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Come reagire a tristezza, angoscia e disperazione

I danni economici che la folle gestione della crisi sanitaria attuata dal governo Conte Bis ha inferto al tessuto del nostro Paese verranno al pettine nei prossimi due o tre mesi: e sarà un bilancio pesantissimo, devastante, da bollettino di guerra. Ma ci sono degli altri danni, meno visibili, ma non meno devastanti, che quella folle o criminale gestione (la definizione più esatta sarebbe: folle e criminale, perché dettata da interessi non legittimi, né nazionali) ha inferto al popolo italiano, e che appariranno nel corso del medio e lungo periodo, vale a dire mesi e anni: quelli di natura psichica e morale. La politica della clausura pressoché totale (che gli anglofili amano chiamare sempre e solo lockdown) ha aggredito alla radice, e praticamene distrutto, il senso della socialità e tutte le manifestazioni esteriori dell’affettività, insegnando alla gente a vedere un potenziale untore, quindi un potenziale nemico mortale, in qualsiasi persona, compresi i propri amici e parenti più stretti. Ha insegnato ai bambini a vivere in un mondo anaffettivo, isolati, senza più compagni di giochi, senza l’abituale visita al nonno, senza le carezze e le storie della nonna, e ha vietato ai figli di andare a trovare i genitori ricoverati in ospedale, o ha limitato a quindici minuti ogni quindici giorni le viste ai genitori in casa di riposo. Il tutto senza poterli toccarle, abbracciare, baciare, anzi stando separati mediante una lastra di plexigas, e con la sorveglianza di una persona estranea che vigila affinché queste norme siano rispettate, esattamente come nelle carceri, ma con scrupolo e severità ancor maggiori. E chi ha voluto, o tuttora vuole, portare un regalo per quei poveri genitori, ha dovuto e deve tuttora lasciarlo (a mesi dalla fine dell’emergenza) in deposito presso la direzione della casa di riposo, la quale, prima di consegnarlo ai destinatari, provvede a "sanificarlo", come oggi si usa dire, vale a dire a disinfettarlo come se provenisse direttamente da un lazzaretto di appestati. Molte persone non hanno potuto dare neanche l’estremo saluto ai genitori morenti, anzi non hanno potuto nemmeno vederne la salma, perché questa, spogliata e infilata in un sacco di plastica, è stata spedita direttamente in crematorio, e la sola cosa di lei che i figli hanno potuto vedere è stato un piccolo contenitore con le sue ceneri, recapitato una settimana dopo come una raccomandata a domicilio. Migliaia di persone non hanno potuto far celebrare un degno funerale per il padre e la madre, oppure, se sono stati fortunati hanno potuto, sì, accompagnare la salma al cimitero, ma senza Messa, senza parenti e amici, alla sola presenza dei becchini. Niente scuola per i bambini, niente lavoro per i commercianti, i baristi e gli albergatori, niente passeggiate, niente terapie mediche che non fossero per il Covid-19, niente treni, corriere, aerei, niente conferenze, niente partite di calcio, niente allenamenti in palestra, niente università degli anziani, niente attività di volontariato, tranne portare le borse della spese ai vecchi, sempre con guanti e mascherina e restando fuori della porta. Nessun conforto spirituale o religioso: niente Sacramenti, niente santa Messa, niente Rosario, niente ritiri spirituali, niente Via Crucis, niente Pasqua, niente gruppi di preghiera, niente benedizione della casa, niente di niente. E chiese sprangate o disertate dal clero; sprangati i camposanti; amuchina al posto dell’acqua santa (ma di che stupirsi dopo che il sedicente papa ha definito il whisky scozzese la vera acqua santa?), niente Confessione e perciò niente remissione dei peccati. Paralisi della vita spirituale: milioni di credenti costretti a restare per dei mesi in peccato mortale, senza guida, senza pastori, senza una parola di conforto da parte d’un clero che, fino al giorno prima, non sapeva parlar d’altro che di chiesa in uscita, muri da abbattere ponti, da gettare, del dovere della solidarietà, dell’accoglienza, dell’inclusione, ma che poi, nel momento del bisogno si è letteralmente liquefatto. A cominciare dal sedicente papa, il quale ha fatto sapere che non lascerà più il Vaticano fino a tutto il 2021, o comunque fino a che non sarà disponibile un efficace vaccino. Come dire: si salvi chi può, e ciascuno pensi a se stesso. Frattanto, per mesi e mesi, a tutte le ore del giorno, una televisione ossessionante che non ha fatto e non fa altro che spargere angoscia e terrore, falsificando spudoratamente i dati reali; e una stampa che fa lo stesso.

Di giorno, persone che continuano a camminare per la strada, a pedalare in bicicletta, a guidare l’automobile, portando calata sul naso e sulla bocca la mascherina, soffocando per il caldo e la mancanza di ossigeno e avvelenandosi con la propria anidride carbonica: così, senza un motivo al mondo, senza scopo, da perfetti idioti, con uno zelo perfino superiore a quello preteso da questo governo d’imbecilli e criminali, e incoraggiando per ciò stesso quel governo a proseguire sulla strada imbecille e criminale già intrapresa dal mese di febbraio, in obbedienza a un copione scritto altrove, dai padroni della grande finanza e in particolare da quelli di Big Pharma. La sera è il coprifuoco: le strade deserte nonostante questo magnifico settembre che inviterebbe a tirar tardi; i bar e le gelaterie aperti, ma tristemente senza clienti, costretti a pagare le spese di affitto, di corrente elettrica, più le tasse, ma in assenza di profitti e quindi con la prospettiva della prossima e definitiva chiusura, stavolta però per fallimento, di attività commerciali che erano fiorenti e si reggevano sulla buona qualità del servizio e su una clientela consolidata. E intanto la gente chiusa in casa, sempre più sola e isolata dal prossimo, sempre più ipocondriaca e paranoica, inchiodata davanti allo schermo della tv o a quello del computer. Nessun lieto schiamazzo di bambini, nessuna voce amica, nessun rumore di vita familiare, insomma nessun segno di vita, tranne qualche pensionato che porta a spasso, al buio, con la torcia elettrica, il cagnolino al guinzaglio, sempre indossando la museruola d’ordinanza (l’uomo, non l’animale), al punto che non si capisce più se sia il padrone che porta a far due passi il suo amico a quattro zampe, o se sia il cane a portare il suo padrone a godersi il quarto d’oro d’aria stabilito dal regolamento carcerario. Per il resto, strade deserte e silenziose, niente persone, niente macchine, pochissime luci alle finestre. La stessa atmosfera surreale di certi romanzi e film apocalittici degli anni Cinquanta e Sessanta, come L’ultima spiaggia di Stanley Kramer (da un soggetto di Nevil Shute), con Gregory Peck, Anthony Perkins e Ava Gardner, che ricordiamo d’aver visto da bambini con un senso di angoscia e di fatalità incombente, quando il mondo viveva nell’incubo di una possibile guerra nucleare; ma che poi avevamo scordato, abbagliati dagli effimeri fasti di quel consumismo americanista e demenziale che è il maggiore responsabile del nostro attuale incretinimento, grazie al quale siamo indotti a credere e a introiettare qualsiasi menzogna, purché venga proclamata da mamma tivù e debitamente confermata, e se possibile ancor più amplificata, dai giornali a maggior tiratura, iniziando dal Corriere della Sera e La Repubblica, e proseguendo con Il Fatto Quotidiano. Altro che fatto: qui ci stanno vendendo per fatti un gigantesco castello di bugie, mezze verità e interpretazioni sconclusionate e fin troppo funzionali agli interessi tutt’altro che limpidi del Potere.

Ora, la domanda è questa: che cosa si può fare per non soggiacere alla tristezza, alla solitudine, alla paranoia; per non sprofondare nella palude dell’angoscia e dell’ipocondria; per non soccombere alla frustrazione, allo sconforto, alla disperazione vera e propria? Come ci si può difendere per non restare schiacciati, a quali risorse si può e si deve fare appello in quest’ora suprema, quando ormai è chiaro che il mondo non sarà mai più quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi e che sui libri di storia, se ci sarà ancora una storia, la vicenda del Covid-19 segnerà uno spartiacque fra il prima e il dopo? La gente ha bisogno di parole di speranza, e ne ha bisogno come del pane: quel pane della speranza che un clero codardo e fuggiasco non sa o non può o non vuole spezzare con i fratelli affamati, troppo ossequiente alle leggi di un governo iniquo, al pessimo esempio di un falso papa, eretico e bestemmiatore, e forse troppo preoccupato della propria salute, della propria sicurezza e della propria sopravvivenza personale (difficile, del resto, scagliargli la croce addosso, dopo aver visto coi propri occhi medici della mutua imporre ai propri pazienti regole sanitarie assurde, e sottoporre se stessi a procedimenti di "sanificazione" maniacali, ignorando e calpestando non solo l’ABC della deontologia professionale, ma anche il più elementare spirito di solidarietà umana e di compassione verso il prossimo in difficoltà). E tuttavia, non serve una speranza qualsiasi; non avrebbe senso una speranza a un tanto il chilo, che quasi la si regala perché non costa praticamente nulla; una speranza farlocca, ingannevole, bugiarda, buona solo a cullare i dormienti nei loro sonni, e gl’inerti nella loro accidia; al contrario, serve una speranza attiva, operosa, virile, e soprattutto ragionata e intelligente. Insomma c’è bisogno di una speranza da persone adulte e responsabili (e non "responsabili" nel senso grottesco dato alla parola dai vari Burioni, Conte, Speranza, Azzolina, Zingaretti, ecc.), non la speranza di chi ripete stolidamente andrà tutto bene, solo perché suona bene, è consolatorio e ha il sapore di un «mettiamoci nelle mani del governo, affidiamoci alle decisioni del Comitato tecnico-scientifico, lasciamo fare a loro, agli esperti, a quelli che la sanno lunga, e limitiamoci a credere, obbedire, collaborare» (ogni assonanza con il mussoliniano Credere, obbedire, combattere è, s’intende, puramente casuale).

Per il cristiano, in particolare, la sola speranza che abbia un vero significato è la Speranza come virtù teologale, insieme alla Fede e alla Carità. Vale a dire non una speranza che poggi sulla sabbia di qualche pretesa sicurezza di quaggiù, bensì una speranza che si fonda sulla roccia della Parola di Dio, della sua indefettibile Promessa; sulla luce sfolgorante della sua ineffabile Rivelazione. E allora ci accorgeremo che Gesù Cristo, parlando ai suoi discepoli, come pure alle folle, non ha mai distribuito quella ingannevole speranza a un tanto il chilo, buona solo per placare superficialmente le inquietudini umane e per cattivarsi le simpatie di questo mondo, magari strappando qualche applauso. No, niente affatto: Gesù è chiarissimo su questo punto: Lui promette la pace a chi lo segue, ma non la pace del mondo; Lui promette la sua divina assistenza a chi si carica sulle spalle la propria croce, ma non gli dice affatto che "andrà tutto bene", nel senso umano della parola; Lui garantisce il premio più grande, ma al prezzo di sofferenze e tribolazioni. Forse che per Lui, umanamente parlando, è "andato tutto bene"? Non è stato compreso, neppure dai suoi discepoli più intimi; è stato tradito da uno di essi, e abbandonato nell’ora del pericolo da tutti gli altri, nonché rinnegato per tre volte dal più autorevole di essi; è stato calunniato, vilipeso, accusato, processato, condannato, maledetto, schiaffeggiato, sputacchiato, fustigato, incoronato di spine, inchiodato alla croce, sbeffeggiato e deriso perfino mentre stava agonizzando, non solo dai suoi nemici, ma perfino da uno dei suoi compagni di sventura, un ladrone crocifisso al suo fianco. Chi mai potrebbe dire che, umanamente parlando, la Sua vita è stata un successo? Però, attenzione: da qui a dire, come ha fatto empiamente il signore argentino, che la Via Crucis è la storia del fallimento di Dio, c’è di mezzi un abisso. Perché quella Passione, quell’Agonia, quella Morte, Cristo non le ha subite, le ha volute: erano il prezzo necessario per il nostro riscatto e, al tempo stesso, la testimonianza del suo amore supremo nei nostri confronti: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15,13). E qual è la preghiera che Gesù rivolge al Padre Suo, al termine dell’Ultima Cena, nell’atto di affidargli i Suoi discepoli, sapendo che fra poche ore sarebbe stato separato da essi? Non è la richiesta di preservarli dal mondo, ma di proteggerli dal Diavolo (caro Sosa Abascal, generale dei gesuiti, tu che dichiari alla stampa che il Diavolo non esiste: hai mai letto il Vangelo, qualche volta?). Ecco le sue precise Parole; sissignore, precise, sempre con il permesso di Sosa Abascal, il quale afferma tranquillamente, senza arrossire per la vergogna, che in mancanza di nastri magnetici con la voce registrata di Gesù, non si può essere proprio certi di quel che Egli disse realmente (Gv 17,15-19):

Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità.

Dunque, la Speranza cristiana — attesa fiduciosa di cose future credute mediante la Fede e confermate dalla Risurrezione di Cristo (altro che Via Crucis come fallimento di Dio!, è proprio il contrario) non si caratterizza per un dolciastro Andrà tutto bene, ma contiene un ammonimento: ciascun uomo, individualmente chiamato alla verità e alla salvezza da Dio, sarà anche tentato dal Diavolo, ma potrà avvalersi della Protezione divina. Nessuno sarà lasciato solo nelle grinfie del Diavolo, a meno che lo voglia. Per il resto, nessun seguace di Cristo potrà sottrarsi alla sua croce: perché è la Croce che salva. Non l’amuchina, né i guanti o la mascherina; non i tamponi e i vaccini, e neppure il distanziamento. Ed ecco la follia e il peccato mortale di aver serrato le chiese e sospeso i Sacramenti. Perché Gesù è chiarissimo, di una chiarezza disarmante, allorché dice (Mt 16,25): Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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