In quei giorni uscirono da Israele uomini scellerati
16 Settembre 2020L’arte di far adulare le proprie opere escrementizie
19 Settembre 2020Il problema non è nuovo; nuova è la sua estensione, davvero sconvolgente, e la straordinaria protervia ostentata dai colpevoli, come se non temessero il giudizio di Dio, né quello degli uomini. Dante lo aveva stigmatizzato nel divino Poema (Par. XVII, 55-57): In vesta di pastor lupi rapaci / si veggion di quassù per tutti paschi: / o difesa di Dio, perché pur giaci? Il problema dei vescovi che invece di custodire le anime dei credenti nella fede, le confondono, le scandalizzano, le disperdono; dei lupi travestiti da pastori, che sfruttano indegnamente la loro posizione eminente per provocare il maggior danno possibile al gregge di Cristo; dei prelati avidi, ambiziosi di potere e di successo, narcisisti, spregiudicati, cinici, amorali, sprofondato nei peggiori vizi della carne: ebbene, un tale problema è sempre esistito, e già alte volte, in passato, aveva toccato punte estremamente drammatiche. Mai, però, bisogna dirlo, si era mescolato e intrecciato in maniera così impressionante con l’altro problema, la caduta verticale della fede nel clero, che a sua volta produce la diffusione di una setta radicalmente anticristica nel seno del clero stesso, sì che oltre ad essere eretici, oltre ad essere moralmente degenerati, codesti falsi pastori sono anche diffusori consapevoli di una falsa dottrina, che conduce le masse dei fedeli all’apostasia, senza che queste se ne rendano contro; anzi, senza che ne abbiano il benché minimo sentore. E non si creda che codesti pastori sono divenuti lupi rapaci cadendo nell’errore in buona fede: l’esistenza di ben quattro logge massoniche all’interno del Vaticano fa capire che non vi è nulla di spontaneo in tale fenomeno, ma tutto è stato studiato e attuato con metodo e perseveranza. Ecco: questo non era mai accaduto, neanche al tempo della crisi ariana o della cattività avignonese: per quanto corrotto, l’episcopato non si era mai fatto operatore, massicciamente, di una vera e propria contro-religione e di una contro-chiesa, cui spetta senz’altro il nome che le viene attribuito dall’evangelista Giovanni, la sinagoga di Satana al servizio del’Anticristo nella battaglia finale. Bisogna infatti considerare che l’Anticristo, chiunque egli sia e comunque vada intesa la sua figura, non si presenterà come un nemico frontale di Gesù Cristo, ma, al contrario, se ne professerà seguace, mescolando con diabolica malizia verità ed errore, onde falsificare dall’interno la dottrina, a sovvertire il Vangelo, con l’aria di chi lo vuole solo aggiornare e rendere più adatto ai tempi nei quali viviamo: quelli della modernità e della globalizzazione. Oggi più che mai un vero cattolico (non un seguace di Bergoglio e del Vaticano II, per intenderci) potrebbe far sue le parole di San Pietro, là ove deplora la degenerazione dell’episcopato, sempre nel medesimo canto dantesco (vv. 40-54):
Non fu la sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
per essere ad acquisto d’oro usata;4
ma per acquisto d’esto viver lieto
e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano
sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra intenzion ch’a destra mano
d’i nostri successor parte sedesse,
parte da l’altra del popol cristiano;
né che le chiavi che mi fuor concesse,
divenisser signaculo in vessillo
che contra battezzati combattesse;
né ch’io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
ond’ io sovente arrosso e disfavillo.
E ciò che dice Dante dei falsi pastori del suo tempo, lo si può dire non solo dei vescovi di oggi, ma anche, uscendo dall’ambito della Chiesa e rivolgendo uno sguardo d’insieme su tutta la società civile, per la stragrande maggioranza di coloro dai quali dipende il nostro futuro: governanti, politici, economisti, banchieri, magistrati, grandi industriali, amministratori pubblici, professori universitari, primari di medicina, scienziati accademici, giornalisti, intellettuali di ogni ordine e grado, artisti, gente di spettacolo. Tutti coloro che esercitano un potere, anche solo verbale o anche solo virtuale, e concorrono a determinare, attraverso il nostro immaginario, il nostro sentire e il nostro pensare (o piuttosto credere di pensare) si sono messi al servizio dell’élite finanziaria e hanno tradito il loro patto con la comunità, agendo in maniera diametralmente opposta all’interesse reale della gente e della nazione nel suo insieme. È nell’interesse della gente che il governo ha deciso d’imporre misure restrittive senza precedenti, per combattere un virus fra i tanti, che in percentuale fa immensamente meno vittime del cancro o dell’infarto, e più o meno quante ne fa ogni anno, una comune influenza, allorché beninteso, i suoi effetti si sommano ad altre patologie pregresse di una certa gravità, quasi sempre in soggetti anziani e debilitati? Ed è nell’interesse della gente spendere somme favolose per acquistare un vaccino che si vorrebbe somministrare all’intera popolazione, ma che si sa già essere del tutto inefficace, stante il fatto che non si può realizzare alcun vaccino per una malattia virale il cui agente patogeno si è estinto da mesi? È nell’interesse della gente aver sospeso e praticamente congelato tutte le altre terapie e gran parte delle attività diagnostiche nelle strutture sanitarie pubbliche, cosa che ha fatto e continuerà a fare decine di migliaia di vittime che nessuno si prende la briga di conteggiare e render note, perché non fanno notizia? È nell’interesse della gente che quasi tutti i giornalisti e direttori di giornali hanno seminato per settimane, per mesi, il terrore grazie ai mezzi di cui dispongono, manipolando sistematicamente i dati e in particolare occultando il dato decisivo: che quest’anno le morti per malattia non si discostano significativamente dalla media statistica di tutti gli altri anni? Ed è nell’interesse della gene che medici ed esponenti del mondo scientifico si sono guardati bene dal dire chiaro e tondo che la mascherina non serve assolutamente a niente, se non a provocare danni alla salute perché obbliga le persone a respirare la propria aria viziata; e che è un atto di malafede intenzionale far credere che i cosiddetti portatori asintomatici del virus siano dei malati, per giunta suscettibili di trasmettere ad altri soggetti la loro malattia?
L’elenco della domande di questo tenore potrebbe continuare a lungo, e in ciascun caso la risposta sarebbe ugualmente monotona e sconfortante: no, nessuna delle misure prese e degli atteggiamenti posti in essere sono stati pensati a vantaggio della comunità. Al contrario, erano tutti finalizzati a soddisfare gli interessi economici e politici delle multinazionali farmaceutiche, delle grandi banche erogatrici di prestiti, delle fondazioni private di qualche super-miliardario "filantropo" che sembra così sollecito del pubblico bene, anche se, guarda caso, si trova in patente conflitto d’interessi allorché, per esempio, esercita forti pressioni sulla O.M.S. affinché dichiari a livello mondiale una pandemia che in effetti non c’è, non perché non esista il virus del Covid-19, ma perché nella situazione degli scorsi mesi non si riscontrava alcun elemento che permettesse di considerarlo come una gravissima emergenza planetaria — e tanto meno lo si riscontra ora. Dunque, per mesi siamo stati in ostaggio, e lo siamo tuttora, di una classe dirigente che bada ai propri interessi privati, alle proprie convenienze di vario genere, dai soldi alla carriera, ma se ne infischia completamente del pubblico bene. Una classe dirigente che non ha più che scarsi legami con il territorio e con la popolazione; che, spesso, ha la seconda casa, o magari la prima casa, a Londra o a New York, dove pure riceve lo stipendio per i servizi e le attività che svolge nella ricerca, nell’insegnamento universitario, nelle professioni liberali o nel mondo dello spettacolo, e dove fa studiare i suoi figli, dove si cura o cura i propri familiari in caso di malattia o di un intervento chirurgico, dove pubblica libri e consegue premi letterari o riconoscimenti scientifici, e insomma dove ha tutti i suoi interessi e i suoi legami. Non parliamo di affetti, perché questa è ormai una parola grossa, e sicuramente obsoleta, quando si tratta di questa classe dirigente apolide, opportunista, incapace della più piccola empatia nei confronti del prossimo.
E la gente comune? La gente comune, in tutta questa vicenda del Covid-19, ha mostrato una fragilità e una suggestionabilità superiori alla più pessimistica previsione. Sapevamo che la televisione e l’uso scriteriato dei social network, insieme ad altri fattori, come il crescente conformismo intellettuale nell’insegnamento scolastico, avevano indebolito lo spirito critico delle persone, ma pochi avrebbero immaginato l’estensione e la profondità del danno. Alla prova dei fatti — fatti, peraltro, assai pesanti: venire reclusi fra le mura domestiche per quasi tre mesi, e intanto bombardati a ogni ora di notizie terroristiche, non è cosa che si possa "assorbire" senza danni — è apparso che la grande maggioranza della gente è pronta a credere a qualsiasi cosa le venga rifilata delle pubbliche autorità e dai mass-media, anche contro l’evidenza più lampante, specie se c’è di mezzo la paura riguardo alla propria incolumità personale. In altre parole è venuto fori che la gente è ancora più influenzabile di quanto fosse dato immaginare, e inoltre che ha una paura della morte assai più grande e più irrazionale di quanta ne avessero le generazioni precedenti. Ed è questa paura che ha reso le persone sospettose e diffidenti del prossimo, le ha spinte a isolarsi ancor di più, e tuttora le induce a indossare la mascherina anche per camminare in strada, o fare un giro in bicicletta, o guidare l’automobile, come se fosse un talismano, un oggetto magico, una garanzia di salvezza in un mare di pericoli inimmaginabili, infliggendo a se stesse la doppia punizione di respirare la propria aria viziata e di un ulteriore distanziamento, anche psicologico, dai propri simili e dalle stesse persone care. Sorge perciò la domanda: che cosa ha reso la gente tanto paurosa della morte? La stessa gente che trova nomali aborto ed eutanasia, tanto che del primo non si parla neanche più, mentre la seconda la si pratica di fatto in moltissimi casi, nel complice silenzio della società, ora si mostra ossessionata dallo spettro della propria morte, e sarebbe disposta a sopportare condizioni disumane, avvilenti, pur di prolungare la propria sopravvivenza, di allontanare quel malaugurato spettro. Cosa, se non l’inconscia sensazione di una vita vuota, spoglia di tutte le cose belle e buone che lo stile consumista ha cacciato via, e ridotta a pura temporalità, da riempire con riti appositi — la moda, i tatuaggi, lo shopping, la palestra, la discoteca, i giochi elettronici – per tenere a bada la noia e l’angoscia della coscienza infelice?
Osservava un grande storico di fine Ottocento, Pasquale Villari (Napoli, 1827-Firenze, 1917), che fu anche senatore e Ministro della Pubblica Istruzione nel 1891-92 – perché allora quel posto era occupato da uomini di cultura, come poi lo sarebbe stato da Croce e da Gentile, mentre oggi va a personaggi come Valeria Fedeli, nel governo Gentiloni, o Lucia Azzolina, nel Conte Bis (da Savonarola e l’ora presente, conferenza del 10 giugno 1898, cit. in Giovanni Paoli, Gerolamo Savonarola, ricostruttore nella libertà, Alba, Pia Società San Paolo, 1946, pp. 281, 284-85):
Noi viviamo in un’epoca e un una condizione di cose piene di contraddizioni e di assurdi. Distruggendo le facoltà teologiche nelle Università e sopprimendo l’insegnamento religioso, abbiamo creduto di fare gran cosa… e siamo invece arrivati a questo che un giovane deve sapere chi fu Maometto, ma è libero di ignorare chi fu Gesù Cristo. E agli esami universitari, se un professore interrogasse sui fatti del Vangelo passerebbe probabilmente per matto, mentre può e deve pretendere dagli scolari che conoscano minutamente i miti di Venere e di Mercurio. (…)
In Italia ci sono pure stati uomini capaci d’ogni idealità, d’ogni eroismo, d’ogni sacrificio. Dove sono andati? Come mai siamo venuti a tanta miseria morale? Come si spiega che il despotismo (dei vecchi sistemi) produceva nugoli d’eroi, mentre la libertà moderna ci offre solo spettacoli di volgarità e di abiezione? Altre volte mi son fatto questa domanda, e mi venne risposto che quando tornassero le grandi occasioni, gli eroi ci sarebbero ancora, pronti. E può darsi che sia così, ma non basta. Alla grandezza d’un paese non bastano gli eroi dei momenti supremi: occorrono milioni di cittadini che adempiano assiduamente il loro dovere ed abbiano profonde convinzioni morali e religiose. L’eroismo, come diceva appunto il Savonarola — è questione d’ogni momento, di tutta quanta la vita.
Questa è la lezione che i nostri nonni conoscevano, e che noi abbiamo scordata. La vita richiede sempre eroismo, cioè disponibilità al sacrificio; o non è vita, ma solo una desolata attesa della morte.
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI