La condanna di Gesù, pietra d’inciampo del dialogo
23 Settembre 2020Esistono i maestri sconosciuti? E chi sono in realtà?
25 Settembre 2020Una volta, tanti anni fa, un vecchio e saggio frate ebbe a dirci, con aria significativa e un po’ misteriosa: È meglio non andare in giro la notte. Di notte, le forze del male sono libere di muoversi. Queste parole ci hanno profondamente colpito e non abbiamo mai smesso di riflettervi sopra. Che cosa significa che di notte si muovono liberamente le forze del male? Davvero è preferibile, potendolo, restarsene a casa, per non trovarsi esposti alla loro azione? E in che cosa, in quale maniera, esattamente, questa si manifesta? Il fatto che nella società moderna moltissime persone escono proprio di notte, e non solo per ragioni di lavoro, ma proprio per divertimento; il fatto che tanto giovani, il sabato sera, trovano sorpassata e un po’ ridicola l’idea di uscire, per trovarsi con gli amici, prima che siano arrivate almeno le dieci o le undici, col sottinteso di non rincasare prima delle tre o delle quattro del mattino; il fatto che si usi normalmente l’espressione il popolo della notte proprio per indicare la preferenza dei giovani per le ore notturne, considerate quelle ideali per lo ‘sballo’ e per assaporare un senso di libertà, dovrebbe farci riflettere seriamente su tale questione. Perché se è vero quel che diceva quel frate, e che combacia con ciò che hanno scritto numerosi mistici e santi, allora è evidente che le folle notturne votate alla ricerca dell’evasione e del piacere, sovente in forme disordinate ed estreme, con l’abuso di alcool, l’assunzione di sostanze stupefacenti e una sessualità promiscua, esasperata, quasi rabbiosa, si espongono inconsapevolmente a degli influssi malefici che rappresentano un grave pericolo per le anime, così come quei comportamenti e quegli stili costituiscono dei gravi pericoli per il corpo. Proseguendo in questa linea di pensieri, si può anche fare un passo ulteriore e ipotizzare che non per caso tanti giovani e meno giovani adorano il favore della notte per abbandonarsi alle sregolatezze, ma che la super élite detentrice del potere finanziario mondiale, e che, grazie ad esso controlla l’economia, la politica, la cultura e i mezzi d’informazione, ha creato il mito della notte come tempo dell’evasione e della libertà, e ha predisposto a tale scopo i più allettanti divertimenti notturni, appunto perché le persone, annullate nella folla che spegne il senso di responsabilità individuale, si trovino esposte a quei tali influssi malefici, per giunta nelle condizioni meno favorevoli per difendersene: vale a dire quando il corpo e la mente si trovano sotto l’effetto di sostanze allucinogene e sono turbate o sconvolte da esperienze emotivamente destabilizzanti.
In primo luogo, abbiamo pensato d’interrogare quella che, per un cristiano, è, e non cesserà mai di essere, la fonte primaria di ogni ispirazione e di ogni riflessione, dinanzi a qualsiasi dubbio e in qualunque circostanza della vita: il Vangelo. E subito ci è venuto in mene che il passaggio forse più drammatico di tutto il racconto evangelico, quello del tradimento di Giuda Iscariote, si trova in quel versetto di Giovanni che sottolinea con intenzione, e quasi con pignoleria: ed era notte (13,30). Rileggiamo dunque il capitolo 13, 21-30:
Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Di’, chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: «Quello che devi fare fallo al più presto». Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.
La precisazione finale dell’evangelista Giovanni, ed era notte, non può essere semplicemente un abbellimento letterario, perché pur trattandosi di un testo dai notevolissimi pregi letterari, la sua potenza espressiva non deriva da questi ultimi, ma al contrario è una conseguenza della forza dirompente della verità che da esso scaturisce. Giovanni non è un abile scrittore perché sa afferrare, con la sua perizia letteraria, la nostra attenzione, ma il contenuto di verità del suo Vangelo è così poderoso da rendere bello lo stile e catturare la nostra attenzione, anche se gli artifici letterari da lui adoperati, a ben guardare, sono modesti: prevale la paratassi, le frasi sono brevi o sono strutturate in periodi brevi, secchi, incisivi, che parlano quasi più attraverso i silenzi e i sottintesi, che non attraverso la parola pienamente espressa. Dunque, se Giovanni sente il bisogno di concludere il racconto dell’Ultima Cena con l’affermazione ed era notte, mostrandoci Giuda che esce nella notte per andare a prendere gli ultimi accordi col Sinedrio, una ragione deve esserci, assai più profonda di una mera scelta di stile. Infatti in Gv 9,4, accingendosi a guarire l’uomo cieco dalla nascita, Gesù dice ai suoi discepoli: Bisogna che noi compiamo le opere di Colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. È solo un parlare figurato? Che cosa intende dicendo che di notte nessuno può agire? Alcuni interpretano: finché c’è vita, che è il tempo della luce, perché poi viene il tempo della morte, che è oscurità. Ci sembra una spiegazione un po’ banale: è ovvio che, da morti, non si può più agire. Sempre in Gv, 11, 9-10, tuttavia, Gesù dice ancora, mentre si accinge a mettersi in cammino per Betania, alla notizia che il suo amico Lazzaro giace gravemente malato: Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». Questa volta il riferimento alla vita come luce e alla morte come oscurità è esplicito, perché i discepoli gli avevano detto (id., 8): Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo? Pure, a noi sembra che il giorno, per Gesù, non sia solo il tempo della luce e della vita, ma che sia il tempo per operare nella luce del Padre; mentre è proprio dei malvagi operare di notte, perché la notte è il tempo del buio, quando è più facile nascondere le proprie azioni cattive. Infatti in Gv 3,16-21, Egli chiarisce pienamente il senso dell’analogia luce/bene e oscurità/male:
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.
Quando dice: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, sta parlando di Se stesso e di quanti, dopo averlo conosciuto, lo rifiutano: gli atei, gli ebrei, gli islamici, ecc. (sì, cari amici che avete fatto del Vaticano II e della Nostra aetate la vostra nuova religione, fatevene una ragione: anche e soprattutto gli ebrei, i quali erano il popolo eletto e aspettavano il Messia, ma quando il Messia è venuto e si è fatto conoscere, l’hanno rifiutato, l’hanno maledetto e messo a morte, né mai se ne sono pentiti o si sono ravveduti nei successivi duemila anni, tutto al contrario). La luce di verità che viene nel mondo, dunque, è Gesù Cristo, secondo la sua stessa espressione (Gv 14,6): Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Pertanto, rifiutare la Parola di Cristo equivale a restare volontariamente nel buio della notte, come il malvagio che sfrutta l’oscurità affinché le sue azioni cattive non cadano sotto gli occhi di tutti. In conclusione, ci sembra che la similitudine adoperata da Cristo non abbia solo un significato simbolico, ma altresì intrinseco e concreto: è bene operare di giorno, nella luce di Cristo; è imprudente operare di notte, perché la notte è il momento in cui più facilmente si cade in tentazione.
Ricordiamo l’ammonimento di Gesù ai tre discepoli prediletti, Pietro, Giacomo e Giovanni, ai quali ha chiesto di restargli vicino mentre si apparta in preghiera nell’orto degli olivi (Mt 26,40-41): Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: «Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Altrove, come nella parabola della zizzania e del buon grano, il diavolo viene presentato come il nemico che opera di notte, in odio a Dio e per il male degli uomini (Mt 13,24-25): Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Chi è infatti questo nemico, se non il diavolo, che si reca nel campo di notte, mentre tutti dormono per la stanchezza dopo aver lavorato nella seminagione del grano, e malignamente vi sparge la zizzania, allo scopo di vanificare il frutto della loro fatica? In un altro luogo, Gesù suggerisce che anche il giorno del Signore, cioè la Parusia e la fine dei tempi, avrà luogo di notte, quando la gente dorme e chi verrà colto impreparato, non avrà più il tempo di pentirsi e ravvedersi, per cui bisogna sforzarsi di essere sempre nella grazia di Dio (Mc 13,33-37):
State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. È come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all’improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!».
Anche lo sposo, allegoria del ritorno di Cristo, arriva nel cuore della notte, nella parabola delle vergini savie e di quelle stolte, che ha sempre lo scopo d’indurre a vegliare e vigilare (Mt,25, 1-13):
Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; e stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.
Ricapitolando. Di notte Giuda esce dal cenacolo per tradire Gesù; di notte i discepoli s’addormentano quando dovrebbero vegliare; di notte Gesù soffre la Passione interiore e poi viene arrestato; di notte Pietro rinnega per tre volte il Maestro; sempre di notte il Sinedrio, in seduta convulsa (e illegale) lo giudica e lo condanna a morte, dopo averlo insultato e oltraggiato. Ce n’è abbastanza per pensare che la notte è il tempo propizio alla tentazione e al male, non solo in senso figurato. Di notte i freni inibitori si allentano e chi s’abbandona alla ricerca disordinata del piacere si espone a gravi pericoli; di notte la vigilanza morale si ottunde, e di tale ottundimento il diavolo è pronto a profittare, cogliendo il momento favorevole. Non è un caso che la messa nera e gli altri infami riti dei satanisti abbiano luogo esclusivamente di notte. La notte è il rovescio del giorno, come la messa nera è il rovescio della santa Messa: chi segue i ritmi della notte e cambia la notte in giorno, capovolge il giusto ordine assegnato da Dio alle cose. Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce, ammonisce il divino Maestro. L’uomo moderno, che confida in se stesso e verso Dio ha un atteggiamento di sfida, non teme la notte e anzi la predilige, e in ciò si vede la sua stoltezza, figlia della superbia. E tuttavia, non si può negare che la notte abbia un suo fascino, specie col plenilunio; ne fanno fede opere d’arte famose. Però attenzione: è anche il tempo in cui è facile smarrire la via…
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