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Consigli pratici per sopravvivere nel Mondo Nuovo

Che ci piaccia o non ci piaccia — e a te, caro lettore, se stai leggendo queste righe, quasi certamente non piace — siamo stati scaraventati tutti quanti nelle meraviglie, si fa per dire, del Mondo Nuovo. Prima con i cosiddetti attentati dell’11 settembre 2001 (e, nel caso dell’Italia, con l’appendice del Ponte Morandi: Genova, 14 agosto 2018), poi, e definitivamente, con la proclamazione della pandemia da Covid-19 da parte dell’O.M.S., l’11 marzo del 2020, una data che rimarrà per aver segnato un prima e un dopo nella storia contemporanea. E in questo Mondo Nuovo tutti i processi della globalizzazione, già di per sé estremamente veloci, sono ulteriormente accelerati, e continuano ad accelerare sempre di più, freneticamente, al punto che c’è da dubitare della possibilità, per la mente e per l’organismo umano, di poter tenere ancora per molto un ritmo così indiavolato, che né l’una né l’altro sono in alcun modo preparati a sostenere. Il rischio concreto, e tutt’altro che ipotetico, è letteralmente quello d’impazzire, di finire esauriti, disfatti, depressi, distrutti e ricoverati, volenti o nolenti, in qualche casa di cura psichiatrica, o ridotti simili a dei vegetali dall’uso e dall’abuso di psicofarmaci, assunti nel disperato tentativo di tenere a bada i mostri scatenati dell’insonnia, dell’ansia, dell’angoscia, del malessere esistenziale, spinto fino al limite del desiderio di autodistruzione. È dell’altro giorno la notizia che una donna, una maestra d’asilo, si è suicidata, a Roma, gettandosi dalla finestra di casa, perché era ossessionata dal terrore di aver contratto il Covid-19, terrore peraltro ingiustificato: e questa morte, crediamo – e Dio sa se vorremmo sbagliarci completamente, e se non preferiremmo essere sbugiardati dai fatti — temiamo che sia solo la prima, o meglio la prima di cui la stampa ha parlato, di una lunga serie, perché gli effetti peggiori di uno stato depressivo possono manifestarsi anche a distanza di mesi o anni dall’evento o dall’esperienza traumatici che hanno provocato lo squilibrio e il malessere. Avevamo parlato di queste cose, diversi anni fa, ossia molto prima della presente emergenza sanitaria, esaminando il cosiddetto shock del futuro, dovuto a una tale accelerazione dei processi della modernità da risultare insostenibile per molte categorie di persone; e più recentemente, in un altro articolo, abbiamo indicato la risposta spirituale con la quale si può fare fronte a una situazione così sconvolgente e fuori controllo. Ora vogliamo scendere su un terreno più concreto e dare alcuni consigli pratici per la sopravvivenza nel Mondo Nuovo, consci che moltissime persone, anche nella cerchia delle nostre amicizie e conoscenze, soffrono terribilmente per il fatto di sentirsi proiettate in una dimensione che non riconoscono come propria, anzi, che trovano assolutamente intollerabile, e nella quale pertanto si dibattono come pesci presi nella rete o, se si preferisce la similitudine, come esuli in patria, travagliati dall’amarezza e dalla frustrazione di non trovar più alcuna corrispondenza fra sé, il proprio sentire, e quello degli altri. È come se ciascuno fosse isolato nel proprio piccolo inferno privato, che ha le pareti di cristallo per vedere l’esterno, ma non ha porte né finestre per comunicare col mondo.

Dunque, consigli pratici per la sopravvivenza.

CONSIGLIO NUMERO UNO: eliminare completamente, se possibile, la televisione; se no, ridurla drasticamente a poche ore la settimana, magari per vedere qualche buon film o qualche innocuo sceneggiato sentimentale; ma evitare come la peste i telegiornali, tagliare la pubblicità (come?, girando canale o togliendo l’audio, in modo da lasciarla scorrere senza più il pungiglione che cattura involontariamente l’attenzione, finché riprende il vostro programma), evitare nel modo più assoluto i reality, trasmissioni come Uomini e donne, Forum, o giochi come Deal with it, o altri come Striscia la notizia, oppure Non ho l’età, e soprattutto immondizia come Il grande fratello. Se si indulge a guardare quotidianamente anche uno solo di tali programmi, l’esito è assicurato: un incretinimento irreparabile, una crescita ipertrofica dell’ego e perciò del narcisismo, e, come se non bastasse, la distruzione progressiva del buon gusto, della buona educazione, del senso della dignità personale, del pudore, della giusta e naturale riservatezza. «Eh, via — obietterà qualcuno — tutto ciò non è esagerato? Vada per i telegiornali, notoriamente bugiardi e allarmistici; ma che male può fare guardare uno di quei programmi? D’accordo, non saranno particolarmente intelligenti, e forse neanche tanto raffinati, questo lo si può concedere; ma davvero possono provocare dei danni così gravi dal punto di vista pedagogico?». La risposta è sì: sicuramente sì; sono veleno pere l’anima allo stato puro. Fanno più danni programmi di quel tipo, specie nei giovami, ma anche negli adulti e negli anziani, che non una esplicita predicazione di contro-valori, come si fa in certi ambienti esoterici e massonici; fanno più danni proprio perché l’intelligenza s’intorpidisce, la coscienza si rilassa e non esercita più alcuna vigilanza, e il messaggio deleterio, aberrante, cialtrone o distruttivo, trova il modo d’insinuarsi in noi, nella nostra mente, nel nostro immaginario, senza che ce ne rendiamo conto. È come una forma d’ipnosi. Sta di fatto che basta uscire per la strada, entrare in un bar, in un centro commerciale, in una scuola, in una sala giochi, e si vedono gli effetti della dipendenza televisiva: la gente di tutte le età mostra sempre meno uno spessore proprio, una sostanza interiore, una personalità, e sempre più si appiattisce su modelli di abbigliamento, di look, di atteggiamenti standardizzati e intercambiabili: stesso taglio di capelli, stessi tatuaggi, stessi pantaloni o gonne o maglie o cappelli o scarpe, stessi occhiali da sole, stesse borse firmate: una omologazione assoluta che tradisce una caduta verticale del gusto personale e un uniformarsi acritico ai modelli comportamentali proposti/imposti dal mezzo televisivo. E non ci si venga a dire che questo è un giudicare superficialmente, e che magari quelle persone possiedono una grande interiorità; insomma che noi pretendiamo di salire in cattedra e dare la pagella al prossimo, senza sapere nulla di lui: sono discorsi di una insulsaggine totale. Se milioni di persone si assomigliano sempre più nel modo di vestire, di acconciarsi, di tatuarsi, ecc., e se si uniformano ai modelli proposti dalla pubblicità, dalla televisione, dai social, fino a cancellare ogni segno della propria personalità pur di aderire al cento per cento al personaggio visto sullo schermo, non ci si venga poi a dire che quella è solo l’apparenza e che la sostanza potrebbe essere del tutto diversa. Sono loro che si mettono l’uniforme, proprio come tanti soldatini: e se lo fanno, è per apparire proprio a quel modo, e non lasciar vedere com’erano prima; questo significa che la loro scelta è quella di annullare se stessi e calarsi in uno stampo universale, uguale per tutti gli altri, peraltro con la ridicola pretesa, sbandierata a parole, di essere speciali, unici, autentici, ecc. ecc. Dunque, sono i fatti a mostrare quel che essi sono diventati e non siamo noi che vogliamo giudicarli. Noi non facciamo altro che prendere atto di come sono, o meglio di come vogliono apparire, nonché del fatto che, per essi, apparire è la cosa più importante, così importante da giustificare anche la rimozione e il nascondimento del proprio essere personale. E la loro intenzione si è attuata così bene, è così ben riuscita, che viene da domandarsi se, al termine di un’operazione mimetica tanto minuziosa, di un mascheramento e un nascondimento così radicali, il loro vero io esista ancora o non sia scomparso del tutto, sepolto sotto strati e strati di apparenze studiate e calcolate.

CONSIGLIO NUMERO DUE: via dalla pazza folla. La folla, lo notavano fin dall’inizio i pionieri della sociologia, come Gustave Le Bon, è una brutta bestia: non è per niente intelligente, in compenso è dominata dagli istinti primordiali, e chi entra a farne parte, depone i panni dell’uomo civile e razionale e torna ad essere un selvaggio; inoltre cessa di essere un individuo e si annulla nella psiche collettiva che lo può trascinare ovunque, sino a commettere le azioni più abominevoli. Se ci si abitua a stare nella folla anche quando se ne potrebbe fare a meno, ad esempio nel proprio tempo libero, si contraggono tutti i vizi di un’umanità debole, suggestionabile, capricciosa e imprevedibile, insomma amorale, e si abdica al proprio statuto ontologico di persone, per regredire a pecore belanti nel gregge. E non solo bisogna andar via dalla folla; bisogna coltivare poche ma buone amicizie, e, se no, imparare a stare da soli. La solitudine è brutta solo se viene subita come un destino indesiderato; ma se è il prezzo che si paga per liberarsi dai condizionamenti della folla e per riappropriarsi, attraversi il silenzio, della propria interiorità, allora è non solo utile, ma necessaria.

CONSIGLIO NUMERO TRE: fate le cose con calma; cercate di abolire la fretta, i ritmi convulsi. Sono un pretesto per non occuparvi mai realmente di voi e rimandare alle calende greche un bell’esame di coscienza su voi stessi e la vostra vita. Per quanto ve lo consentono il lavoro e le altre necessità della vita pratica, imponetevi la virtù della lentezza: in compenso fate bene quello che state facendo, di qualunque cosa si tratti. Invece di telefonare, scrivete una lettera; invece di prendere l’ascensore, salite le scale a piedi; invece di buttar via la camicia strappata, provate a rammendarla; invece di guardare la tv, leggete un buon libro, preferibilmente un classico. Abituatevi a non dipendere totalmente dalla tecnologia, a tenere spento il cellulare, a lasciare la macchina in garage quando potreste andare a piedi. Ascoltate il silenzio, cercate di ritemprarvi nella natura. Respirate l’odore della terra, della resina, della pioggia. Andate a letto quando è ora di dormire e alzatevi molto presto il mattino. Ritrovate un ritmo di vita il più possibile naturale. Se siete fumatori, smettete; se vi piace il caffè, limitatevi a un paio al giorno; se amate i cibi soffritti, cambiate dieta, eliminate i grassi, riscoprite la frutta e la verdura. Mangiate con moderazione e masticate lentamente. Le prime ore del mattino sono le migliori: potete fare più lavoro in esse, con risultati più soddisfacenti, che in tutto il resto della giornata. Tenete la schiena dritta, non ingobbitevi, anche per evitare i dolori cervicali. Vi ricordate ancora come si fa a respirare? A respirare profondamente, riempiendo d’aria al massimo i polmoni. Esercitatevi. Oltre che sul piano fisico, avrete un giovamento anche a livello interiore: sentirete un benefico senso di rilassamento, di calma e padronanza di voi stessi.

CONSIGLIO NUMERO QUATTRO: dedicate del tempo alla preghiera, se siete credenti; se no, alla meditazione. Non i ritagli, non gli avanzi del vostro tempo: a Dio si offrono i fiori più belli. Pregate quando la vostra anima ne ha bisogno, perché senza l’aiuto di Dio non potete far nulla. La preghiera non è un di più, un lusso: è il sale quotidiano della vita; niente preghiera, niente vita soprannaturale. È come se chiudeste Dio fuori della porta. Ma una vita senza Dio è una pallida ombra della vita vera. Chi prega è capace di fare cose eccezionali; chi non prega stenta perfino a svolgere le mansioni quotidiane indispensabili. Sì, lo so: ci sono, voi dite, persone che non pregano, eppure fanno un sacco di cose e hanno molte soddisfazioni. Ma voi che ne sapete? Non sapete nulla. Non sapete né se davvero non pregano; né, posto che non lo facciano, se la loro vita è piena di successi. Questo è quel che si vede dal di fuori; ma è possibile che la loro vita sia, in realtà, un inferno. Un inferno coi soldi e il successo; ma pur sempre l’inferno. Forse quelle persone meditano il suicidio e invidiano proprio voi, con la vostra vita normale, coi vostri semplici affetti.

CONSIGLIO NUMERO CINQUE: abituatevi a fare a meno delle cose superflue; liberatevi dalle catene del consumismo. Siete circondati da cose inutili e non fate altro che desiderarne sempre di nuove. Però, se ci pensate bene, vi accorgerete che non vi servono. E la stessa cosa vale per le relazioni umane, specialmente sessuali: credete di non poter fare a meno di aver sempre qualcuno lì, a vostra disposizione; ma è solo perché siete rimasti puerili. L’adulto sa bastare a se stesso. Se ama, è perché ha molto da dare e non perché brama di ricevere: è un ricco, non un medicante.

CONSIGLIO NUMERO SEI: riflettete bene prima di assumere un impegno; ma una volta che lo avete assunto, andate sino in fondo, a costo di qualunque sacrificio. Siate di parola, innanzi tutto con voi stessi. Come possono gli altri prendervi sul serio, se voi per primi non avete fede in voi stessi?

CONSIGLIO NUMERO SETTE: imparate ad ascoltare e a parlar poco. Se parlate sempre voi, non imparerete nulla, anche se aveste la fortuna di avere Aristotele come compagno di serate al bar.

CONSIGLIO NUMERO OTTO: imparate a guardarvi intorno. Sapreste descrivere la casa in cui abitate, la via in cui si trova la vostra casa? Sapete che tipo di alberi fiancheggiano il viale? Avete notato se quest’anno, a marzo, sono tornate le rondini; e avete fatto caso se la sera cantano i grilli? Sapete di che colore ha gli occhi vostra moglie? Siete capaci d’inventare delle storie per i vostri bambini? Ricordate il giorno della Prima Comunione o l’emozione di quando vi siete sposati? E se ora vi sentite spenti, annoiati, frustrati, credete sia colpa del mondo che congiura per farvi dispetto?

CONSIGLIO NUMERO NOVE: Reagite alla tristezza e allo scoraggiamento; conservate l’ingenuità e il candore di quando eravate piccoli. Se il mondo in cui vivete ha perso ogni incanto, allora siete già morti: dei morti asintomatici. Evitate come la peste le persone eternamente negative: sono invidiose della vostra possibile felicità. La tristezza è male, perché offusca lo splendore del creato.

CONSIGLIO NUMERO DIECI: Cercate la bellezza. Anche nei luoghi e nelle situazioni peggiori, cercatela e la troverete, magari nascosta in un angolo. La bellezza è gioia dell’anima e inno alla vita.

E adesso buona fortuna: che Dio sia con voi, accompagni i vostri passi e benedica il vostro cammino.

Fonte dell'immagine in evidenza: Alan Camerer - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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