Noi, i nuovi ebrei: discriminati e auto-discriminati
22 Agosto 2020Vogliono il potere, ma non rappresentano nessuno
23 Agosto 2020Un paio di settimane fa sono stato invitato ad una trasmissione televisiva (su Canale Italia, il mattino del 2 agosto, ospite del professor Vito Monaco; consultabile su Youtube, vedi la parte 2) ove, interrogato su cosa ne penso della situazione creatasi in Italia, dal mese di marzo, con la cosiddetta emergenza sanitaria, ho esposto anche in quella sede la mia opinione, che si può riassumere in questi termini. Qualunque cosa si pensi del Covid-19, è fuori dubbio che la grande finanza internazionale, la quale controlla le multinazionali farmaceutiche, ne ha approfittato, grazie al controllo che esercita direttamente sui mass-media, e indirettamente su molti governi e su molte forze politiche, per creare un clima di terrore e offrire la soluzione del problema, dopo averlo creato o ingigantito a bella posta, oltre ogni limite di ragionevolezza e di decenza. In Italia, dove esiste un governo non eletto dal popolo, anzi esattamente opposto a quello che avrebbe dovuto costituirsi in base al responso delle urne, l’esperimento della sospensione della democrazia e, in pratica, della imposizione di una vera e propria dittatura sanitaria, è stato condotto con particolare zelo e portato più che mai a fondo, per l’evidente desiderio del governo stesso di reggersi indefinitamente al potere, evitando o rinviando quanto più possibile il ritorno alle urne e creando le condizioni perché la gente, spaventata a morte, non sollevi obiezioni mentre viene letteralmente consegnata agli arresti domiciliari e privata delle libertà e dei dritti costituzionali più elementari, ma con un’apparenza di sollecitudine per lo stato della sicurezza e della salute pubblica. Il tutto mentre la decisione di bloccare per settimane e mesi quasi tutte le attività commerciali e, in particolare, di congelare l’essenziale settore turistico, con tutto il vastissimo indotto, provoca danni irreparabili all’economia nazionale e favorisce oggettivamente la crescita del debito pubblico e la distruzione del ceto medio basato sulla piccola impresa, con evidente vantaggio e profitto di quegli stessi soggetti stranieri, banche e multinazionali, che già da tempo sono impegnati nella conquista dell’economia italiana e che, guarda caso, sono anche i maggiori sponsor di questo governo debole e moralmente illegittimo, nato sotto la loro ala protettrice e che senza di essi, probabilmente, sarebbe già caduto da un pezzo. Questa è un’analisi di estrema gravità perché, se corrispondesse anche solo parzialmente al vero, implicherebbe che il popolo italiano è vittima di un vero e proprio tradimento da parte del governo e di una quota consistente dello schieramento politico, nonché di una colpevole latitanza da parte degli organi di controllo, dalla magistratura ordinaria alla stessa Presidenza della Repubblica, preposti a vigilare sulla tutela del sistema democratico e, naturalmente, sulla difesa dei vitali e legittimi interessi della nazione. Ricordiamo infatti che per una cosa infinitamente più lieve, la nomina da parte del costituendo governo Conte Uno dell’economista Paolo Savona al dicastero, appunto, dell’Economia, il Presidente intervenne a gamba tesa, e con tutto il peso della sua autorità, rifiutando di controfirmarla e facendo vacillare la nascita del governo stesso, con la motivazione – tutta di ordine politico, e perciò esorbitante dalle sue funzioni di garanzia — che essendo Savona un noto euroscettico, la sua nomina avrebbe causato un gravissimo danno all’economia italiana, e in particolare ai risparmi privati dei cittadini. Giusta o sbagliata, questa, in sintesi, è stata ed è la mia analisi, che vado sostenendo in numerosissime occasioni da circa sei mesi a questa parte, con cadenza pressoché quotidiana, e di cui mi assumo la responsabilità, ritenendo legittimo in uno stato di diritto esprimere qualsiasi opinione politica, purché non contenga un esplicito invito alla violenza e alla sovversione dell’ordine costituito.
Ebbene, qualche minuto dopo che avevo terminato il mio intervento, giunse in redazione la telefonata di un signore, dal Piemonte se ben ricordiamo, il quale, polemizzando a distanza con me, disse: Il filosofo parla e parla, ma non mi ha convinto; perché i morti ci sono stati per davvero, e lo so bene io, perché sento sempre il suono delle sirene delle autoambulanze che passano sotto casa mia. Evidentemente quel signore abita in prossimità dell’ospedale cittadino, ma l’argomentazione che ha portato è meno che scarsa: è una non argomentazione. Infatti il conduttore glielo fece subito osservare, dicendo: Sui contenuti non voglio entrare, potrebbe anche aver ragione lei; ma che vuol dire che sente passare le sirene? Anch’io le sento sempre che passano lungo la strada. Ma questo che cosa significa? Non è che passano tutte e solo per il Covid-19… A noi, quella telefonata fece subito venire in mente una celebra pagina del capolavoro manzoniano: quella in cui si narra lo sfortunato incontro di Renzo, a Milano, nel pieno dell’epidemia di peste, con un signore che se ne andava per la strada, e al quale lui intendeva chiede l’indirizzo della casa di don Ferrante e donna Prassede, onde ritrovare la sua Lucia, che alloggiava nel loro palazzotto. Renzo, da bravo ed educato figliuolo di campagna, s’era toto di testa il cappello e lo teneva fra le mani, mentre accennava la domanda che tanto gli stava a cuore; ma costui, già insospettito da quel giovanotto che se ne andava in giro con tanta baldanza, quando tutte le persone perbene e sane di mente se ne stavano sprangate in casa, o avevano già lasciato da tempo la città, quando lo vide cincischiare il capello fra le mani, subito immaginò che fosse un untore e che tenesse la polverina, o l’unguento micidiale, dentro la cavità del copricapo, e si preparasse a scagliarglielo addosso, dopo averlo indotto a fermarsi con una scusa qualsiasi. Perciò, puntandogli contro la punta ferrata del bastone, gl’intimò senz’altro: Via! Via! via!, e non gli permise di fare un passo oltre, verso di sé. Al che Renzo, più sbigottito che indignato, decise di non insistere e di lasciarlo andare per la sua strada, pensando forse d’essersi imbattuto in un originale, o in una persona un po’ debole di cervello. Ma il passaggio più gustoso viene alla fine di questa scenetta: poiché Manzoni non congeda così, su due piedi, quella macchietta di milanese sospettoso e ipocondriaco, ma lo accompagna, per così dire, lungo il corso della sua lunga vita, e ce lo mostra nell’atto di ripetere a tutti la sua terribile avventura, quel giorno d’estate, per le strade deserte della città appestata, quando si trovò faccia a faccia con la morte ad opera di uno di quei terribili untori, che in seguito qualche sciocco ebbe l’impudenza di negare perfino che fossero mai esistiti. Ma vale la pena di riportare le parole precise del Manzoni, perché sono un piccolo capolavoro di arguzia e di bonaria ma scanzonata ironia, sempre con una componente di riflessione psicologica e di pedagogico ammonimento (dal cap. XXXIV de I Promessi Sposi):
L’altro tirò avanti anche lui per la sua, tutto fremente, e voltandosi, ogni momento, indietro. E arrivato a casa, raccontò che gli s’era accostato un untore, con un’aria umile, mansueta, con un viso d’infame impostore, con lo scatolino dell’unto, o l’involtino della polvere (non era ben certo qual de’ due) in mano, nel cocuzzolo del cappello, per fargli il tiro, se lui non l’avesse saputo tener lontano. "Se mi s’accostava un passo di più," soggiunse, "l’infilavo addirittura, prima che avesse tempo d’accomodarmi me, il birbone. La disgrazia fu ch’eravamo in un luogo così solitario, ché se era in mezzo Milano, chiamavo gente, e mi facevo aiutare a acchiapparlo. Sicuro che gli si trovava quella scellerata porcheria nel cappello. Ma lì da solo a solo, mi son dovuto contentare di fargli paura, senza risicare di cercarmi un malanno; perché un po’ di polvere è subito buttata; e coloro hanno una destrezza particolare; e poi hanno il diavolo dalla loro. Ora sarà in giro per Milano: chi sa che strage fa! E fin che visse, che fu per molt’anni, ogni volta che si parlasse d’untori, ripeteva la sua storia, e soggiungeva: "quelli che sostengono ancora che non era vero, non lo vengano a dire a me; perché le cose bisogna averle viste."
Ecco: la conclusione di quel signore, che le cose bisogna averle viste per avere il diritto di parlarne a ragion veduta, e non soltanto averne udito parlare da altri, ci sembra perfettamente in linea col discorso del telespettatore che affermava di aver sentito passare il suono di moltissime sirene di autoambulanze, a prova del fatto che c’è stata realmente una micidiale epidemia di Covid-19. Non solo. In questi ultimi giorni c’è stata una polemica sulla veridicità delle apparizioni mariane di Medjugorje sul canale Youtube denominato Decimo Toro, innescata dalla lettura d’un mio articolo nel quale si parlava, in verità in maniera accessoria, del fenomeno Medjugorje, all’interno di un discorso assai più ampio dedicato alla questione filosofica della verità; polemica poi proseguita e alimentata da una serie di altri video che il Decimo Toro ha dedicato a quell’argomento. Ora, subito i commenti hanno mostrato la formazione immediata di due schieramenti, pro e contro la verità dei fenomeni soprannaturale di Medjugorje; quel che colpiva, tuttavia, era il tono degli interventi di quanti difendono a spada tratta l’attendibilità dei veggenti, o comunque l’autentica spiritualità del fenomeno complessivo, pellegrinaggi, esorcismi e conversioni inclusi. Nessuno di essi forniva uno straccio di argomento razionale, tutti erano dettati da un impulso viscerale; e moltissimi, come un leit-motiv, contenevano la fatidica frase: Bisogna esserci stati, in quel luogo, per poter giudicare. Io che ci sono stato, posso attestare che si tratta di un fenomeno autentico e che vi aleggia realmente un’atmosfera mistica, in cui l’anima si apre a Dio e trova un senso di pace. Ma chi non c’è stato, non dovrebbe permettersi di dare giudizi tanto severi quanto gratuiti. Tanto per riportare il concetto con parole gentili, perché numerosi commenti erano oltremodo inveleniti e aggressivi. Torniamo sempre lì: se non lo si è visto coi propri occhi e se non ci si è recati di persona in quel tale posto, allora bisognerebbe astenersi dall’esprimere un giudizio, ma bisognerebbe lasciar parlare solo chi c’era ed ha visto. Torna sempre il mito della formula Io c’ero, io ho visto, io so: ma siamo proprio sicuri che essere fisicamente presenti in un luogo equivale ad aver visto le cose nella maniera più obiettiva e veridica? Chiunque abbia un minimo di pratica giornalistica, o anche solo d’istintivo buon senso, sa e comprende che le cose stanno in ben altra maniera; e che in non pochi casi essere presenti in un determinato luogo non solo non agevola la comprensione dei fatti, ma la confonde; e non parliamo solo del coinvolgimento emotivo, più forte quando si è sul posto che quando si segue una vicenda a distanza, ma proprio dei fatti fisici, oggettivi, misurabili e quantificabili. Ci è venuta inoltre alla memoria una pagina di un famoso corrispondente di guerra italiano, Arnaldo Fraccaroli, nella quale egli descrive una fase della duplice battaglia di Lemberg, cui assistette personalmente (nel libro La battaglia di Leopoli e la guerra austro-russa in Galizia, Milano, Fratelli Treves, 1914). Il giornalista, osservando la battaglia dal punto in cui si trovava, ebbe l’impressione di un successo austriaco: gli austriaci erano usciti dalle trincee, erano andati all’attacco ed erano penetrati nelle linee russe. E invece proprio quel giorno ricevettero l’ordine dell’alto comando di effettuare la ritirata generale: perché, nell’insieme del teatro di operazioni, erano stati sconfitti, gravemente e irrimediabilmente, e ora correvano il serio pericolo d’essere aggirati e presi prigionieri con tutto il grosso delle loro armate. Ecco un buon esempio di come l’essere presenti in loco, vedere coi propri occhi, non è detto che aiuti a capire meglio una certa situazione, anzi può fuorviare completamente il giudizio. E si tratta pur sempre d’un evento materiale: ma che dire se ci si porta nell’ordine dei fenomeni soprannaturali? Nel caso di Medjugorje si può giudicare la veridicità delle apparizioni per il fatto di vedere i veggenti guardare estatici e poi levare gli occhi al cielo, e riferire il contenuto dell’ennesimo messaggio della Madonna, peraltro sempre uguale a tutti gli altri, migliaia e migliaia, da quaranta anni a questa parte? Conoscere una certa cosa non vuol dire necessariamente averla vista coi propri occhi e udita coi propri orecchi. Nel caso della religione abbiamo a che fare con esperienze di ordine interiore, perciò indipendenti, entro certi limiti, dal tempo e dallo spazio, in cui giace la nostra coscienza condizionata, legata allo stato materiale dell’esistenza. Vale anche qui, del resto, il principio dell’elementare misura di buon senso che si dovrebbe usare in ogni circostanza. I truffatori esistono nella vita d’ogni giorno; possono essercene anche quando si tratta di fenomeni mistici. Inoltre, è vero che Gesù ha detto che l’albero si riconosce dai frutti, ma siamo sicuri che i frutti di Medjugoerje siamo tutti buoni? Molta gente si converte: è vero. Ma si tratta di conversioni profonde, o superficiali ed emotive? Se ci sono persone che sentono il bisogno di recarsi decine di volte in quel luogo, perfino tre o quattro l’anno, ciò non depone a favore di una vera comprensione del significato degli interventi straordinari mariani. La Madonna, nelle apparizioni autentiche, vuol mettere in guardia contro certi pericoli concreti, cosa che a Medjugorje non avviene, e soprattutto richiamare a una vita cristiana più profonda: del che si può fare esperienza benissimo stando a casa. Se si ha bisogno di recarsi continuamente laggiù – un luogo a dir poco ambiguo, peraltro, visto che vi scompaiono ogni anno centinaia di persone — ciò sembra indicare instabilità e irrequietezza.
Un’ultima cosa: a Medjugorje sono stato, e fin dall’inizio. Cos’ho visto e percepito soggettivamente importa poco. Se il messaggio c’è, è per tutti. Solo Gesù va creduto senza vedere: non certo delle persone che, dopo quarant’anni di familiarità quotidiana con Maria, inseguono ancora il benessere…
Fonte dell'immagine in evidenza: Alan Camerer - Pubblico dominio