Un regime in agonia diventa sempre più repressivo
4 Settembre 2020E diteci: quando, esattamente, avete cambiato idea?
6 Settembre 2020Qual è l’elemento coagulante di una società, di una civiltà? Perché una società, e a maggior ragione una civiltà, hanno bisogno di un fattore che funga da catalizzatore e al tempo stesso da unificatore: senza di esso, tutte le spinte disordinate dei singoli porterebbero rapidamente alla disgregazione sociale e alla fine di quella comunità. Nel caso dell’antica società egizia, quel fattore era dato dalla corrispondenza tra le forze celesti, impersonate dal sovrano divino, e quelle naturali, in particolare il fiume Nilo, dalle sorgenti misteriose ma dalle piene provvidenziali, che strappava letteralmente la vita al deserto. Per la società greca, quell’elemento era l’areté, ossia la virtù e l’eccellenza, che spronava gli individui a dare il meglio di sé in pace e in guerra, e nello stesso tempo a temere il giudizio della comunità in caso di viltà o accidia, e quindi a protendersi verso la gloria. Per la romana era la virtus, inseparabile però dalla pietas, l’amore e la devozione verso gli dei, la patria e la famiglia. Per quella cristiana, la caritas, la benevolenza e l’amore disinteressato secondo il modello ineguagliabile di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, venuto sulla terra per mostrare agli uomini la via verso la verità, che è Egli stesso. Nello steso tempo, il cristianesimo ha realizzato una sintesi felice fra la dimensione terrena e quella ultraterrena, insegnando agli uomini a vivere la vita senza eccessivo attaccamento, ma anche senza svalutarla (come invece facevano i catari), e nel complesso a considerarla come la necessaria preparazione alla vita vera, che si apre dopo la morte fisica e il giudizio divino. Questo, per quanta riguarda i contenuti. Ma c’è un altro aspetto della forza morale che permette a una società di affrontare i passi difficili, guerre, invasioni, carestie, terremoti, crisi economiche, un aspetto che generalmente passa quasi inosservato, anche perché con l’avvento della modernità si è via via ritirato, e oggi è sul punto di eclissarsi, forse per sempre: ed è la capacitò di raccontare storie. Storie nel senso di miti, ma anche nel senso di tradizioni. Sono storie, pertanto, sia i poemi omerici, sia drammi del teatro greco classico, di Eschilo e Sofocle, sia il sapere dei contadini e dei pastori, legato alla terra e tramandato da innumerevoli generazioni, fatto di conoscenze agrarie e zootecniche, ma anche meteorologiche e astronomiche, sia delle loro applicazioni pratiche nell’ambito delle coltivazioni, dell’allevamento, dell’apicoltura, della raccolta di erbe medicinali e funghi commestibili. Il tutto imbevuto di credenze religiose antichissime, non solo cristiane ma anche di origine precristiana, pagana, che insegnano e prescrivono come e quando fare una certa cosa, seminare e mietere il raccolto, potare e innestare, trapiantare e far accoppiare gli animali. I depositari di tutto questo sapere sono, o piuttosto erano, i vecchi: esperti del lavoro e delle cose della vita, resi saggi dall’età, dai sacrifici, dalle esperienze, anche quelle dolorose, e da una profonda conoscenza degli aspetti materiali e di quelli immateriali dell’esistenza: sempre sul filo della memoria e cioè del legame fra passato e presente, fra le radici e i rami di quella pianta che è l’esistenza. Oltre al suo valore pratico, il sapere dei vecchi e, in minor misura, di tutti i membri della comunità, si configura come un insieme di narrazioni e di racconti, e quindi ha un ulteriore valore in quanto fornisce loro un modello di comunicazione e un orizzonte comune di senso, che permette la condivisione di un patrimonio culturale e spirituale comune, diverso e assai più ricco della semplice somma dei saperi individuali.
E la società moderna su che cosa si regge, a che cosa tende, e soprattutto qual è l’elemento che la tiene unita in un solo fascio, coesa, e impedisce alle forze centrifughe e individualistiche di portare avanti la loro lenta, ma inesorabile opera di dissoluzione? Da questa rapidissima panoramica, si sarà di certo intuito che l’elemento coagulante di una società deve risiedere nel giusto equilibrio fra i bisogni e le aspirazioni del singolo e le necessità della comunità: la società individualistica va verso l’autodistruzione per la somma delle spinte conflittuali, la società comunista va incontro allo steso destino per aver ucciso quelle spinte, o meglio per non aver saputo incanalarle in senso costruttivo, imponendo una cappa di piombo che omologa ogni membro e spegne l’iniziativa personale e la legittima ambizione di affermarsi. Le società antiche, in diversa misura, hanno saputo creare una sintesi abbastanza riuscita fra le due necessità, e infatti sono durate secoli e millenni; la società cristiana è anch’essa durata moltissimo. In esse la dimensione del racconto svolgeva una funzione sociale importantissima: teneva unite le persone e al tempo stesso tramandava le storie significative per la coscienza della comunità, nelle quali erano esaltati sia i valori del singolo, come il coraggio, l’intraprendenza, la saggezza, sia quelli della comunità, come il senso religioso della vita, l’amor di patria e il valore della famiglia. L’Iliade e l’Odissea nacquero come insieme di racconti orali: c’era un aedo che raccontava e gli altri lo ascoltavano a bocca aperta. Si pensi allo stupendo incipit del secondo canto dell‘Eneide, quando la regina Didone invita Enea a raccontare l’ultima notte di Troia, e il silenzio scende nella sala mentre l’eroe si accinge a rievocare quel drammatico avvenimento: Conticuere omnes intentique ora tenebant (tacquero tutti e tenevano fisso lo sguardo verso Enea), dove par di sentire il silenzio, col crepitar della legna su fuoco, e il senso di attesa dei commensali. Raccontare vuol dire tramandare, ma anche saper ascoltare e introiettare nel proprio bagaglio interiore. I popoli senza scrittura, come i Maori della Nuova Zelanda, sapevano ritenere a memoria i nomi dei loro antenati, risalendo indietro fino a quaranta generazioni. Ma anche nei popoli con la scrittura c’erano persone specializzate nel ricordare le antiche storie: e ciò fino a ieri, forse perfino oggi. Massimo Magliaro, che è stato il segretario di Giorgio Almirante, ci ha raccontato che il leader dell’M.S.I. era così innamorato di Dante che conosceva a memoria tutta la Divina Commedia: poteva citarne qualsiasi brano, di qualsiasi canto, in qualsiasi momento. Queste erano le persone che uscivano dal liceo, fino a un paio di generazioni fa: e adesso? Torniamo perciò alla nostra domanda: la società moderna possiede un elemento catalizzatore nel quale i suoi membri trovino le ragioni del vivere e lavorare a vantaggio di sé, ma anche del gruppo, cominciando ovviamente dalla famiglia, e che sia tale da preservare, attraverso il racconto, la memoria di ciò che riveste una fondamentale importanza per assicurare la continuità e la coesione sociale?
Prima di rispondere, ci sia lecito fare una breve digressione sul caso dei popoli che si sono estinti. Alcuni li abbiamo visti morire, per così dire, sotto i nostri occhi, cioè quando gli antropologi li avevano studiati da vicino e avevano potuto raccogliere i racconti dei loro ultimi rappresentanti, in genere persone molto anziane che erano sopravvissute alla dispersione degli altri membri. Un popolo muore quando smette di riprodursi e quando i suoi membri preferiscono lasciarsi assimilare da un altro popolo, adottando la sua lingua, il suo modo di vestire, il suo sistema d’istruzione, il suo modo di lavorare, e naturalmente le sue credenze filosofiche e religiose. Uno dei popoli "primitivi" che si sono estinti sotto lo sguardo degli studiosi di antropologia è stato quello degli Yamana, nell’estremità insulare della Terra del Fuoco: un popolo canoero, ossia dedito alla vita sulle canoe, sempre in acqua per procurarsi il cibo dal mare, e considerato il più meridionale del mondo. Scrive Neil Philip nel bel volume Mitologia nel mondo (titolo originale: Mithology of the world, Kingfisher Publications, 2004; traduzione di Maria Teresa Bonfante, Gruppo Editoriale SRL, 2008, pp. 124-125):
Gli Yamana non avevamo villaggi permanenti, ma vivevano in rifugi familiari fatti di erba posta sopra un’intelaiatura di bastoni, di solito a forma di "alveare" fornito di cupola. Poiché muoversi nell’entroterra era molto difficile, gli Yamana viaggiavano sull’acqua, in canoe che imbarcavano acqua fatte di cortecce di faggio. Era compito dell’uomo costruire e riparare la canoa, ma della donna prendersene cura. Lei remava e ormeggiava la canoa, e badava a tenere sempre acceso il fuoco nel focolaio di conchiglia, terra o pietre, che veniva posto tra le canoe ormeggiate. Anche se essi ricevettero la visita di una nave francese, nel 1624, la popolazione Yamana rimase sostanzialmente costante fino alla fine del XIX secolo. A quel tempo, gli Yamana erano circa 3.000, suddivisi in cinque gruppi, ciascuno dei quali parlava un dialetto diverso ma reciprocamente intelligibile. In seguito epidemie di malattie occidentali, quali il morbillo e il tifo li spazzarono via,m riducendo drasticamente il loro numero. Nel 1933, ne erano rimasti soltanto 40. (…)
Quando i membri più giovani degli Yamana abbracciarono la vita moderna, i membri più anziani, che ancora avevano memoria dei miti e della saggezza della tribù, si rifiutarono di trasmettere le storie. Quando narravano le antiche storie, gli Yamana intrecciavamo costantemente le loro esperienze personali con le avventure dei mitici antenati. Essi portavano gli elementi del mito nel loro drammatico presente, e allo stesso tempo permettevamo ai narratori del mito di mettersi in mostra. Ma dagli anni ’20 del secolo scorso, la tribù non ha più funzionato come una comunità tradizionale con una cultura e delle conoscenze condivise. Il contesto in cui questo tipo di narrazioni avevamo senso non c’era più. Senza i racconti, una cultura che era sopravvissuta per migliaia di anni si disintegrò completamente.
Il nostro lettore non ha notato niente? Un popolo che smette di fare figli; che si lascia andare al destino; che si disperde e viene assorbito da altri popoli; una società che smette di funzionare come una rete di relazioni organiche, supportate da racconti tradizionali e da storie dotate di senso, che tramandano il sapere e i valori di quella comunità: stiamo parlando di noi stessi, della società moderna e della cosiddetta civiltà moderna. Crescita demografica zero; senso comunitario zero; famiglia in piena disgregazione e sorgere di modelli "alternativi" di famiglia, che però famiglie non sono; rottura della continuità tradizionale e della successione generazionale; senso di estraneità dei giovani verso i vecchi, perfino dei figli verso i genitori, aggravato dal cosiddetto distanziamento sociale per ragioni sanitarie; oblio del passato, disprezzo e ripudio, da parte dei giovani, dei fattori spirituali che hanno cementato per secoli la vita comunitaria; scomparsa della memoria, sostituita dall’informatica; appiattimento sulla dimensione del presente e dell’immanenza, perciò relativismo, nichilismo, opportunismo: è la descrizione del dramma finale degli Yamana, ma anche quella della nostra condizione attuale. Checché ne dicano i cantori di un nuovo modello di società, di patria e di famiglia: un modello alternativo ove non ci sono più padre, né madre, né Dio, né stabilità di relazioni, ma solo un prendersi e un lasciarsi secondo l’estro del momento, e perfino un inventarsi il proprio orientamento sessuale giorno per giorno; in breve a dispetto dei fautori del Nuovo Umanesimo, che altro non è se non la declinazione altisonante e pomposa del Nuovo Ordine Mondiale voluto e perseguito dalla grande finanza a suo esclusivo vantaggio, la verità è che ci stiamo estinguendo, che non facciamo più figli, che non crediamo più nella vita e non abbiamo più speranze per il futuro. In breve, odiamo noi stessi e desideriamo scomparire (quante persone dicono: non voglio fare figli, perché dovrebbero vivere in un mondo così brutto e difficile?), ma siamo troppo vigliacchi per guardare la realtà in faccia e preferiamo auto-ingannarci parlando della bellezza di una società multietnica e multiculturale, in pratica costruendoci un alibi per poterci fare invadere e sostituire da popoli più vigorosi, che colmeranno i vuoti delle nostre culle e raccoglieranno dove non hanno seminato, sfruttando ciò che i nostri avi hanno costruito, ma senza tramandarne l’eredità, alla quale si sentono, e sono, totalmente estranei. Se si guarda alla sostanza e non alle forme esteriori, ci si rende conto che il destino che ci attende e che già si delinea chiaramente, è simile a quello dei popoli "primitivi", come gli Yamana, i quali a un certo punto, logorati da fattori interni e soprattutto esterni, si sono lasciati andare e sono scomparsi, decimati dalle malattie e assorbiti da altre popolazioni, più energiche e aggressive.
Da ciò si comprende l’importanza dei racconti tradizionali per la sopravvivenza di un popolo e di una civiltà. E infatti, se proviamo a rispondere alla domanda che ci eravamo posti, quale sia l’elemento catalizzatore e coagulante della società moderna, siamo costretti a riconoscere che non esiste. Di certo non può essere il progresso, né la scienza, e neppure il benessere: se li esaminiamo uno per uno, ci accorgiamo che non possiedono i requisiti per svolgere quel tipo di funzione. I racconti e le storie che tengono viva la tradizione e supportano la socialità, in particolare, sono spariti: al loro posto ci sono delle narrazioni atomizzate e prive di senso, che rompono il legane col passato e consegnano l’individuo alla propria solitudine: si pensi ai cosiddetti capolavori della letteratura contemporanea, come quelli di Svevo, Pirandello, Joyce, Musil, Kafka, Woolf; si pensi al cinema thriller, o horror, o di fantascienza, spesso orientato verso distopie future che stanno diventando realtà; si pensi ai megaconcerti rock e alle star che lodano e pubblicizzano apertamente la trasgressione estrema, la crudeltà e il satanismo; e lo stesso vale per moltissimi giornalini a fumetti che intossicano mente e cuore a milioni di adolescenti. Perciò: o rinsavire, o finire come gli Yamana.
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels