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Lasciate che i morti seppelliscano i morti

È stata una delle frasi più taglienti, più impietose e tuttavia più chiarificatrici pronunciate dal divino Maestro per scuotere dall’inerzia morale la gente che lo ascoltava e che, a parole, avrebbe voluto seguirlo, ma poi, in pratica, trovava sempre mille scuse per procrastinare la decisione e così restarsene beata e tranquilla nella propria vita di sempre: lasciate che i morti seppelliscano i morti; una di quelle frasi che non cessano di stupirci per la profonda verità su noi stessi che sono ancora e sempre in grado di svelarci, per quanto ci affanniamo a coprire di stracci colorati e pretenziosi la nostra misera, squallida nudità morale (Mt 8,18-22):

18. Gesù, vedendo una gran folla intorno a sé, comandò che si passasse all’altra riva. 19. Allora uno scriba, avvicinatosi, gli disse: «Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai». 20. Gesù gli disse: «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo hanno dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 21 Un altro dei discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli disse: 22. «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».

È una similitudine che vale per sempre e da sempre, ma che ai dì presenti si carica di una particolare intensità. Tutti questi sedicenti cattolici i quali, a cominciare dal clero, si sono astenuti dalla santa Messa e dai Sacramenti per settimane e mesi, rispettando fin troppo volentieri dei decreti iniqui ed assurdi, terrorizzati dal pericolo di contrarre il contagio e più che mai bramosi di tenersi lontani da ogni rischio e ogni possibile fonte di pericolo; questi sedicenti cattolici che non hanno trovato ripugnante e blasfemo accostarsi alla santa Comunione tenendo sul naso e sulla bocca, fino all’ultimo istante, la mascherina, prescritta dal governo e pretesa dal parroco, e che si sono comunicati con il Corpo di Cristo offerto dal sacerdote con le mani guantate di gomma, come qualcosa di sospetto e forse d’infetto; questi bravi "credenti" che giravano da un banco all’altro per scambiarsi il (massonico) "segno di pace" prescritto dal vescovo massone Annibale Bugnini, con l’orrida riforma liturgica postconciliare, ma che adesso non osano sedere allo stesso banco degli altri partecipanti alla Messa, si tengono ben discosti dal vicino e si guardano bene dal toccare o farsi toccare da chicchessia, fosse pure un caro amico che ha appena perso un genitore o un parente testé dimesso dall’ospedale; tutti costoro che fino a ieri non facevano che parlare, come il loro idolo Bergoglio, di muri da abbattere e di ponti da gettare verso il prossimo, e che adesso tremano, s’inquietano e s’indispettiscono se a un bambino seduto quattro banchi più avanti si lascia scappare uno starnuto, o se un vecchio seduto sei banchi più indietro comincia a tossire: ebbene, tutti costoro non sono dei vivi, ma dei morti. E non sono dei seguaci di Cristo, ma dei pavidi seguaci di un’altra divinità, la Scienza, dalla quale sola si aspettano salvezza e redenzione e alla quale fanno voti di eterna fedeltà e adorazione, testimoniati dalla loro testarda insistenza a girare per la strada, e perfino nei campi, con la famosa mascherina sul viso, che è diventata praticamente un segno di pubblica sottomissione al nuovo dio e fiducia incondizionata nei suoi ministri: medici, amministratori pubblici e governanti. Tutti così santamente preoccupati per il loro benessere e la loro salute da far scordare d’un colpo le migliaia di morti provocate dall’imperizia e dalla presunzione di un corpo medico asservito ai protocolli, che ha smarrito scienza e coscienza e si è rifiutato di seguire e assistere milioni di persone affette da altre epatologie che non fossero il Covid-19. E ciò mentre i medici di base si sono limitati, e si limitano tuttora, a prescrivere farmaci al telefono, o a ricevere i loro pazienti, per i quali sono profumatamente pagati col denaro pubblico, con il contagocce, non senza imporre loro le più strette e mortificanti misure igieniche, ricevendoli in piedi, a debita distanza e indossando scafandri spaziali e tute isolanti super igienizzate.

Ma non è solo nei confronti della paura che questo portare sempre la mascherina, anche in campagna, anche in bicicletta, anche in automobile, indica un atteggiamento di totale sottomissione; lo è anche nei confronti delle autorità, civili e religiose, le quali da mesi pretendono dai cittadini e dai credenti qualcosa d’illegittimo, con il che si sono rese illegittime esse medesime. La natura della legge è quella di essere giusta, e la natura delle istituzioni è quella di essere sempre conformi alla legge che si sono date e che hanno giurato di rispettare e di osservare: dunque se prendono provvedimenti illegittimi, si pongono fuori dalla legge e abdicano da sé alla propria legittimità, ragion per cui cessano d’aver diritto all’obbedienza. Un governo il quale, d’autorità, senza passare dal Parlamento e senza chiedere l’avallo esplicito della presidenza della Repubblica, fa multare i cittadini per il terribile reato di uscir di casa, o portare a respirare un po’ d’aria i propri bambini (ma permette ai proprietari di cani di condurre a spasso i loro amici a quattro zampe), mentre consente a migliaia e migliaia di clandestini di sbarcare e poi di scorrazzare in lungo e in largo per il Paese, mostra di non essere un governo legittimo; così come una chiesa che nega la santa Messa, nega i Sacramenti ai fedeli e osa dir loro che, dopotutto, si può vivere benissimo in stato di peccato mortale per tre mesi, è una chiesa che mostra di non essere la vera chiesa di Cristo, ma una sua pessima e diabolica contraffazione. Ora, come altro chiamare quei cittadini e quei credenti che seguitano a prestare obbedienza, e a riporre ogni fiducia, in un tale governo e in una tale chiesa, se non dei morti viventi, talmente preoccupati di non ammalarsi, da non accorgersi neppure di essere già belli e morti: talmente morti da puzzare di putrefazione, perché i loro corpi sono ormai dei cadaveri e le loro anime, delle anime morte?

Abbiamo detto che questo clero codardo e infedele non si è preoccupato di lasciare per settimane e mesi le anime dei fedeli in stato di peccato mortale. Questa affermazione non è temeraria, ma corretta, per la semplice ragione che l’uomo è peccatore, e non c’è nessuno che non lo sia, che non lo sia stato o che non lo sarà — nessuno, ad eccezione Maria Santissima, la quale gode di un privilegio assolutamente unico, in quanto Madre di Cristo: quello d’esser nata con l’anima immacolata, senza alcuna traccia o conseguenza del Peccato originale. Il punto decisivo, attorno al quale ruota tutta la visione cristiana della vita, è se si crede o non si crede che l’uomo è peccatore. Non peccatore senza speranza, come nella cupa visione di Lutero e di Calvino, che fatalmente conduce alla dottrina della predestinazione, cioè all’idea, mostruosa e anticristiana, di un dio che ha deciso quali anime si salveranno e quali si danneranno prima ancora della nascita (è difficile capire come mai il protestantesimo sia considerato pur sempre una "variante" del cristianesimo, laddove gli manca la cosa essenziale di esso: l’amore e la giustizia di Dio fusi inseparabilmente); bensì fatalmente incline al male per effetto della concupiscenza, trista eredità del Peccato di Adamo ed Eva, eppure, al tempo stesso, capace di scegliere e seguire la via del bene, purché ricerchi ed invochi l’aiuto soprannaturale della Grazia e dei Sacramenti. Se, viceversa, si pensa che l’uomo non è peccatore; che il Peccato originale non lo condiziona in maniera fatale, e che possiede in se stesso i mezzi e gli strumenti per scegliere il bene e perseverare in esso, allora non si è affatto cattolici, e neppure cristiani, ma si è pelagiani, ovvero gnostici, ovvero massoni. La massoneria, infatti, contrariamente a quel che si crede, è, per dirla con padre Nicholas Gruner, una religione vera e propria, anche se non si presenta come tale agli adepti e anche se preferisce indossare i panni di una semplice associazione a scopi filantropici e umanitari. Ma è una religione: crede in un principio supremo; solo che quel principio coincide con Lucifero, visto in senso positivo, come il "portatore di luce", in omaggio alla cosmogonia gnostica, per la quale il bene e il male sono semplicemente due facce di una stessa cosa, e quanto all’uomo, egli può prendere in mano il proprio destino se ha il coraggio di credere in se stesso e di spezzare le catene del senso del peccato. È il peccato, dunque, a costituire la barriera insormontabile fra chi crede nel dio di Gesù Cristo e chi crede nel dio della squadra e del compasso; fra chi sceglie con perfetta umiltà la via della Croce e chi indossa con orgoglio il grembiulino. La Croce è il simbolo del supremo sacrificio di sé, dell’offerta totale a Dio, ma anche della redenzione e della salvezza: la sola risposta possibile al male presente nel mondo e nella storia, e presente anche nell’anima dell’uomo, ponendolo in conflitto con se stesso, con la sua parte migliore, che aspira al bene e alla luce.

Ora, quante volte abbiamo sentito, nel corso delle innumerevoli omelie, discorsi a braccio, sproloqui, deplorevoli chiacchierate e conferenze stampa del signor Bergoglio, magari tenute a bordo di un aereo che vola ad alta quota (ora non più, perché costui si è spaventato per il Covid e gli è passata la passione per i viaggi), parlare del peccato, dell’uomo peccatore, della necessità della Grazia e dei Sacramenti? Quante volte lo abbiamo sentito parlare del valore di purificazione, elevazione e redenzione della Croce di Gesù Cristo, che ogni cristiano è chiamato a prendere su di sé, secondo le parole stesse del Maestro? Non solo non ne parla; ma, se ne parla, egli lo fa con il preciso e perfido intento di capovolgere la vera dottrina, affermando, per esempio, che la Via Crucis è importante perché gli ricorda la storia del fallimento di Dio. Parole inaudite, blasfeme, che nulla hanno di cattolico; parole che solo un nemico di Cristo può pronunciare con l’odiosa improntitudine di chi si spinge a scoprire la maschera sempre di più, certo del fatto che i cosiddetti fedeli, infiacchiti e infrolliti da cinquantacinque anni di deriva postconciliare, pur vedendo non vedranno, e pur udendo non udranno, e pur capendo si rifiuteranno di capire chi egli sia in realtà, perché sia stato eletto proprio lui e quale scopo si prefigga di raggiungere: la completa distruzione della Chiesa e la morte della fede nell’anima dei cattolici.

L’ultimo documento ufficiale e "solenne" promulgato da questo falso papa, la falsa enciclica Fratelli tutti, del 3 ottobre 2020, è, come diceva san Pio X a proposito del modernismo, una somma o un bacino collettore di tutti gli errori, le eresie, le bestemmie di questa falsa dottrina che viene sfrontatamente spacciata per cattolica, prendendo in giro un miliardo e trecento milioni di fedeli. È una falsa enciclica non solo perché scritta da un falso papa, o piuttosto dai suoi tirapiedi, ma anche e soprattutto perché in essa non vi nulla di cristiano e di cattolico, in omaggio, del resto, alla sua esplicita e scandalosa affermazione che Dio non è cattolico. Le citazioni sono quasi tutte auto-citazioni; non prende le mosse da Gesù Cristo, ma da san Francesco; e il san Francesco al quale dice d’ispirarsi non è il vero san Francesco, ma un san Francesco di sua invenzione e fabbricazione, quello massonico e ingannevole di cui ha voluto assumere il nome da pontefice, rivelando già con tale scelta la sua smisurata superbia e la sua incredibile faccia tosta, visto che nessun papa, mai, nella storia, fra tutti i suoi duecentosessantacinque predecessori, si era ritenuto degno di istituire un tale parallelo fra se stesso e il Poverello di Assisi. E che sia un san Francesco totalmente fasullo e taroccato è mostrato fin dalle prime righe, là dove dice che rifiutava la guerra, condannava le liti e le contese e che si era recato n Egitto disarmato, pacificamente, per incontrare il sultano (§ 3):

C’è un episodio della sua vita che ci mostra il suo cuore senza confini, capace di andare al di là delle distanze dovute all’origine, alla nazionalità, al colore o alla religione. È la sua visita al Sultano Malik-al-Kamil in Egitto, visita che comportò per lui un grande sforzo a motivo della sua povertà, delle poche risorse che possedeva, della lontananza e della differenza di lingua, cultura e religione. Tale viaggio, in quel momento storico segnato dalle crociate, dimostrava ancora di più la grandezza dell’amore che voleva vivere, desideroso di abbracciare tutti. La fedeltà al suo Signore era proporzionale al suo amore per i fratelli e le sorelle. Senza ignorare le difficoltà e i pericoli, San Francesco andò a incontrare il Sultano col medesimo atteggiamento che esigeva dai suoi discepoli: che, senza negare la propria identità, trovandosi «tra i saraceni o altri infedeli […], non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio». In quel contesto era una richiesta straordinaria. Ci colpisce come, ottocento anni fa, Francesco raccomandasse di evitare ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un’umile e fraterna "sottomissione", pure nei confronti di coloro che non condividevano la loro fede.

Come ha sempre fatto con il Vangelo, con le parole e le azioni di Gesù Cristo, anche qui il signore argentino manipola sfacciatamente la realtà dei fatti, e trasforma san Francesco in un massone ante litteram, che predica la "fratellanza universale", come fa lui. Ma la verità è che san Francesco, pur predicando la mitezza e il perdono aveva le idee ben chiare sull’islam, le false religioni e le eresie; approvava le Crociate e quanto al Sultano, in Egitto c’era andato non per chiacchierare amabilmente come fanno Bergoglio e Scalfari, ma per convertirlo a Cristo, affrontando il martirio, se necessario.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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