
Dove sono i buoni, dove sono i cattivi?
26 Agosto 2020
Dobbiamo stare in guardia contro noi stessi
29 Agosto 2020Il commissario straordinario per il potenziamento delle strutture ospedaliere destinate a fronteggiare l’emergenza Coronavirus, Domenico Arcuri — calabrese, classe 1963, laureato in Economia alla L.U.I.S.S. fondata da Umberto Agnelli – a fine marzo del 2020 ha annunciato in televisione, per tranquillizzare il pubblico italiano, che erano attesi degli aiuti sostanziosi da parte dell’Unione Sovietica, compresi 180 medici: vale a dire da uno Stato che ha cessato di esistere il 26 dicembre 1991, in seguito a un drammatico annuncio da parte di Michail Gorbaciov, ultimo segretario generale del Partito Comunista di quella nazione. Ci domandiamo sommessamente se quei medici e quei medicinali siano effettivamente arrivati, perché, se davvero sono partiti dall’Unione Sovietica, il loro arrivo evidentemente è legato agli imprevisti del teletrasporto e dei viaggi nel tempo, imprevisti e inconvenienti pressoché inevitabili, stante la tecnologia non ancora del tutto perfezionata relativa a quel tipo di comunicazioni. Comunque, in attesa che i problematici soccorsi medici provenienti dalla defunta Unione Sovietica giungano effettivamente a dare un certo qual sollievo al nostro affaticato sistema sanitario, non possiamo esimerci dal fare le nostre felicitazioni vivissime per le raffinate e assai aggiornate conoscenze geopolitiche del commissario calabrese, il quale, con la sua bella presenza e il suo innegabile piglio professionale, si deve considerare come il fiore all’occhiello del governo Conte Bis e del suo ineffabile corteo di esperti, tecnici e specialisti di ogni ordine e grado.
Manlio Di Stefano, siciliano, classe 1981, sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri sia nel governo Conte 1 che nel Conte 2, grillino d.o.c., laurea triennale in Ingegneria Informatica, alla notizia della gravissima e controversa esplosione che ha sconvolto la capitale del Libano, Beirut, il 4 agosto 2020, causando oltre 100 morti e 4.000 feriti, ha twittato prontamente la sua commossa solidarietà alle vittime, con queste memorabili parole: Con tutto il cuore mando un abbraccio ai nostri amici libici. Lo abbiamo già detto e lo ripeto anche io, l’Italia c’è ed è pronta a dare tutto l’aiuto possibile. Coraggio. Encomiabile e commovente: peccato solo che Beirut sia in Libano e non in Libia, la cui capitale è, se le memorie degli anni di scuola (elementare) ci soccorrono e se non andiamo errati, Tripoli e non Beirut; e che i nostri amici libici non c’entrino nulla con i tragici eventi del 4 agosto. Qualcuno deve essersi accorto dello svarione e il bravissimo Di Stefano, qualche ora dopo, ha rifatto il post, restituendo la geografia alle sue legittime coordinate di latitudine e longitudine; ma ormai la frittata era fatta e la figuraccia per il sottosegretario assicurata, benché questi abbia reagito con stizza e fastidio a chi gli faceva notare la quisquilia d’aver confuso il popolo libanese con quello libico. E poi c’è qualcuno che si meraviglia se l’Italia, negli ultimi due anni, è letteralmente scomparsa dallo scenario internazionale e perfino dalla geopolitica del Mediterraneo, coi turchi che tornano a metter piede in Libia, da dove li avevamo cacciati nell’ormai lontano 1911, al tempo di Giolitti, da dove ora controllano sia il petrolio, sia il flusso dei clandestini verso Lampedusa.
Frattanto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, siciliano di Mazara del Vallo, classe 1976, laurea in Giurisprudenza all’Università di Firenze, avvocato civilista, grillino, nel corso della trasmissione televisiva Porta a porta di Bruno Vespa dell’11 dicembre 2019, mostra di non conoscere la differenza giuridica fra dolo e colpa, oltre che masticare poco la grammatica italiana, allorché dichiara testualmente: Quando un reato non si riesce a dimostrare il dolo, e quindi diventa un reato colposo, ha termini di prescrizione molto più bassi. Ragion per cui l’Ordine degli avvocati di Palermo, scandalizzato da tanta ignoranza, ne chiede le dimissioni immediate: richiesta clamorosa ma che resta, naturalmente, del tutto disattesa. Volete che un ministro del Movimento Cinque Stelle si dimetta per così poco? Non si è certo dimessa la ministra della Pubblica Istruzione, Lucia Azzolina — siciliana di Siracusa, classe 1982, due lauree, in Storia della Filosofia e in Giurisprudenza, grillina pure lei — dopo che il linguista Massimo Arcangeli, oltre ad aver reso noto che aveva copiato svariati brani delle sue due tesi di laurea, ha mostrato pure che non sa letteralmente usare la punteggiatura, mette tutte le virgole a caso, né conosce l’ABC della sintassi, dato che è incapace di stabilire una concordanza fra soggetto e verbo, come nelle frasi: La violenza delle sue opinioni religiose e politiche preoccuparono sempre più i suoi protettori ed amici; oppure: Lo scambio di opinioni tra Rousseau e Voltaire rappresentano l’esempio; e ancora: La saggezza delle leggi e dell’autrice della legge sono rilevabili dalla permanenza delle leggi (dove a zoppicare non è solo la sintassi, ma anche la logica e il buon senso). Qualunque professore d’italiano delle scuole medie inferiori, davanti a simili perle, si rifiuta di dare la sufficienza ad un compito che ne sia adornato; ciò non ha impedito alla Azzolina di vantare pubblicamene le sue due lauree per zittire le critiche e scagliarsi contro il solito Salvini, definendolo un gaglioffo che ha dei modi da troglodita e chiedendo, a sua volta, quali siano i suoi titoli di studio. Quando proprio uno non sa dove stiano di casa la decenza e il senso del ridicolo. E che dire di Giggino di Maio, l’intramontabile personaggio-chiave del Movimento Cinque Stelle, avellinese, classe 1986 e dunque il più giovane di tutti, diploma di liceo ma nessuna laurea, che nel governo Conte Bis è passato dal Ministero dello Sviluppo economico e da quello del Lavoro e delle Politiche sociali alla Farnesina, cioè nientemeno che agli Affari esteri, a dispetto del fatto che non sa l’inglese, dice vairus per dire virus e colloca la Russia nel Mar Mediterraneo? Pare che la geografia non sia proprio la materia ove sono più ferrati gli uomini che rappresentano l’Italia sullo scenario internazionale. La frase precisa di Giggino, vale la pena di riportarla, suona così: Siamo un Paese alleato degli Stati Uniti, ma interlocutore dell’Occidente con tanti paesi del Mediterraneo come la Russia. Con un simile titolare agli Esteri, possiamo star certi che sia Trump, sia Putin, hanno senza dubbio la più alta stima di chi governa l’Italia, in questo momento. E levatevi dalla testa il dubbio che quello del Mediterraneo che bagna la Russia sia stato uno svarione più di sintassi che di sostanza: no, la geografia è veramente la bestia nera del povero Giggino. Ne volete la prova? Ecco quel che ha detto di Renzi, credendo di metterlo in cattiva luce: è come Pinochet in Venezuela. Dove non si riesce onestamente a capire se intendeva dire come Pinochet in Cile, oppure come Chavez e Maduro in Venezuela. Ma se il dubbio è lecito considerando la frase in sé, diventa ozioso considerando che sia Chavez che Maduro hanno finanziato il Movimento Cinque Stelle e che questo, da parte sua, ha ricambiato con viva simpatia i due leader venezuelani: cosa che rende inevitabile concludere che intendeva proprio il Cile. Peccato che abbia collocato Pinochet nello Stato sbagliato, parecchie migliaia di chilometri a Nord-est della posizione giusta.
Potremmo andare avanti per un pezzo a citare episodi dai quali emerge la colossale ignoranza, unita ad un’altrettanto colossale arroganza, dei ministri, dei sottosegretari e dei pretesi o sedicenti esperti del Governo Conte Bis. A cominciare da quella ministra delle Politiche agricole Lucia Bellanova, pugliese, classe 1958, diploma di terza media (sì, avete capito bene; e allora? forse che non si può essere degli eccellenti ministri della Repubblica, anche con un semplice diploma di terza media quale massimo titolo di studio?), la quale dopo una lunga militanza nel PD è divenuta la coordinatrice nazionale di Italia Viva, e come ministro ha esordito facendo la vittima perché qualcuno aveva trovato discutibile il suo vestitone blu smagliante il giorno del giuramento. Poi si è segnalata per aver caldeggiato un’ampia sanatoria di clandestini – sul cui triste destino ha anche versato calde lacrime in diretta – da immettere nell’agricoltura per l’emergenza sanitaria da Covid-19, sebbene la relazione fra le due cose, il fenomeno massiccio dei clandestini e l’emergenza sanitaria, non sembri andare precisamente nella direzione da lei tratteggiata. È nota inoltre per aver polemizzato con la presidente del Senato, Casellati, rea di averle detto di non disturbare in aula quando non era il suo turno di parlare, affermando di essere stata zittita da lei, un’altra donna, con fare machista, cioè, a quel che è dato capire, con fare maschilista. Eh certo: come si può ammettere che una donna, rinnegando il patto di solidarietà femminista, riprenda in pubblico un’altra donna, e sia pure in circostanze che niente hanno a che fare con l’aggressiva ideologia femminista così volentieri sbandierata dalla ministra Bellanova? La quale però, per chi non lo sapesse, ha un cuore tenero e sensibilissimo, come prova il suo indossare vestiti alquanto vistosi e sgargianti, adattissimi al suo fisico snello e longilineo, nelle sedi ufficiali, allorché si sente ispirata — come lei stessa ha spiegato ai profani – da un impulso di leggerezza e solarità, salvo poi soffrire crudelmente se qualcuno è tanto indelicato di trovarli un po’ pacchiani; o il suo scoppiare in pianto irrefrenabile quando si commuove per la sorte crudele dei clandestini. È pur vero, questo va detto per amore di completezza, che nessuno l’ha vista commuoversi con pari intensità per la sorte di milioni di cittadini italiani onesto e che pagano le tasse, rovinati dalla crisi economica e dai provvedimenti adottati negli ultimi mesi dal governo del quale ella è uno dei più solidi pilastri, e ridotti a milioni in povertà. Ma che vuol dire: non l’hanno vista, però di certo ha sofferto e soffre anche per loro. Opinare diversamente sarebbe peccare di malizia e mostrarsi offuscati da un pregiudizio del tutto ingiustificato: ossia che a lei, sposata con un marocchino conosciuto a Casablanca durante un viaggio per conto della CGIL, stiano più a cuore gli stranieri, specialmente clandestini, che i suoi connazionali; il che è falso e calunnioso.
Sarebbe quasi infinito l’elenco degli episodi imbarazzanti, ridicoli, grotteschi, dai quali emergono l’assoluta impreparazione e la totale inadeguatezza di quei signori e di quelle signore di fronte alla loro altissima responsabilità: quella di guidare il Paese in un momento particolarmente drammatico, il più drammatico della sua storia dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Conviene passare direttamente alla domanda sottesa a questa situazione a dir poco incresciosa, ma che sarebbe più giusto definire assurda: come è potuto accadere? Come è successo che un grande Paese come il nostro, che ha insegnato la civiltà al mondo, che ha esportato eccellenze in ogni ramo dell’attività umana, che è stato un modello invidiato e quasi insuperabile per secoli, pur essendo politicamente diviso (quale Stato europeo non ha invidiato la prosperità e la lunga stabilità economica e sociale della Repubblica di Venezia, per fare un esempio?) sia caduto tanto in basso, da essere governato — ma forse governare è una parola troppo grossa, per uno Stato che ha perduto la sua sovranità effettiva -, per essere amministrato da una simile banda d’incompetenti, di dilettanti, di pasticcioni, di boriose nullità e di ambiziosissimi millantatori? Sono gli effetti della globalizzazione, si potrebbe rispondere: il potere mondiale effettivo, quello finanziario, non ha interesse a governare per mezzo di politici intelligenti e competenti, anzi, preferisce servirsi di marionette inconsistenti e di mediocri arruffoni, più facili da controllare e manovrare. Sarà, ma questo non spiega tutto. Non è interamente vero che il potere della finanza internazionale preferisce governare i popoli per mezzo di nullità, perché le nullità sono, sì, più facili da controllare, ma sono anche meno efficienti e quindi meno produttive nello svolgimento del loro (tristo) incarico, quello di servire gli interessi della élite globalista. In secondo luogo, è vero che in altri Paesi, paragonabili al nostro, troviamo al governo delle boriose nullità: nella Francia di Macron, tanto per dirne uno. E tuttavia, se Macron è una nullità, un puro e semplice burattino delle grandi banche, non è detto che lo siano anche i suoi collaboratori; tanto più che in Francia, a differenza che in Italia, un residuo di sovranità esiste ancora, e quindi esiste una classe dirigente interessata a fare gl’interessi della propria nazione, almeno nella misura compatibile col dovere di fare gl’interessi del super-potere finanziario. Da noi, invece, è tutta la squadra di governo a essere formata da mezze calzette, che a stento ci si può immaginare quali amministratori di un piccolo comune o di una piccolissima società per azioni; e non solo il governo, ma quasi tutta la classe dirigente, opposizione e dirigenza imprenditoriale incluse. Non per il masochistico piacere d’infierire contro noi stessi, però dobbiamo riconoscere che il livello infimo raggiunto da chi governa, o amministra, l’Italia, non è stato superato se non dagli Stati fantoccio del Terzo Mondo, dalle repubbliche delle banane e dai paradisi fiscali e dei narcotrafficanti. Perciò la domanda è sempre la stessa: perché? A noi sembra che in Italia, per una serie di ragioni specifiche legate alla storia, alla psicologia, alla tradizione postunitaria e in parte preunitaria, si sono create le condizioni per una perfetta selezione alla rovescia. Da circa mezzo secolo le scuole e le università, le aziende pubbliche, i ministeri, il corpo diplomatico, la classe intellettuale, sono tutti protesi a selezionare i peggiori e a reprimere, stroncare, ostacolare in ogni modo i meritevoli: per sordide ragioni di egoismo corporativo, per tener le poltrone in caldo ai figli, alle mogli, alle amanti dei baroni, dei pezzi grossi, degli arrivati. Si è creato un sistema immobile, mafioso, pietrificato nei suoi vizi e nelle sue pessime abitudini. Ormai solo un Dio ci può salvare…
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