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Il problema più serio è la pochezza umana dilagante

A dirlo si rischia di fare la figura dei passatisti, degl’inguaribili nostalgici di un mondo che non c’è più e che forse non c’è mai stato, dei disadattati che non sanno vedere nulla di bello e di positivo in una modernità sempre più protesa verso lo sviluppo tecnologico e la globalizzazione. Eppure, dirlo si deve: il problema più grave, più urgente, più drammatico che incombe sulla nostra società e sul nostro futuro, è l’incredibile, inverosimile pochezza di tante, troppe persone, specialmente di quelle che occupano un posto, e sia pure minimo, di responsabilità. E ad esso, e strettamente correlato con esso, se ne aggiunge un altro: l’assurdo livello d’inconsapevolezza e di narcisismo che spinge queste persone mediocri, banalissime, inconsistenti, sia dal punto di vista professionale che da quello umano, a fare continuamente mostra di sé, specialmente sui social; a mettersi incontenibilmente al cento di tutto, di tutti i discorsi, di tutte le situazioni; a pensare che il mondo intero non aspetta altro che di poter godere dei loro selfie, dei loro tweet, dei loro cinguettii e di ogni altra possibile forma di esibizionismo e di egotismo.

Il fatto è che questo fenomeno si manifesta come recente: noi abbiamo fatto in tempo a vedere e a udire, coi nostri occhi e i nostri orecchi, dei giganti vero e propri, ed era la generi zone dei nostri nonni: quelli nati al giro di boa fra Otto e Novecento. Anche i nostro genitori erano dei giganti veri e propri, a paragone degli omuncoli e delle donnette che vanno in giro ai nostri dì: nel loro caso, tuttavia, si trattava già di qualcosa di relativamente raro e non più di un dato normale. Eppure noi non siamo dei centenari ma dei sessantenni: pertanto questo rimpicciolimento si è verificato in un arco di tempo piuttosto breve, una generazione e mezzo circa. Sorge perciò la domanda: cosa ha fatto rimpicciolire a questo modo, con questa rapidità, gli esseri umani? Ci eravamo già posta, dieci anni fa, una simile domanda, però in termini generali, ossia come contrasto storico fra gli uomini moderni e quelli pre-moderni (cfr. l’articolo Siamo diventati troppo piccoli per capire la grandezza altrui, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 12/11/10 e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 02/09/17); ora vogliamo considerarla di nuovo, ma considerandola nella specificità di quest’ultima generazione e soprattutto alla luce di quel che è accaduto dall’inizio della cosiddetta pandemia da Covid-19. In un certo senso, infatti, l’emergenza sanitaria, negativa sotto ogni altro punto di vista, in questo si è rivelata preziosa: nel mostrare in piena luce ciò che agli occhi dei più era ancora nascosto, e mostrando fino a che punto sia giunto il rimpiccolimento umano, tipico della modernità, ma che, evidente,ente, negli ultimi anni ha conosciuto un accelerazione impressionante. Quel che è apparso evidente, infatti, perfino a chi non aveva alcuna voglia di vederlo, è che l’emergenza ha rivelato una diffusa, straordinaria pochezza umana: pochezza, con le debite e lodevoli eccezioni, dei medici e degli scienziati, dei politici e degli amministratori, dei sacerdoti e degli insegnanti, dei magistrati e dei tutori dell’ordine, dei giornalisti (soprattutto) e dei pretesi intellettuali, tuttologi e opinionisti d’ogni ordine e grado. Tutti, tutti, sia pure, lo ripetiamo, con qualche luminosa, ma rarissima eccezione, si sono mostrati inferiori alle aspettative, sia sul piano professionale — quanti errori sono stati commessi, inutilmente e colpevolmente, con gravissime conseguenze per la vita delle persone e per il loro equilibrio psichico, per l’economia, per la tenuta complessiva del corpo sociale — sia anche su quello schiettamente umano! Ciò che si è visto è stata una disastrosa e perfino imbarazzante carenza di umanità: ciascuno ha eseguito le direttive che venivano dall’alto, senza porsi domande, né ascoltare la voce della coscienza, così, come tanti burattini mossi dai fili del burattinaio; quasi tutti hanno brillato per il loro conformismo, per la loro piattezza, mentre le circostanze erano tali che avrebbero richiesto, Dio sa quanto!, uno scatto d’orgoglio, ma anche un certo grado di autonomia di giudizio e di elasticità e originalità intellettuale. Una volta la si chiama creatività; oggi non sappiamo come la si definisca, ma è certo ch’è venuta meno quasi del tutto.

Chi ha avuto la fortuna di frequentare almeno le scuole elementari, e magari le medie, prima del ’68; chi ha avuto il privilegio d’imparare la dottrina cattolica sul Catechismo di Pio X e di fare la Prima Comunione con la Messa secondo il rito tridentino, e di vedere le chiese non ancora stravolte e imbruttite dalla riforma liturgica del 1969, comprende benissimo quel che vogliamo dire: che quei maestri, quei professori, quei sacerdoti e quei vescovi erano, sempre fatte salve le debite eccezioni, incommensurabilmente superiori a quelli odierni: superiori per cultura, per carattere, per serietà e scrupolosità, per coerenza e limpidezza di vita. Fra essi e quelli che oggi insegnano nelle scuole e celebrano nelle chiese vi è la stessa differenza che passa fra un pigmeo e un vatusso, o fra una collinetta e il Monte Bianco. E non si tratta di una deformazione prospettica dovuta alla nostalgia dell’infanzia: la differenza era di quell’ordine di grandezza, e lo si potrebbe dimostrare con tutta una serie di dati di fatto, misurabili e assolutamente oggettivi. Del resto, l’albero si giudica dai frutti: e quali frutti hanno dato e stanno dando la scuola e la chiesa dei nostri giorni? Studenti di liceo che non sanno tradurre correttamente il più semplice brano di Cesare o Cicerone, per non parlare di una traduzione dall’italiano al latino, cosa oggi semplicemente impensabile; e fedeli cattolici che ignorano perfino l’ABC della dottrina, che vanno in visibilio di fronte alle danze etniche nel duomo di Napoli, nel giorno dell’Assunzione di Maria, o che si sdilinquiscono di tenerezza nell’ascoltare le omelie sacrileghe e blasfeme, condite in salsa neopagana o New Age, dell’impostore argentino Jorge Mario Bergoglio. E diplomi sempre più svuotati di contenuto, laureati sempre più ignoranti e incapaci di pensare con la propria testa, addirittura analfabeti di ritorno; e "cattolici" che non si accorgono neppure di non essere affatto cattolici, ma seguaci di una religione che col cattolicesimo non ha più molto a che vedere e che, se lo si fa loro notare, sono capacissimi di rispondere che in fondo è giusto così, perché la religione deve adeguarsi al mondo moderno e deve mostrarsi capace di stare al passo coi tempi. Non hanno neppure quel briciolo di pudore e di senso della coerenza da capire che non ci si può iscrivere a un club filatelico se non si sa com’è fatto un francobollo, né si può pretendere di spacciarsi per alpinisti o velisti se non si è mai scalata una montagna, né si è mai condotta una barca a vela in mare aperto. Insomma, persone inconsistenti, superficiali, ignare di ogni senso della logica, che "pensano" per via di emozioni epidermiche e parlano e giudicano in base al sentito dire, anche se poi hanno sempre in bocca, usato a sproposito, l’evangelico "non giudicare", senza aver capito che quella frase si adatta alle persone in quanto tali e non ai loro comportamenti, i quali, se riprovevoli, vanno biasimati eccome, e se necessario in pubblico e con estrema forza. Non nella presunzione di essere migliori, ma a tutela di quanti subiscono un danno morale da quei comportamenti, e ciò vale specialmente per bambini e adolescenti, particolarmente influenzabili e suggestionabili.

Ora, come si è arrivati a questo stato di cose, se non per colpa e responsabilità degli adulti, e in particolare degli insegnanti e dei sacerdoti, i quali non solo hanno abdicato del tutto alla loro vera funzione docente — imitati in ciò, purtroppo, anche da un numero non piccolo di genitori, e sempre per la stessa misera ragione: voler piacere a tutti — ma si sono fatti volonterosi strumenti della distruzione intellettuale e morale, secondo la strategia del Pensiero Unico mondialista e massonico? Coi genitori, i professori e i sacerdoti di una volta, diciamo fino agli anni ’60 del secolo scorso, una tale strategia avrebbe fallito: quella era gente di carattere, abbastanza preparata e soprattutto abbastanza conscia dei propri doveri, da non intrupparsi con tanta solerzia dietro le prime bandiere agitate dal potere, anzi, capace di tenere in vita una contro-cultura, in gran parte di matrice cattolica e comunque spirituale, sufficiente a tenere a freno la marea fangosa e dilagante del materialismo (di cui il marxismo era la variante più alla moda) e del globalismo. Ma, potrebbe obiettare qualcuno, non esiste la prova di quanto stiamo affermando: forse anche quelle maestre, quei professori e quei sacerdoti avrebbero capitolato, e si sarebbero uniformati con zelo ed entusiasmo al Pensiero Unico, pandemia da Covid-19 ed emergenza sanitaria compresa, proprio come hanno fatto quelli di adesso. Rispondiamo rovesciando l’ipotesi: il potere non avrebbe trovato sponda in essi, per la buona ragione che il loro mondo interiore, i loro valori, i loro princìpi erano ancora in gran pare integri. Controprova: è da decenni, anzi da secoli, che il potere occulto, cioè quello della grande finanza, cerca tutte le strategie possibili per giungere al risultato cui tende: ma fino agli anni ’60 non era riuscito che a piazzare alcuni dei suoi uomini nei posti-chiave; ai livelli intermedi e bassi, la sua malvagia dottrina non aveva fatto presa, non aveva trovato spazio. Non è da oggi, o da ieri, che l’élite occulta — che poi, a ben guardare, tanto occulta non lo è affatto – tenta la conquista del potere mondiale. Tuttavia ha cominciato ad avvicinarsi alla meta solo quando si è trovata davanti a una generazione di genitori, d’insegnanti e di sacerdoti, infiacchiti e svirilizzati, sedotti e conquistati dalle nuove parole d’ordine, e più che mai disposti a vendersi, consciamente o inconsciamente, chi per una poltrona o uno scatto di carriera, chi per la semplice e meschina soddisfazione di ricevere gli applausi del mondo. Da ultimo si è aggiunto, sul piatti della bilancia, il fattore paura: la più primordiale e irrazionale di tutte le paure, quella di ammalarsi e di morire. E quale spettacolo mostrano, quale saggezza di vita offrono dei settantenni, degli ottantenni, dei novantenni i quali rifiutano ostinatamente, quasi rabbiosamente di vedere i figli, nipoti, fratelli e preferiscono una squallida solitudine, popolata dai fantasmi creati dalla loro stessa immaginazione, per il terrore del contagio e della morte? Un vecchio non dovrebbe essere modello di vita e di esperienza; non dovrebbe mostrare più importante la manifestazione concreta del reciproco affetto, rispetto alla paura infantile di dover lasciare quella vita che, in ogni caso, ci è stata data solo in usufrutto e non in proprietà, e che sappiamo di dover restituire in qualsiasi momento, con sobrietà e dignità, quando Dio vorrà chiamarci a Sé?

Ebbene: se il problema più grave e più urgente che dobbiamo affrontare, oggi, è quello della insufficienza, della pochezza umana; se nessuna ripresa, nessuna resurrezione è possibile, o anche solo pensabile, fino a che perdura la situazione attuale; fino a quando, in particolare, i più giovani saranno lasciati allo sbando, privi di saldi punti di riferimento da parte degli adulti, in balia di una cultura del relativismo che rende tutto uguale a tutto, che legittima qualsiasi esperienza di vita, anche la più estrema e distruttiva, e nega addirittura che vi sia il male, che vi sia il peccato, che vi siano delle cose cattive in se stesse, meritevoli in quanto tali d’essere evitate e combattute, come se ne verrà fuori? Su cosa fare leva, su quali forze sane scommettere, a quale potenziale positivo fare appello? Se i giovani sono manipolati e i vecchi hanno perduto l’antica saggezza, anzi sovente brillano per la remissività con la quale si adeguano a qualunque narrazione venga fatta e qualsiasi indicazione o prescrizione venga diffusa dai mass-media controllati dall’élite, come si può anche solo immaginare che vi sarà un ritorno ai sani princìpi della tradizione, alla ragione naturale, al puro buon senso, così da poter scommettere sul futuro della nostra società? A nostro giudizio, umanamente parlando, la situazione è ormai irreversibilmente compromessa: sperare in una inversione di tendenza, in un ritorno alla consapevolezza e in una liberazione dall’odiosa tirannia che il grande potere finanziario ha instaurato su di noi, senza quasi che ce ne rendessimo conto e che si manifesta attraverso l’agenda del Nuovo Ordine Mondiale, portata avanti un giorno dopo l’altro con capillare, metodica perfidia, è un sogno a occhi aperti. Che fare, allora: attendere, come pecore condotte al macello, che l’ultimo chiodo venga piantato sulla bara della nostra società, e l’ultimo anello della tirannia venga stretto intorno alle nostre vite individuali? Niente affatto: e per molti motivi. Appunto perché non abbiamo più nulla da perdere, è giunto il momento di ribellarci ai nostri burattinai e di vendere cara la pelle. Che altro vogliamo aspettare: forse che, col pretesto della vaccinazione contro il Covid-19, o contro qualche altro morbo che verrà creato appositamente, il nostro organismo venga sottomesso una volta per sempre, e la nostra volontà sia spezzata mediante un controllo diretto, esercitato a distanza per mezzo d’impulsi elettrici, così da ridirci letteralmente a una massa di zombie telecomandati? Dobbiamo assistere inerti ad un simile scempio sui nostri figli, sui nostri nipotini, e restare a guardare mentre una medicina malvagia e asservita al potere inoculerà nel sangue dei piccoli chissà quali malattie, rubando loro le informazioni vitali sul DNA o agendo a distanza sull’umore delle persone, sulla loro memoria e su altre funzioni della psiche, fino a indurre in esse delle sindromi depressive, o peggio, allorché "essi" avranno individuato dei soggetti che non vogliono piegarsi, né si lasciano manipolare? Ma c’è anche un’altra ragione per non arrendersi né lasciarsi andare alla disperazione. Se le forze del male che vogliono annientarci sono potentissime, la loro forza è nulla di fronte alla potenza di Dio: e Dio è il Bene, la luce e l’amore. Se Dio è con noi, di chi o di cosa avremo dunque paura? E se Lui è per noi, chi sarà contro?

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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