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Su le maschere, ora si vede l’altro per quello che è

Una volta si diceva: cadono le maschere e si vede l’altro per quello che è; oggi invece bisognerebbe dire: si alzano le mascherine a coprire il viso, ora possiamo vedere realmente chi abbiamo di fronte. Strano ma vero: la rivelazione della reale natura dell’altro ci viene non dal suo disvelamento, ma dal suo nascondimento. In questo momento, per avere l’esatta misura di chi ci sta davanti, del suo spessore intellettuale, morale, spirituale, basta un semplice colpo d’occhio. Se sta guidando l’automobile, da solo, e indossa la mascherina; se sta pedalando in bicicletta e indossa la mascherina; se sta passeggiando nel parco o lungo una strada di campagna, e indossa la mascherina, allora sappiamo esattamente chi è: un servo volontario di questo sistema tecnocratico inumano, dunque un essere post-umano, che ha dato il cervello all’ammasso e la cui anima è in via di estinzione. Si può perdere l’anima (in senso figurato, s’intende: perché l’anima immortale è un dono di Dio e nulla la può distruggere) come si perde la massa muscolare dopo un lungo periodo d’immobilità, o la memoria, dopo un evento traumatico che ha cancellato i ricordi. Il mondo oggi è pieno di uomini, o post-uomini, che non hanno più anima, così come hanno rinunciato ad avere (non ad usare: a ciò avevano rinunciato da un pezzo) un’intelligenza. E il problema è che vivere in mezzo a questa post-umanità decerebrata e de-animizzata, pronta a spiare e denunciare chiunque non si attenga scrupolosamente alle norme pseudo sanitarie stabilite dalle più varie istituzioni, dal governo alle regioni, dai sindaci ai dirigenti scolastici, dalle direzioni sanitarie degli ospedali ai medici della mutua, ai dentisti, ai proprietari dei grandi magazzini, alle Ferrovie dello stato, alle compagnie di navigazione aerea, ecc., risulta terribilmente faticoso per chi conserva ancora la propria umanità, perché si somma a tutti gli altri disagi e alle altre sofferenze imposti dall’alto, ed esaspera il senso di frustrazione, sconforto e solitudine.

Una ragazza quattordicenne, figlia di nostri amici, che frequenta la prima superiore, a scuola ha avuto un minuscolo, insignificante incidente e già chiamarlo incidente è esagerato, ma nella nostra lingua non c’è una parola simile dal significato più debole: le andata di traverso la saliva. Ciò le ha provocato, ovviamente, un accesso di tosse. Ma tossire, di questi tempi, è pericoloso: specialmente in un luogo pubblico; figuriamoci a scuola, in classe. Il professore l’ha subito condotta nella "stanza del Covid" per misurarle la temperatura corporea: non sia mai che quella tosse sia il segnale del contagio in arrivo. La ragazza ha chiesto che la temperatura le venisse misurata sul polso, conscia del fatto che la misurazione sulla fronte, sparata con la "pistola" a raggi laser, non fa proprio benissimo alla salute (visto che stiamo parlando di tutela della salute): richiesta respinta; la scuola ha le sue regole e tutti vi si devono attenere. Fatalità ha voluto, vuoi perché la poverina si era un po’ emozionata, vuoi perché nell’età adolescenziale è normale avere qualche linea in più che nell’età adulta, che la temperatura risultasse esattamente di 37°. Cosa dice il protocollo in questi casi? Che bisogna reiterare la prova. Intanto, però, nel dubbio di una prognosi infausta, che hanno fatto quei solerti tutori della salute dei nostri figli? Hanno prontamente telefonato a casa, informando la madre della cosa e invitando a venire a riprendersi la ragazza. Cinque minuti dopo, nuova misurazione: stavolta la temperatura ha messo giudizio, i gradi sono appena 36,3. Frattanto arriva la mamma, giustamente preoccupata, la quale chiede che la misurazione venga rifatta ora, in sua presenza. «Ah, non serve, signora: tutto bene; l’abbiamo appena misurata, non ha febbre». Fine del discorso, allora? Niente affatto. Cosa dice il protocollo? Che, in casi sospetti, i ragazzi devono comunque essere riaccompagnati a casa dai loro genitori, ed eventualmente ripresentarsi alle lezioni il giorno dopo, si capisce se si era trattato d’un falso allarme. Il giorno dopo, invece, i nostri amici hanno tenuto la figlia a casa, non perché le fosse salita la febbre, ma per misura precauzionale verso i possibili danni causati da quel manicomio che ancora chiamiamo scuola. Il terzo giorno, tornata in classe, e fornite dai genitori le più ampie rassicurazioni sul suo stato di salute, la ragazza ha ricevuto accoglienze addirittura festose: il dirigente in persona l’ha voluta salutare, rallegrandosi davanti a tutti con aria untuosa e felice, addirittura scordandosi per un momento, nell’enfasi paternalistica, le necessarie distanze di scurezza, e congratulandosi per lo scampato pericolo (?) e per il felice rientro all’ovile della pecorella già quasi data per dispersa.

Ci siamo dilungati su questo piccolo episodio di ordinaria follia, non perché sia particolarmente serio o drammatico, ma perché è un buon esempio del clima d’impazzimento quotidiano, di surreale contraffazione della realtà, in cui è piombata la nostra società attanagliata dalla paura, ma che dico paura, dal terrore del contagio da Covid-19: un terrore debitamente alimentato e pompato ogni santo giorno dai maggiori quotidiani e da tutti i telegiornali, nessuno dei quali, da otto mesi a questa parte, ha tralasciato per una sola volta di "aprire" coi tremendi e inarrestabili progressi della (cosiddetta) pandemia. Episodi come quello ora riferito, comunque, capitano tutti i giorni e non solo a studentesse di 14 anni, ma anche a bambini delle elementari o dell’asilo: e non occorre essere genitori ultraprotettivi o educatori ultrasensibili per predire che il trauma quotidiano inflitto da simili episodi, non solo a chi li subisce in prima persona, ma all’intera scolaresca che vi assiste, è destinato a lasciare il segno nel corso del tempo. In altre parole, stiamo insegnando ai bambini e agli adolescenti ad andare a scuola per diffidare di se stessi e degli altri, per stare continuamente in sospetto, armarsi di diffidenza ed egoismo, rifiutare qualsiasi oggetto venga offerto dai compagni, evitare come la peste il gioco o lo stare insieme, avere terrore del gruppo e dei giochi di squadra, ed essere pronti a denunciare il vicino al primo starnuto o colpo di tosse, per poi assistere trionfanti al suo isolamento e al suo respingimento a casa o, forse, in qualche ospedale. Il che significa preparare una futura generazione di adulti ipocondriaci, isterici, malfidenti, nevrotici e potenzialmente schizofrenici: una faccia è quella che si deve mostrare in pubblico, coi relativi comportanti ammessi e non ammessi, e un’altra è quella che si coltiva in privato, dove — speriamo — ci si rende conto dell’assurdità del mondo costruito dalla dittatura dei Buoni e dei Giusti e dell’artificiosità, per non dire della crudeltà, delle nuove relazioni sociali, o meglio antisociali, da essi concepite ed imposte al popolo bue. E già che stiamo parlando di scuola, diciamo ancora qualcosa. Sappiamo che vi sono insegnanti di ginnastica, pardon, di educazione fisica, che fanno correre i ragazzi con la mascherina e sorvegliano attentamente che nessuno se la abbassi sotto il naso, per intervenire e sgridare severamente gli eventuali trasgressori; che danno loro stessi il "buon" esempio presentandosi in classe con la mascherina alta fino alla radice del naso e per di più incollata al viso mediante pezzi di nastro adesivo. Insegnanti che pure hanno studiato, e fanno studiare ai loro alunni, le norme essenziali dell’igiene e della salute scolastica e che perciò dovrebbero sapere quanto bene faccia correre respirando la propria anidride carbonica: e che tuttavia non hanno il minimo scrupolo di coscienza, non avvertono alcuno iato fra ciò che insegnano e pretendono da un ragazzo, e ciò che sanno essere giusto e vero. Simili, in questo, a tante migliaia di medici, di giornalisti, di magistrati, di tutori dell’ordine, i quali sanno benissimo di stare agendo in perfetta divergenza dagli scopi professionali della categoria a cui appartengono e dai valori che hanno giurato di difendere (la salute e la vita dei pazienti; la verità dell’informazione; la giustizia e il diritto; la difesa dei cittadini onesti), eppure obbediscono ai protocolli, alle direttive superiori, agli ordini che ricevono, giustificandosi col non poter fare altrimenti.

Ancora due parole sulla scuola, quale specchio della società impazzita di questi ultimi mesi. Se qualcuno crede che i professori siano impazziti da oggi, con la presunta pandemia di Covid-19, sbaglia di grosso: o non ha mai lavorato nel mondo della suola, o non ha figli, o vive sulle nuvole. La verità è che da non pochi anni — difficile dire esattamente da quando, non c’è una data precisa: c’è, tuttavia, un terminus post quem, l’esiziale 1968 — i professori, nella larga maggioranza progressisti e di sinistra per ragioni sociologiche e culturali che altre volte abbiamo affrontato e cercato di spiegare, hanno iniziato a volgere le spalle alla realtà e a inculcare nei ragazzi le loro teorie, presentate come se fossero la pura e sacrosanta verità. E dunque basta col noioso Aristotele e col bigotto san Tommaso d’Aquino; basta con il banale realismo, specie quello di matrice tomista; basta col leggere la Divina Commedia o i Promessi sposi in un’ottica cristiana, tenendo conto del fatto che i loro autori erano cattolici convinti; basta, soprattutto, col presentare Dio, la Patria e la Famiglia come realtà fondamentali, sulle quali si è sempre basata ogni società umana, così come ogni progresso civile. Al contrario: sì alla negazione della Patria, alla colpevolizzazione della Famiglia (a meno che sia una contro-famiglia arcobaleno), alla rimozione perfino del ricordo della fede in Dio. Sì alla visone di un mondo in continuo progresso, che non va giudicato per quel che è, ma per quel che dovrà essere domani, quando la marcia del Progresso si sarà felicemente realizzata; sì alle migrazioni, all’aborto, al divorzio, all’eutanasia, alle quote rosa; alle paralimpiadi messe sullo stesso piano delle olimpiadi; al 110 e lode alla tesi dello studente affetto dalla sindrome di Down perché "si è impegnato tanto"; alla propaganda terroristica sul femminicidio perché il maschio è in se stesso malvagio; al disprezzo della storia e della civiltà occidentale perché l’uomo bianco è un mostro di egoismo e crudeltà. Sì ai diversi di ogni genere, alle religioni dell’intolleranza in nome della tolleranza, sì alle moschee laddove i cristiani, in Arabia Saudita, non possono pregare neanche chiusi in casa; sì a Charlie Hebdo che offende in maniera sacrilega il credo religioso altrui (tranne quello dei fratelli maggiori, ovviamente), siamo tutti Charlie Hebdo, come no; sì all’utero in affitto, perché è segno di libertà, però sanzioni e massimo disprezzo per i maschi brutali che pagano le donne in cambio di sesso. Sì ai pellegrinaggi ad Auschwitz, al Diario di Anna Frank o a Tu passerai per il camino come libri di lettura in classe, ma no a parlare della tragedia del popolo palestinese, perché sarebbe flagrante antisemitismo; sì alla totale demonizzazione del fascismo, ma no a quella del comunismo, che ha fatto molti più morti, più crudeltà, più genocidi; e soprattutto silenzio sulle foibe e sulle atrocità partigiane del 25 aprile 1945 e dintorni, con la crocefissione di prigionieri fascisti e lo stupro e l’uccisione di bambine tredicenni, colpevoli di aver composto un tema in lode di Mussolini. Insomma piena, costante, sistematica falsificazione della realtà; doppia morale sui fatti della storia recente; capovolgimento del ruolo dei carnefici e delle vittime; silenzio su ciò che non garba e amplificazione plateale di ciò che conviene.

Tutto questo potrebbe essere già abbastanza; ma c’è dell’altro, purtroppo, e di peggio. Quel che dobbiamo dire sulla scuola come cinghia di trasmissione del potere e del pensiero mainstream non sarebbe completo se tacessimo l’aspetto più recente e sconcertante dell’indottrinamento di stato che i giovani subiscono da parte dei professori di sinistra, con l’avallo del ministero della pubblica istruzione che, da decenni, ha sposato quella ideologia e si è prefisso di tirar su una generazione di perfetti progressisti, stile Boldrini o Fiano, così come il fascismo voleva tirar su una generazione di perfetti fascisti sul modello di Starace. Infatti, da qualche anno i professori non si limitano a insegnare la filosofia, la storia, la letteratura, secondo il loro rigido credo progressista, che prevede, ad esempio, di dedicare almeno una ventina di lezioni a Marx e non più d’un paio a san Tommaso d’Aquino; ora pretendono di riscrivere anche le materie ‘neutre’, il latino e il greco, per esempio, secondo le loro categorie disancorate dal principio di realtà, per introdurre i giovani nel beato mondo progressista, dove la banale realtà ordinaria viene sostituita dall’emozionante realtà virtuale, o realtà 2. In quel mondo, se vostro figlio traduce puellarum con l’espressione "delle ragazze", può accadere che il professore glielo segni come errore, perché avrebbe dovuto tradurre "della ragazza". E se voi dite a vostro figlio di chiedere al professore da quando puellarum è diventato genitivo singolare anziché plurale, quello gli risponderà che ciò dipende dal contesto, da lui non tenuto nel debito conto. Insomma non è più vera la verità, ma è vero quel che pare a Tizio, Caio o Sempronio "in base al contesto". E questo è solo un esempio fra mille che potremmo fare. Che dire davanti a tanta idiozia e soprattutto a un così superlativo grado di arroganza? Ogni discorso è impossibile, evidentemente. Ora, vi starete forse chiedendo che c’entri tutto ciò con le mascherine e la rivelazione della reale natura dell’altro. C’entra, eccome. Lo stesso professore di ginnastica che sa quanto faccia male respirare la propria anidride carbonica, eppure porta i ragazzi a correre e li obbliga a coprire naso e bocca con la mascherina; lo stesso professore il quale sa che si può tossire senza aver contratto alcun virus, o che avere 37° di temperatura corporea non significa nulla, però allerta i genitori e li fa venire a scuola per riprendersi il loro figlio; ebbene lo stesso, proprio lo stesso, pretende che la giusta traduzione di puellarum sia "della ragazza", e che l’immigrazione selvaggia sia la cosa più bella e giusta del mondo. Delinquenza, degrado, paura, ne sarebbero le conseguenze? Giammai: questa è la becera propaganda dei populisti. Abbasso la realtà, evviva l’ideologia (idiota).

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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