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Dove sono i buoni, dove sono i cattivi?

C’è stato un tempo in cui abbiamo creduto che riconoscere i buoni dai cattivi, il male dal bene, fosse una cosa semplice e di per sé evidente, un po’ come nei film western della nostra infanzia. Nel capolavoro di John Ford My Darling Clementine (titolo italiano: Sfida infernale), del 1946, i Buoni, Wyatt Earp e doc Holliday, impersonati da Henry Fonda e Victor Mature, affrontano a colpi di pistola i Cattivi, ossia i fratelli Clanton con il loro terribile padre — freudiani di tutto il mondo, unitevi e rallegratevi – e alla fine il Bene trionfa e il Male viene sconfitto e gettato nella polvere. E per il Buono rimasto in piedi, Fonda (Mature è rimasto steso al sole pure lui e del resto, tubercolotico e alcolizzato all’ultimo stadio, non aveva certo un gran futuro innanzi a sé) c’è anche la promessa di un futuro radioso che gli farà scordare ogni tristezza, compresa la morte di due fratelli: la deliziosa maestrina ventenne Cathy Downs, venuta nel selvaggio West in cerca del fidanzato Doc Holliday, e rimasta libera dopo la gloriosa dipartita dell’irrequieto e complesso sposo mancato (c’è perfino una scena in cui questi recita a memoria il monologo di Amleto, come in trance, venendo in soccorso all’attore che si è scordato la parte, sia per la sbornia che per paura dei Clanton che l’hanno sequestrato). C’è stato un tempo, dunque, in cui noi, che all’epoca di My Darling Clementine non eravamo ancora nati, ma che abbiamo fatto in tempo a vederlo quando, almeno in Italia, conservava un certo alone di freschezza — nonostante sia stato girato in bianco e nero, o meglio, proprio per il fatto di essere in bianco e nero, ciò che esalta la sapienza e la potenza drammatica di un regista, come il colore non potrebbe mai fare -, e la TV di Stato lo mandava in onda per la prima volta, siamo stati certi di saper riconoscere al primo colpo d’occhio chi sta dalla parte del bene e chi sta dalla parte del male, e perciò di poter fare le scelte giuste, nel corso della vita, senza incorrere in errori di valutazione, semmai incorrendo nella colpa di aver visto il bene ed averlo tuttavia rifiutato, preferendo il male. A ciascuno il suo, come avrebbe detto Leonardo Sciascia: ai buoni il bene e il premio finale, ai cattivi il male e il meritato castigo, forse già in questa vita, di sicuro nell’altra.

Ci siamo ingannati? Abbiamo peccato d’ingenuità? Abbiamo semplificato arbitrariamente la complessità del mondo? Ci sarebbe da crederlo, visto che, oggi, praticamente nessuno osa più sostenere che il male e il bene si possono riconoscere facilmente, o che i buoni e i cattivi si possono separare in maniera relativamente semplice. E tuttavia, a dispetto di ciò, e sapendo di porci in contrasto con tutta la cultura dominante, la risposta che sentiamo di dover dare a quelle domande è nel negativa, né potrebbe essere altrimenti. Sì, può darsi che una qualche semplificazione ci sia stata, non da parte nostra, ma da parte di quelli che ci hanno formati dal punto di vista morale; e tuttavia siamo certi che ciò non ha causato alcun sostanziale stravolgimento, che non ha dato luogo ad alcun grave e deplorevole equivoco. In altre parole: possono aver semplificato i dettagli, ma non hanno mai perso di vista l’essenziale: come un timoniere che, nel corso di una lunga e faticosa navigazione, può aver deviato di pochissimi gradi la sua rotta, ma senza allontanarsi in maniera irreparabile dalla meta finale, al contrario, conservando sempre la direzione giusta, salvo qualche lieve imprecisione, non tale comunque da compromettere l’arrivo a destinazione. Possiamo dire anche di più: meno male che chi ci ha educati e formati ha tenuto con mano ferma la barra del timone, anziché lasciarci in balia di ogni vento, come avrebbe potuto, risparmiandosi sacrifici e responsabilità, se avesse addotto la scusa che il mare era troppo agitato e che perciò era impossibile mantenere la rotta. Meno male che, a prezzo di qualche lieve semplificazione, ci han insegnato che mentire è mentire, rubare è rubare, e che tradire, ingannare, calunniare, è tradire, ingannare, calunniare, non destreggiarsi nelle complessità della vita, o adattarsi alle concrete situazioni esistenziali, insomma senza tirare in ballo scuse e giustificazioni pietose pur di soddisfare i propri appetiti, ma evitando di riconoscersi in fallo.

In realtà, le cose hanno incominciato a complicarsi da quando ci è messa di mezzo l’ideologia: progressista e di sinistra, naturalmente. A partire da quel momento, diciamo a partire dagli anni ’60, quando l’ideologia si è diffusa oltre la minoranza dei militanti in senso stretto, le cose hanno iniziato a confondersi, a intorbidarsi, a diventare diverse da come erano apparse prima. E poiché non c’è voluto moltissimo perché i compagni progressisti cominciassero a sospettare d’aver puntato sul cavallo sbagliato — già dagli anni ’70 gli eurocomunisti alla Berlinguer prendevano le distanze dall’idolatrato modello sovietico — ecco che hanno preso a rettificare la meta e le parole d’ordine: non più Marx e la società comunista, ma Kennedy (io mi considero un kennediano, diceva di sé Walter Veltroni) e il liberismo riformista, liberale e libertario, secondo la triplice formula del buon Marco Pannella, e poi iniezioni sempre più massicce di ambientalismo, ecologismo, animalismo, e naturalmente pace, pace, pace per tutti, pace senza sforzo e senza lotta, pace come premessa metafisica di tutto e come parola d’ordine, e non come punto d’arrivo di un cammino impegnativo, calato nella realtà. L’ulteriore slittamento dai diritti sociali ai diritti civili, dalle lotte dei metalmeccanici a quelle degli omosessuali, dal 1° maggio festa dei lavoratori ai vari Gay Pride, è stato quasi inevitabile: e mentre nel 2003 le bandiere arcobaleno significavano ancora "pace" e sventolavano da tutti i terrazzi e le finestre per dire "no" all’aggressione di George Bush jr. all’Iraq, dieci anni dopo quegli stessi colori avevano acquistato un altro e ben diverso significato, di orgoglio e rivendicazione della diversità sessuale, fino all’avvento dell’ideologia gender e alla guerra dichiarata contro i sessi voluti dalla natura, in nome degli "orientamenti" voluti dal Pensiero Unico globalista pilotato dalle élite finanziarie. E mai che sia venuto in mente a qualcuno di codesti progressisti, compresi i preti e i vescovi gay-friendly che per testimoniare la loro vicinanza agli omosessuali e ai transessuali fanno stendere immense bandiere arcobaleno sulle facciate delle loro chiese e cattedrali, dalla cima del campanile fin giù al portale d’ingresso, il sospetto che, dopotutto, forse questa "battaglia" è non per caso in cima all’agenda del Nuovo Ordine Mondiale, e cioè che rende molto di più sotto il profilo dei consumi, così come vendere un bambino su catalogo, facendolo prenotare quando è ancora nel ventre di sua madre, affinché se lo portino via le coppie di omosessuali maschi, implica un giro d’affari ben più sostanzioso dell’industria che ruota attorno alla sessualità etero e alla "normale" nascita dei bambini nelle famiglie formate da un uomo e una donna; così come cambiare sesso implica una spesa complessiva, partendo dal trattamento ormonale e arrivando ai più intimi dettagli della trasformazione chirurgica, che non mettere al mondo un bambino così come la tanto deprecata famiglia tradizionale lo ha sempre voluto, concepito, amato e cresciuto.

Per giungere a questo punto, però, ossia capovolgere di centottanta gradi l’indirizzo della cultura progressista, dalla difesa dei diritti degli operai contro i capitalisti sfruttatori alla difesa del diritto di un ricco omosessuale di comprare un bambino da una madre povera, era necessaria un’ideologia di transizione, che rendesse fattibile ciò che, altrimenti, sarebbe apparso non solo impossibile, ma francamente ripugnante; qualcosa che confondesse del tutto le idee già confuse dei tanti compagni militanti progressisti, i quali, benché abituati a credere, obbedire, combattere, con fanatismo perfino maggiore di quello dei loro odiatissimi nemici fascisti, un rospo così grosso e brutto difficilmente avrebbero potuto mandarlo giù nudo e crudo, a meno che qualcuno non avesse trovato la maniera d’indorarlo e dolcificarlo al punto giusto E la maniera è stata trovata, proprio con l’entusiastica collaborazione di quei preti rossi e di quei cattolici ultraprogressisti, orfani inconsolabili di Dossetti e Lazzati, ma anche di don Milani e padre Turoldo, i quali non chiedevano di meglio che offrire un disinteressato sostegno ideologico a chi d’ideologia aveva fatto indigestione e che, dopo il 1989, correva il rischio di passare il resto della vita a leccarsi le ammaccature e le ferite ricevute nel crollo del Muro di Berlino. E la stampella è stata trovata e prontamente messa a loro disposizione: il buonismo in salsa (apparentemente) cristiana, ma di un cristianesimo talebano e anti-occidentale, anti-borghese, anti cattolico, anti famiglia, insomma il perfetto surrogato del marxismo, ormai non più utilizzabile e messo in naftalina. E quale miglior cavallo di battaglia, per questa nuova stagione dell’intramontabile ideologia progressista; quale migliore esca per alimentare le fiamme di questa formidabile ripresa dell’utopia sinistrorsa, delle masse di poveri e diseredati, in fuga da guerra e fame, come recita il mantra del Politicamente Corretto, e diretti dall’Africa e dall’Asia verso l’Europa, ove qualsiasi essere umano degno di questo nome, ma specialmente se di matrice cristiana, non può fare altro che accogliere, soccorrere, includere, integrare, almeno a parole, se non altro per lavare la macchia vergognosa del passato colonialista, imperialista e ignobilmente sfruttatore del Vecchio Continente? E fino a che punto l’ideologia buonista, sostituita al principio di realtà, possa accecare le menti e ottenebrare le coscienze, lo si vede tutti i giorni, quando, davanti allo spettacolo di migliaia di energumeni, giovani e muscolosi, che sbarcano dalle navi delle o.n,g., col nobile sostegno morale e materiale di notissimi filantropi e santi laici come Richard Gere o Antonio Banderas, e da innumerevoli barchini fai-da-te nei nostri porti, nessuno trova strano che siano così poche le donne, così pochi gli anziani, così pochi i denutriti, i mutilati, né si chiede come mai, se costoro fuggono realmente da situazioni disperate, abbiano potuto pagare migliaia di dollari ai trafficanti di carne umana per fare il "viaggio della speranza" che, di fatto, è un’invasione vera e propria del nostro Paese e una rapida e inesorabile sostituzione di popolazione, coi neri al posto dei bianchi e gl’islamici al posto dei cattolici. Il tutto con l’avallo e la benedizione della falsa chiesa pseudo cattolica, e soprattutto del falso papa argentino, il quale non arrossisce nel rimproverare agli italiani impoveriti, traditi, abbandonati da tutti, e anche dalla chiesa sul piano spirituale, la morte di quei clandestini che affogano in mare, mentre non ha mai speso parole di solidarietà e di conforto per gli italiani disoccupati, per i piccoli imprenditori rovinati, per i padri di famiglia che si suicidano perché non sanno più come mantenere la propria famiglia. Così, il buonismo pseudo cristiano — il quale nulla ha a che fare con il vero cristianesimo e con il Vangelo di Gesù Cristo, insegnato dalla vera Chiesa cattolica fino al Concilio Vaticano II — insieme al pacifismo, all’ambientalismo, all’animalismo, alle varie forme di panteismo, sincretismo, relativismo, ha fatto da ponte, oltre che da stampella, per consentire ai progressisti, rimasti orfani del marxismo e in piena crisi d’identità, ma costituzionalmente incapaci di autocritica e ripensamento di se stessi, di transitare felicemente verso una nuova Terra Promessa, secondo il programma brillantemente delineato nella canzone Imagine di Joh Lennon, del 1971, e ora anche benedetto dal falso papa Bergoglio: un mondo "liquido" senza confini, né religioni, né identità, né radici, né valori. Il mondo sognato e attuato dalla élite finanziaria, e già prefigurato nelle inquietanti elucubrazioni di ambigui personaggi come il conte Richard Nikolaus di Codenhove-Kalergi. Un mondo dove Gesù Cristo vale quanto Maometto, e dove la Vergine Maria ha un ruolo equivalente a quello della Pachamama; ma, soprattutto, dove i Soros, i Gates, i Zuckerberg, i Bezos, i Rotschild e i Rockefeller hanno tutto il potere nelle loro mani, compreso il potere della salute o della pandemia, della vita o della morte di sette miliardi e mezzo d’iloti sparsi sul pianeta Terra.

E adesso torniamo a My Darling Clementine di John Ford: con quel film abbiamo incominciato e con esso vogliamo concludere questa riflessione. Abbiamo detto che è il paradigma di un mondo nel quale i Buoni e i Cattivi si riconoscono a prima vista, e dove è chiara la scelta fra il Bene e il Male. Ora dobbiamo in parte correggere quella prima affermazione. A ben guardare, i sintomi del malessere e della dissoluzione che sta minando il nostro mondo sono già presenti, e abbastanza evidenti, proprio in quel capolavoro dell’epica western. In apparenza è un film di fondazione e perciò di giovinezza: la fondazione e la giovinezza della società americana. Eppure vi troviamo personaggi contorti, come Doc Holliday, oltretutto invaghitosi d’una bella meticcia e quindi infedele al modello della coesione etnica. Egli odia ciò che è stato e in cui ha creduto: la professione medica, il sogno di creare una famiglia su una terra vergine, con la brava e assennata fidanzata proveniente dalla sua stessa città, Boston: esemplare la scena in cui si guarda riflesso, incredulo e disgustato, nel vetro del suo diploma di laurea. Come è stato scritto (Kitses), Doc Holliday è un’anima divisa, che nega il suo passato, maledetto e autodistruttivo: un Amleto scagliato verso la fine del XIX secolo. Ma Amleto non è una mera invenzione shakespeariana: è il fedele ritratto dell’uomo occidentale moderno; c’è qualcosa di lui in ciascuno di noi. Solo l’anima cristiana possiede la forza per esorcizzare i mille demoni dell’auto-disprezzo e dell’autodistruzione. Ma la modernità ha cacciato Dio e abbattuto la diga: e la marea fangosa del nichilismo ha fatto irruzione…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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