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Primo: rivolgere la rabbia nella giusta direzione

La gente è arrabbiata. La constatazione è ovvia, la sua espressione verbale è alquanto edulcorata. La gente non è semplicemente arrabbiata: è indignata, esasperata, depressa, frastornata, incredula, avvilita, umiliata, fremente, invelenita, sconfortata, e soprattutto terrorizzata. Questi sentimenti e stati d’animo sono il risultato dell’emergenza sanitaria che la dittatura del governo Conte Bis ha instaurato de facto, nel più assordante silenzio da parte di chi avrebbe dovuto, e dovrebbe tuttora, vigilare sul rispetto della Costituzione e degl’inviolabili diritti che la legge riconosce ai cittadini della Repubblica. E tuttavia sono anche il risultato di molti anni, anzi di parecchi decenni di pressione psicologica, di totalitarismo massmediatico, d’istupidimento programmatico e scientifico della popolazione da parte di una classe dominante infingarda e venale, pronta a vendersi a qualunque potere, preferibilmente straniero (non sia mai che un politico italiano riconosca a un suo connazionale il diritto a esercitare una qualunque autorità!), pur di assicurarsi poltrone e privilegi, e una permanenza al potere che sia la più lunga possibile., allo scopo di sistemare se stessi e gli amici, i parenti e i galoppini, per un bel po’ di tempo, con pensioni e vitalizi che assicurino loro una lunga e serena vecchiaia. L’istupidimento è stato condotto principalmente attraverso i mass-media, e in particolare la televisione. Gli italiani non sono, rispetto ad altri popoli europei, grandi lettori di giornali, però sono telespettatori accaniti: e la qualità media delle trasmissioni, sia d’informazione che d’intrattenimento e spettacolo, è scesa gradualmente, a partire dagli anni ’70, fino a toccare livelli addirittura infimi.

Ora, questi consumatori accaniti di tv spazzatura hanno subito lentamente, inarrestabilmente, un vero e proprio processo di mutazione antropologica: poco alla volta si sono abituati ad accettare e a considerare come normali, se non perfino gradite, cose che, qualche decennio fa, li disgustavano o li facevano rabbrividire. Chi detiene la proprietà delle reti televisive conosce bene il potere della finestra di Overton e se n’è servito per attuare una strategia di graduale colonizzazione dell’immaginario e delle menti della popolazione. Il segreto consiste nell’esercitare il monopolio sul prodotto televisivo, ciò che di fatto è avvenuto con la spartizione fra le tre reti statali e le tre maggiori reti private nelle mani dello stesso soggetto: il quale per giunta, qualche anno dopo, si è presentato, in qualità di leader politico, a capo dello schieramento politico di alternativa rispetto al governo. A partire da quel momento, ogni limite di decenza è stato oltrepassato e tutto ciò che le televisioni, pubbliche e private, hanno somministrato al pubblico, è stato un prodotto di qualità sub-umana, una specie di pastone per maiali, nonché un contenitore appena camuffato per la distribuzione incessante dei messaggi pubblicitari (fino a un centinaio di spot nell’arco di un film in prima serata, senza contare la pubblicità indiretta) e, nello stesso tempo, uno strumento per modificare, secondo un piano prestabilito, i costumi, le idee, i modi di sentire della gente comune, alterandoli fino a renderli irriconoscibili. Che altro direbbero i nostri nonni, infatti, se tornassero fra noi per qualche giorno e osservassero il nostro sistema di vita, materiale e spirituale, se non che siamo diventati completamente pazzi?

Dopo qualche decennio di un siffatto lavaggio del cervello, le donne sono state acquisite all’ideologia femminista; donne e uomini sono stati acquisti all’idea divorzista, abortista e omosessualista; il comune senso del pudore è stato oltrepassato e distrutto, e al suo posto si è messo in circolazione un nuovo tipo umano, sfrontato, volgare, arrivista, senza scrupoli e perennemente affamato di avventure sessuali, secondo il modello televisivo più cialtrone. Programmi come Amici di Maria De Filippi, o Forum, o Blob, o Non ho l’età (quest’ultimo, fra l’atro, spacciato per un modello di delicatezza sentimentale nei riguardi degli anziani) hanno introdotto una nuova figura: quella del narcisista compulsivo e dell’esibizionista della porta accanto, dell’uomo o della donna smaniosi di raccontare al mondo intero i fatti suoi, di mettere in piazza sguaiatamente i sentimenti più intimi, di trascinare davanti a un giudice suo marito o sua moglie, di vantare meriti artistici pressoché inesistenti e di assumere le pose di un piccolo divo, pur essendo una perfetta nullità. È stata un’opera di corruzione morale che ha fatto perdere a milioni di persone il giusto concetto di sé, la stima obiettiva del proprio valore, e ha acceso ambizioni sfrenate, velleità patetiche e rabbiose, scatenando una sorta di arrembaggio per conquistare qualche minuto di discutibile gloria televisiva, di visibilità pubblica. Atteggiamenti poi esplosi nella diffusione dei social network, i quali assorbono ore ed ore nella giornata di moltissime persone, anche di una certa età, riducendole a forme di vera e propria dipendenza, né più né meno di quel che accade agli adolescenti e sovente anche ai bambini, stante l’assenza dei genitori nel porre un limite all’abuso del computer o del telefonino.

Questo è il quadro nel quale è caduta l’emergenza sanitaria con la conseguente clausura, come un sasso nello stagno. La clausura ha costretto sessanta milioni di persone a stare chiuse in casa per quasi tre mesi e ha imposto molte limitazioni alla vita sociale anche dopo quel termine; inoltre ha fatto scendere un alone d’incertezza e di angoscia sul futuro, prospettando la possibilità che la vita di tutti non tornerà mai più sui binari consueti e che sarà necessario adattarsi a convivere con una situazione di emergenza permanente. Si aggiunga che in Italia il lavorio di pressione psicologica esercitato dai media è stato superiore a quello di qualsiasi altro Paese e che anche il risultato è stato unico nel suo genere, con un intero popolo terrorizzato a morte, cosa che non si verifica affatto neppure presso le nazioni confinanti, come può verificare chiunque, da una città del Nord, si rechi a fare una gita anche solo di poche ore in Svizzera o in Austria. Pertanto, il condizionamento massiccio di questi ultimi mesi si è sommato a quello, lento e metodico, degli anni precedenti, e ha generato una serie di contraccolpi psicologici nei quali spiccano sentimenti di squilibrio emozionale, privazione, paura, crisi d’identità e rabbia. La rabbia è una componente non indifferente di questo mix micidiale. Moltissime persone si sentono simili a dei conigli di allevamento che vivono nella costante paura di essere afferrati per le orecchie e trascinati via, per essere uccisi da una forza incontrollabile e spaventosa, superiore a qualsiasi possibilità di previsione e di contenimento. In un certo senso, ciascuno si sente come Ulisse e i suoi compagni allorché, rimasti imprigionati nella grotta del ciclope Polifemo, assistevano all’orrendo pasto quotidiano del loro carceriere, consistente nei loro stessi amici, uccisi e divorati sul posto. È come se secoli e millenni di civiltà, di razionalismo, di costruzioni sociali del super-io fossero stati sbriciolati dall’urto poderoso di una realtà primordiale e spaventosa, che nessuno sembra sapere come vada gestita e che si direbbe capace di annientarci come se fossimo formiche impotenti e non più uomini civili e intelligenti, dotati di tutti i ritrovati della scienza e della tecnica. Parecchi hanno visto morire i loro cari e non hanno capito bene perché; altri, ancor più sfortunati, non li hanno potuti vere nella fase terminale della loro malattia, non hanno potuto dar loro l’estremo saluti e neppure organizzare un funerale decente, perché la direzione ospedaliera ha spedito i loro corpi alla cremazione, senza nemmeno chiedere il consenso delle famiglie. Secondo la versione ufficiale, queste persone sono state portati via dal Covid-19, anche se è evidente che soffrivano già da tempo di serie patologie, tanto che, nella maggior parte dei casi, erano giunte al limite del loro naturale ciclo di vita e si capiva che erano prossime a spegnersi, come fiammelle di candela esposte al soffiare del vento. Ma poiché la more di una persona cara è un evento traumatico e, umanamente parlando, inaccettabile, è più facile pensare che un nemico misterioso e inafferrabile l’abbia portata via piuttosto d’ammettere che era ormai vicina alla fine e che sarebbe morta entro breve, in ogni caso. Anche in ciò si è verificato un regresso: dalla concezione cristiana della morte a quella pagana pre-cristiana; sparita la prospettiva della vita ultraterrena, la morte ha ripreso i suoi diritti di spauracchio supremo e anziché venire accolta con pacata rassegnazione, in vista di una vita futura più piena e liberata da ogni contraddizione, viene accolta con furore impotente, esasperazione e cupo risentimento, il cui conto dovrà pur essere presentato a qualcuno. E chi si presta alla bisogna meglio del vicino di casa, del passante, dello sconosciuto, talvolta perfino del parente o del congiunto, che non si attiene rigorosamente alle prescrizioni sanitarie del governo, ma sfida le disposizioni vigenti e gioca con la propria e l’altrui vita, esponendo tutti quanti alle terribili conseguenze della propria incoscienza e della propria irresponsabilità?

Un’amica ci ha raccontato un piccolo incidente di ordinaria follia accadutole mentre si recava a fare acquisti in una città del Nord Est (perché non dirlo?, la città era Pordenone, nel sobrio e "nordico" Friuli, tutto efficienza e rispetto delle norme). Poiché il padrone del negozio, che si trovava sulla soglia del retrobottega, non aveva inteso bene la sua ordinazione, lei la ripeté e, per essere udita meglio, abbassò per un attimo la mascherina che portava sul naso e sulla bocca. Non l’avesse mai fatto!, subito un’altra cliente, che aspettava il suo turno dietro di lei, le si scagliò contro con estrema virulenza, gridandole con voce stridula: Si rimetta subito la mascherina sul viso! Benché sorpresa da quel torrente di ostilità, la nostra amica, che è una persona tranquilla, ma anche capace di farsi rispettare, senza perdere la calma, le rispose: Lei avrà anche ragione, ma non si rivolga a me con quel tono, perché io non sono sua sorella! E poiché quella insisteva, chiedendo ironicamente con quale tono le si dovesse rivolgere, le rispose: Faccia lei, ma non con questo. A quel punto venne fuori la ragione profonda di tanta rabbia e aggressività da parte di una persona sconosciuta, poiché la signora in questione si lasciò sfuggire quel che le pesava sull’anima, quasi a voler giustificare i propri modi inurbani e scomposti: Io ho avuto un morto in famiglia, a causa del Covid!, e lo disse non a mo’ di scusa, ma anzi quasi a sottintendere che quel familiare le era venuto a mancare per colpa di gente come la nostra amica: gente che non si attiene scrupolosamente a tutte le norme di prudenza igienico-sanitarie, e che si permette addirittura di abbassare la mascherina sul viso, sia pure per pochi istanti. Ma si sa che il virus, in quei pochi istanti, può trovare la strada per le nostre vie respiratorie, non è vero? Ecco gli effetti di tre mesi di bombardamento mediatico e di terrorismo e ricatto psicologico messo in atto dal governo, dietro il risibile paravento del cosiddetto Comitato tecnico-scientifico. La gente, spaventata e depressa, ha bisogno di qualcuno verso cui rivolgere la propria rabbia e la propria frustrazione: e lo trova nel primo che capita, in uno come lui, che vive le sue stesse difficoltà e sopporta le stesse privazioni. È la psicologia dei capponi di Renzo: invece di darsi un po’ di conforto reciproco, i compagni di sventura si scagliano gli uni contro gli altri, con rabbia cieca e stupida.

Sarebbe cosa buona e giusta se la rabbia accumulata dagli italiani in questi mesi di sacrifici, in gran parte inutili e sproporzionati, d’isolamento e di solitudine, si dirigesse non verso l’incolpevole vicino, ma verso i primi e diretti responsabili dell’attuale situazione, i quali, oltretutto, impongono agli altri un giogo che essi si guardano bene dal portare, anche solo per poco tempo. Credete forse che i signori del governo, che gli esperti del Comitato tecnico-scientifico osservino e rispettino scrupolosamente le norme che impongono a noi cittadini comuni, sguinzagliandoci contro le forze dell’ordine per irrogare fior di multe a quanti le violano, anche di poco, in particolare contro i commercianti che tentano di riprendere a lavorare, dopo aver subito un danno economico di portata incalcolabile? Qualcuno ha mai visto in disordine i capelli del signor Giuseppi Conte o quelli dei suoi collaboratori? Eppure i barbieri e i parrucchieri erano ufficialmente chiusi, e lo sono stati per tre mesi. Credete che quei signori portino la mascherina tutto il giorno, mentre ne impongono l’uso ai negozianti, ai baristi, ai camerieri, agli impiegati, agl’insegnanti, agli studenti e perfino ai bambini di sei anni che si accingono a riprendere l’anno scolastico? Forse i membri del governo, i deputati e i senatori, tengono sul viso la mascherina quando vanno al mare, in spiaggia? Eppure abbiamo visto quelle scene surreali, degne di un film di Luis Buñuel, o di una commedia di Alfred Jarry, con la polizia lanciata alla caccia delle rarissime persone che facevano la stessa cosa, prendere il sole al mare, oltretutto in luoghi assolutamente deserti, con dispiegamento di droni e cani poliziotto, come si fosse trattato di braccare i più pericolosi criminali. Intanto, mentre i comuni cittadini pagano multe da 400 euro per essersi fatti beccare a far la spesa con la mascherina abbassata, la deputata Maria Elena Boschi si fa fotografare in bikini, su un lussuoso yacht, insieme a un gruppo di amici, fra i quali spicca il deputato Gennaro Migliore, ex comunista di Rifondazione duro e puro, e attualmente personaggio molto gradito nei salotti televisivi: tutti seduti a contatto di gomito, felici e sorridenti al sole e al vento, una decina di persone ammucchiate che non osservano alcun distanziamento, né indossano alcuna mascherina. Ecco: la rabbia dovrebbe iniziare a dirigersi verso le persone giuste e non quelle sbagliate. Senza scordare, però, che i maggiori responsabili sono ben altri e stanno assai più in alto di codesti personaggi: dalle parti della City e di Wall Street…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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