Come si capisce che un pensiero è inutile?
24 Agosto 2020
Dove sono i buoni, dove sono i cattivi?
26 Agosto 2020
Come si capisce che un pensiero è inutile?
24 Agosto 2020
Dove sono i buoni, dove sono i cattivi?
26 Agosto 2020
Mostra tutto

Il nostro suicidio inizia con l’oblio della metafisica

La nostra società soffre di un male gravissimo, un odio di sé che la sta portando a grandi passi verso il suicidio; e quel male ha un nome preciso, è l’oblio dell’essere, e parallelamente della filosofia prima o metafisica, che indica la via dell’essere. Tutti gli altri mali, tutte le situazioni negative della dimensione pratica della vita — economia, politica, società, diritto, cultura, scienza — hanno origine lì: nell’aver voltato le spalle alla metafisica — errore filosofico — e quindi nell’essersi allontanati dal vero Dio — errore religioso. C’è una stretta relazione fra le di cose: nulla può andar bene nella sfera pratica e materiale della vita se le basi filosofiche e religiose non sono bene impostate, se l’anima e l’intelligenza non si volgono nella direzione giusta. Non è solo una questione tecnica o formale: non basta saper ragionare bene o dedicare molto tempo alla preghiera e all’adorazione: bisogna che la ragione sia orientata verso la verità e che la fede religiosa faccia perno sul vero Dio, secondo il suo vero insegnamento e non secondo le indicazioni ingannevoli e fuorvianti di un clero che di fatto ha apostatato. Oggi i filosofi hanno praticamente abbandonato la questione della verità e la Chiesa cattolica non concentra più i suoi sforzi nell’evangelizzare gli uomini, ma nell’indottrinare il clero in senso modernista e vaticansecondista; e questo clero indottrinato si fa docile strumento per la trasmissione di una dottrina che non è più quella cattolica, ma quella massonica e antichistica, malamente camuffata.

Mentre gli altri rami della filosofia studiano le cose secondo i modi specifici della loro esistenza, la cioè nella dimensione dello spazio e del tempo, la metafisica e solo la metafisica è la scienza dell’essere in quanto essere. Ora, le cose divengono, si trasformano, hanno un principio e una fine, mente l’essere è: dunque l’essere è il fondamento di tutto, l’origine di tutto, la causa di tutto ciò che esiste, di tutto ciò che è pensabile, di tutto ciò che è intelligibile; non esiste vera filosofia che non sia prima di tutto metafisica e quindi tutta la filosofia moderna non è vera filosofia, cioè scienza dell’essere, bensì, come direbbe Aristotele, opinione intorno alle cose, ovvero, per dirla con Kant, intorno ai fenomeni. Ma sui fenomeni non può esservi vera scienza, che non poggi sulla verità dell’essere; l’essere è la causa prima di tutte le cose che esistono, e quindi voler fare scienza delle cose escludendo la loro causa prima è come voler edificare un superbo palazzo che sia del tutto privo, però, di fondamenta. Il delirio di onnipotenza della scienza moderna ha la sua origine da questo colossale fraintendimento: aver scambiato la scienza delle cose e dei fenomeni, che è sempre una scienza relativa e perciò imperfetta, con la vera scienza, che ha sempre il suo fondamento nell’essere, che è sia causa prima, sia causa finale di tutto ciò che esiste. La scienza moderna è disancorata sia dalla causa prima — non si sa perché le cose esistono — sia dalla causa finale – non si sa a quale scopo esistono, e dunque verso cosa sono dirette. Apparentemente esse vengono dal nulla e ritornano al nulla: il che è logicamente impossibile, come capirebbe anche un bambino, e tuttavia viene dato per tacitamente stabilito dagli scienziati della natura che, rotto il legame con la filosofia, e dichiarata sostanzialmente inutile la filosofia stessa, pretendono di fare scienza restando sul terreno dei fenomeni e facendo professione di agnosticismo per tutto ciò che riguarda l’essere. Ciò dà alla scienza moderna il suo inconfondibile carattere pragmatico ed efficientistico ed il suo altrettanto caratteristico riduzionismo: una volta tirato un rigo sulla questione dell’essere, non ha più senso domandarsi perché, ma solo in che modo i fenomeni avvengono. Si prenda il caso della scienza medica: forse che il medico plasmato dagli studi universitari secondo il paradigma moderno si chiede perché quella tale patologia è insorta in quel tale individuo, e in quel tale momento? Niente affatto: egli procede subito a prescrivere quella certa terapia sulla base di quella certa diagnosi; ma come può essere giusta una diagnosi formulata astraendo dal singolo organismo e dal singolo momento, ossia creando una entità astratta e generica, la malattia, che sarebbe equivalente per tutti gli organismi ed in tutti i momenti della loro vita?

Citiamo un breve passaggio del capolavoro di Avicenna, uno dei più grandi filosofi del Medioevo oltre che uno dei più grandi medici, Il libro della guarigione, ovvero Le cose divine (I, §§ 1,2; 2,2; 3,1-2; 4,3-6; a cura di Amos Bertolacci, Torino, UTET, 2008, pp. 143-150):

1.2 È stato ricordato che le [scienze ] teoretiche sono riducibili a tre gruppi, e cioè le naturali, le matematiche e le divine. Il soggetto delle naturali sono i corpi dal punto di vista del loro essere in moto e in quiete. L’indagine che esse svolgono riguarda gli accidenti che ineriscono di per sé ai copri da questo punto di vista. Il soggetto delle matematiche o è una quantità astratta dalla materia di per sé, oppure è qualcosa dotato di quantità. Il loro oggetto di indagine sono gli stati che ineriscono alla quantità in quanto quantità; nelle definizioni di questi non viene assunta nessuna specie di materia e nessuna potenza di movimento. Le divine indagano le cose separate dalla materia nella sussistenza e nella definizione. Hai appreso anche che la divina è quella in cui si indagano le cause prime dell’esistenza naturale, matematica e di ciò che dipende da queste, e la Causa delle cause ed il Principio dei principi, cioè la divinità.[…]

2.2 Hai anche già udito che vi è una filosofia della verità ed una filosofia prima; che essa fornisce la convalida dei principi delle altre scienze; che essa è la sapienza della verità. […]

3.1 Si è già appreso, dunque, che ogni scienza ha un soggetto che le è proprio. Indaghiamo adesso, pertanto, quale sia il soggetto della presente scienza[la metafisica], ed esaminiamo se il fatto che Dio esiste sia il soggetto, oppure non lo sia, ma sia piuttosto una delle cose che essa ricerca.

Noi diciamo che non può essere il soggetto. Il soggetto di ogni scienza, infatti, è qualcosa la cui esistenza viene ammessa dalla scienza in questione, e di cui si indagano solo gli stati, come si è appreso altrove. Ma l’esistenza della divinità non può venire ammessa in questa scienza in qualità di soggetto; al contrario, vi viene ricercata.

3.2 Se così non fosse, infatti, delle due cose l’una: o sarebbe ammessa in questa scienza e ricercata in un’altra, oppure sarebbe ammessa in questa scienza senza essere ricercata in un’altra. Ma entrambi i casi sono falsi, infatti non può essere ricercata in un’altra scienza, poiché le altre scienze sono etiche o politiche, oppure naturali, oppure matematiche, oppure logiche. Ma in nessuna di queste si indaga come stabilire la divinità, né ciò potrebbe avvenire, come capisci con la minima riflessione su alcuni principi fondamentali che ti sono stati ripetuti. Ma non può nemmeno non essere ricercata in un’altra scienza. In tal caso, infatti, non sarebbe ricercata in nessuna scienza affatto. Quindi, o sarebbe chiara di per sé, oppure non ci sarebbe speranza di chiarirla razionalmente [il che è la posizione di Kant e dei moderni in genere]. Essa, tuttavia non è né chiara di per sé, né senza speranza di essere chiarita, perché riguardo ad essa vi è una prova [del "quia"].

Inoltre, come si potrà ammettere l’esistenza di ciò che non vi è speranza di chiarire?

Rimane, quindi, che l’indagine di Dio avvenga solamente in questa scienza, e ciò in due modi: rispetto alla Sua esistenza, e rispetto ai suoi attributi. Ma dal momento che l’indagine della Sa esistenza avviene in questa scienza, non può costituirne il soggetto. A nessuna scienza, infatti, spetta stabilire il proprio soggetto [cioè la sua esistenza]. […]

4.3. Stando così le cose, è chiaro anche che [le cause] non vengono indagate [dalla metafisica] rispetto all’esistenza che è propria di ciascuna di esse. Questo, infatti, viene ricercato in questa scienza.

4.4 L’indagine delle parti dell’insieme, infatti, è anteriore rispetto all’indagine dell’insieme. L’indagine delle parti, dunque, dovrebbe avvenire o in questa scienza — ma in tal caso le parti sarebbero più degne di esserne il soggetto – oppure in un’altra scienza — ma nessun’altra scienza, eccetto questa, include la discussione delle cause ultime.

4.5 Se le cause vengono indagate in quanto esistenti e dal punto di vista di ciò che afferisce loro sotto questo rispetto, in tal caso è necessario che il soggetto primo sia l’esistente in quanto esistente.

4.6 È risultata chiara, dunque, la falsità anche di questa teoria, che, cioè, il soggetto di questa scienza siano le cause ultime. Bisogna invece sapere che esse ne sono la perfezione e ciò che vi si ricerca.

Per una intelligenza moderna, vale a dire plasmata dai principi fondamentali del pensiero moderno (anche se poi, con una lotta diuturna e faticosa, essa è riuscita in parte a liberarsene] leggere queste righe, riflettere su questi concetti, è come immergersi in una chiara fonte d’acqua fresca, nell’ora più torrida di un’estate afosa; è come dissetarsi a volontà dopo aver sofferto lungamente la sete nel più arido e desolato dei deserti. Ed è la stessa sensazione che si prova leggendo Platone, Aristotele, sant’Agostino o san Tommaso d’Aquino, invece di Cartesio, Locke, Kant o Hegel; e una sensazione assai simile a quella che si prova udendo un concerto di Bach, dopo essere stati costretti ad ascoltare le sataniche cacofonie di certa musica — musica, si fa per dire — contemporanea: ci si sente innalzati da terra e trasportati su, dove l’aria è più pura, dove i venti soffiano liberi e le cime innevate dei monti, viste dall’alto, scintillano al sole come diamanti. Quale chiarezza concettuale, quale suprema eleganza nell’argomentazione logica, quale sobrietà e limpidezza nella concatenazione dei pensieri! Vi sono, dice Avicenna, tre tipi di scienze: quelle che studiano i fenomeni della natura, quelle che studiano i principi della matematica e quelle che si occupano delle cose divine, ossia di ciò che non riguarda i fenomeni, ma le cause; non le cause seconde, bensì le cause prime. A quest’ultimo tipo di scienza spetta l’appellativo di scienza della verità, o di filosofia prima, perché non si occupa di cose materiali, transeunti, né di quantità numeriche, ma della Causa delle cause e del Principio di tutti i principi. Egli poi dimostra che l’esistenza di Dio non può essere considerata come il soggetto della metafisica, in altri termini non può esserne il presupposto, perché, al contrario, si tratta di ciò che viene cercato e che alla fine, ma solo alla fine, viene dimostrato. Eppure, tutte le scienze presuppongo o l’esistenza del loro oggetto: le scienze naturali l’esistenza della natura, e le scienze matematiche, l’esistenza del numero e della quantità. Quale differenza vi è allora con la scienza delle cose divine? Questa: che sia la natura, sia la quantità e il numero, non sono la causa prima di se stesse, ma semmai sono la causa seconda dei rispettivi fenomeni e dei rispettivi principi. Dio però non è causa seconda, ma causa prima: non c’è qualcos’altro al di sopra di Lui, o prima di Lui, che ne sia la causa: è Lui la causa di tutto, e ogni altra cosa procede da Lui. Parrebbe che qui si sia giunti a un punto morto: sede Dio la Caua prima, come se ne potrà presupporre l’esistenza, visto che tutto ciò che conosciamo, lo conosciamo attraverso delle cause seconde? Avicenna risponde: siamo certi dell’esistenza di Dio grazie alla dimostrazione del quia, ossia del che , del "per questo". Avicenna distingue la dimostrazione del "che" dalla dimostrazione del "perché": la prima stabilisce che una cosa è vera, senza fornirne la causa, mentre la seconda fornisce anche la causa. Ma Dio è il Principio Primo, dunque non c’è nulla che ne sia causa: pertanto la sua esistenza non può essere provata con una dimostrazione del "perché", ma solo con una dimostrazione del che. È questo, invece, lo scoglio dinanzi a quale tutta la filosofia moderna, da Kant in poi, si è arenata. I filosofi moderni non accettano la distinzione fra che e perché: essi vorrebbero dare un perché a ogni cosa e, se non vi riescono, allora preferiscono ritirarsi in buon ordine, affermando che quella tale cosa è indimostrabile. Così, la metafisica diventa indimostrabile; l’esistenza di Dio diventa indimostrabile; l’immortalità dell’anima e la vita eterna diventano indimostrabili; tutto ciò che è fondamento, assoluto, permanente, diviene irraggiungibile, aleatorio, ipotetico. Potrebbe parere un atteggiamento di modestia: essi affermano solo ciò di cui hanno raggiunto la dimostrazione inoppugnabile; invece è un atto di suprema presunzione: non possono, né potrebbero in alcun modo giungere ad affermare l’esistenza di Dio, perché, nella loro superbia, si rifiutano di ammettere che qualcosa possa esistere pur non essendone dimostrabile la causa. In fondo, si tratta d’un espediente concettuale: la premessa è tale da rendere impossibile una conclusione diversa. È come se avessero deciso di espellere Dio in ogni caso, perciò hanno elaborato una filosofia che renda impossibile ammetterne l’esistenza. La cosa triste è che la teologia contemporanea è andata a scuola da codesti filosofi. Si sa quale debito abbia Karl Rahner nei confronti di Martin Heidegger; e più in generale tutti i teologi del Concilio e del post-concilio sono debitori di Kant, Hegel, Marx, Freud, Einstein, insomma di tutti, fuorché di Gesù Cristo, San Paolo e i grandi metafisici cristiani. Date le premesse, non potevano arrivare se non al Dio liquido, al Cristo meramente umano dei nostri giorni; al Gesù migrante e Maria meticcia. Che tristezza, altro che Re e Regina dell’universo: non resta che l’arrivederci all’inferno di Bergoglio.

Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.