humanae e della Nostra aetate, non puoi estraniarti, affettando una sovrana indifferenza. Se non sei giornalista di Rai Tre con redazione negli Stati Uniti, accreditato presso il clan democratico, né un parente del(l’ex) cardinale Becciu, interessato al business dell’immigrazione, la cosa ti riguarda eccome. Finché vivi in Italia e finché vuoi esser parte della Chiesa, corpo mistico di Cristo, non puoi guardare altrove.

Altro discorso è vedere cosa significhi, in pratica, rifiutarsi di guardare altrove e di fare finta di nulla. L’ovvia constatazione è che gli spazi di manovra per un’azione organizzata sono minimi, quasi inesistenti. Chi dovrebbe fare opposizione in ambito politico, in pratica non la fa, anche se chiede e ottiene i voti di quelli che vorrebbero una decisa sterzata fuori dai binari prestabiliti della globalizzazione, che ci riservano più Europa, più migranti/invasori, più debito pubblico, più dittatura sanitaria, nonché ulteriori strumenti di potere e di ricatto morale e culturale alle minoranze protette. E chi, nella Chiesa, dovrebbe opporsi alla deriva post-conciliare verso l’apostasia, per non parlare della pulizia dalle logge massoniche e sataniste e dalle lobby gay che imperversano nella gerarchia ecclesiastica, non ha alcuna intenzione di farlo, è colluso coi peggiori elementi e vuol piacere servilmente a chi in questa fase storia tiene in pugno la situazione: i poteri oligarchici finanziari che hanno messo in cattedra l’argentino e che, per poterlo fare, hanno costretto alle dimissioni il suo predecessore. Le persone comuni che vedono, capiscono e soffrono per questo stato di cose, con l’Italia e la Chiesa entrambe nelle mani dei loro peggiori nemici, non sanno letteralmente a chi rivolgersi. Il Presidente della Repubblica ha mostrato, non da ieri, di non avere alcuna intenzione di svolgere le sue funzioni di garante apolitico e istituzionale: al contrario, sin dal primo giorno si è speso con tutte le sue forze a favore dell’Unione Europea e per convincere gli italiani che senza di essa non potrebbero andare da nessuna parte, sono perduti, sono spacciati, e che d’altra parte volerne uscire sarebbe non solo una follia, ma un’ingratitudine, visto e considerato che l’UE ci ama così tanto, la BCE ci ama come più non si potrebbe, e l’una e l’altra fanno a gara per venirci incontro, per offrici prestiti e finanziamenti quanto mai convenienti, come neanche Babbo Natale potrebbe fare. Al tempo stesso l’inquilino del Colle non si è neppur sognato di sollevare obiezioni ai decreti demenziali e tirannici dell’avvocato di Foggia con la pochette nel taschino della giacca, il quale ha spinto la sua tracotanza fino al punto di consigliare caldamente agli italiani, con minaccia d’irruzioni poliziesche nelle abitazioni private, d’indossare la mascherina sempre, possibilmente anche in casa, specie se vengono in visita dei parenti. E i vescovi italiani, più realisti del re, cioè più contiani di Conte, prima ancora che costui lo chiedesse, si sono affrettati ad allinearsi alle sciagurate proibizioni e imposizioni di questo governo non eletto dal popolo, ma gonfio di velleità autoritarie; anzi le hanno perfino oltrepassate, mostrando coi fatti di considerare la Messa e i Sacramenti come accessori esteriori, sacrificabili in caso di bisogno, e di non credere più in Dio salvatore delle anime, ma nella Scienza salvatrice dei corpi, al punto da trattare lo stesso Corpo vivente di Gesù Cristo come una fonte d’infezione e perciò da manipolare coi guanti, come si fa con qualcosa di sporco e d’infetto.

Stando così le cose, con questi politici e questo clero, con questi giornalisti e magistrati, con questi medici e tutori dell’ordine, con questi insegnanti e sindacalisti, tutti, chi più e chi meno, chi per una ragione e chi per l’altra, totalmente proni e succubi ai voleri del governo e alla contro-pastorale dell’argentino, non resta molto che le persone comuni possano fare per rendere pubblico il loro dissenso. Manifestare per la strada non si può, bisogna indossare la mascherina o si rischia l’arresto; criticare sui sociali non si può, perché si rischia un’indagine della polizia postale e una bella denuncia per vilipendio degli uomini politici, oltraggio alla magistratura e diffusione di notizie false e tendenziose, nocive alla salute pubblica (da che pulpito!), negando le ragioni dell’emergenza e rivelandosi così per dei biechi negazionisti, non migliori degli altri negazionisti, quelli filonazisti e antisemiti che negano la realtà storica di Auschwitz. Certo, si può e si deve provare a creare delle organizzazioni, dei movimenti, anche dei partiti politici, capaci di rimpiazzare quelli esistenti, che sono morti e putrefatti da gran tempo, anche se fingono di godere ottima salute, sulla falsariga di quello che accadeva nella vecchia Unione Sovietica o magari nella Romania di Ceausescu, dove la realtà era negata e i diritti fondamentali sacrificati sull’altare dell’Utopia al potere. Ma il cittadino comune, il credente comune, mite, pacifico, cosa possono fare? Essenzialmente due cose. Primo, testimoniare la verità, sempre, tutte le volte che ne hanno l’occasione, chiamando le cose col loro nome e dicendo traditori ai traditori, venduti ai venduti ed eretici agli eretici. Secondo, sforzarsi di vivere la vita buona, irreprensibili come cittadini e saldi nella fede come credenti. Ci vuole coerenza fra ciò che si dice e come si vive. Solo da una rinascita interiore sarà possibile una ripresa collettiva.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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