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È giusto voler dialogare sempre e con tutti?

Vogliamo tornare su una questione che abbiamo già più volte affrontata, ossia se si debba o si possa dialogare con chi rifiuta il dialogo, perché rifiuta a prori la verità, pensando di averla già in tasca e quindi non sopportando di ascoltare cose diverse da quelle delle quali è convinto; questa volta lo faremo restando su un terreno prevalentemente pratico, mentre in passato lo abbiamo fatto più sul versante teorico. A ciò siamo stati stimolati sia da quanto ci ha scritto un fedele e intelligente lettore, secondo il quale in certe condizioni non bisogna discutere, ma semplicemente ignorare ciò che dicono i mass-media di regime, e che ripetono i loro numerosi e inconsapevoli seguaci, ma anche da una grossa polemica scoppiata su un canale Youtube in seguito alla lettura di un nostro articolo in cui si parla, fra le altre cose, di Medjugorje: un video non postato da noi personalmente, ma nel quale veniva data lettura di ciò che n i avevamo scritto. La virulenza, la sguaiataggine e la stessa immediatezza della polemica, nella quale chi si è sentito offeso da ciò che abbiamo sostenuto tradiva un atteggiamento totalmente emotivo e viscerale, a causa del quale non veniva portato un solo argomento di natura razionale e documentata, ma venivano solo scagliati anatemi contro chi osa rifiutare l’adorazione dell’idolo di Medjugorje – un idolo, a nostro credere, satanico — ci ha ulteriormente persuasi che dialogare, se mancano le condizioni minime indispensabili, è fatica non solo inutile, ma ingenua e mal diretta, come sarebbe volersi ostinare a giocare a carte con un baro incorreggibile, o voler esercitare il diritto di critica su di un film, un romanzo, un’opera d’arte o un brano musicale, con chi ha sposato in maniera acritica la causa di quell’autore e ritiene che qualsiasi cosa egli produca, nel cinema, nella letteratura, nell’arte o nel campo della musica, non possa che essere eccellente e immune da qualsiasi vizio o difetto.

C’è poi un altro aspetto da tener presente. L’Italia, purtroppo, è forse il Paese ove impera il più forte condizionamento mediatico della popolazione: e lo si è visto, ad abundantiam, in questi mesi di pretesa emergenza sanitaria. Anche se si tratta di un fenomeno di portata mondiale, sta di fatto che altri popoli, sottoposti alla pressione dei media affinché si adeguino a decisioni politiche, giuridiche o sanitarie palesemente illegittime e pretestuose, tendono almeno ad accennare una qualche forma di dissenso o di resistenza, e in ogni caso cercano di proseguire la propria vita secondo ciò che suggerisce il buon senso, senza farsi troppo condizionare da allarmismi e catastrofismi sparsi ad arte; gli italiani, invece, hanno confermato una netta propensione non solo a credere a tutto, ma a pretendere misure ancor più severe, e a farsi delatori del vicino "indisciplinato", assumendo di fatto il ruolo di sorveglianti volontari, per non dire di kapò, nei confronti dell’intera popolazione. Cosa decisamente notevole, se si considera che, per un altro verso, gli italiani, e specialmente quelli del Sud, non si segnalano per un eccesso di disciplina, né si sono mai mostrati particolarmente ligi e zelanti nell’ottemperare alle disposizioni, alle sentenze e ai decreti provenienti dal governo, dalla magistratura o dalle autorità prefettizie. All’interno di questa struttura mentale è difficile aspettarsi qualcosa di diverso da una contrapposizione ideologica rigida e preconcetta: manca l’abitudine a vagliare i fatti con senso critico personale, e chi avrebbe dovuto contribuire a sviluppare una tale capacità, la scuola prima di tutti (ma c’è stato un tempo in cui perfino la TV di Stato, e parliamo degli anni ’60 del secolo scorso, lavorava egregiamente in tal senso) ha smesso di farlo, anzi si è reso a sua volta cassa di risonanza dell’indottrinamento mediatico. Urge perciò più che mai risolvere una volta per tutte la spinosa questione: vale ancora la pena di adoperarsi per dialogare, per aprire spazi di consapevolezza, per gettare dei semi di pensiero libero, in una società dove queste cose non solo non vengono affatto apprezzate, ma suscitano spesso furibonde reazioni di risentimento e di rabbia, le quali, sommate alla stretta giuridica imposta da qualche anno a questa parte, e diretta a colpire direttamente la libertà di espressione, parrebbero indicare che si tratti di un impegno infecondo, oltre che autolesionistico?

La domanda diventa ancor più ardua se ci si pone nella prospettiva del credente, in un momento storico in cui la minaccia più grave al cristianesimo non viene dal di fuori, come sempre in passato, ma dal di dentro, cioè proprio dal clero della Chiesa cattolica e addirittura dai suoi vertici attuali. Dialogare? E con chi, sulla base di che cosa, e a quale scopo? Si rifletta che la Chiesa, fino al Vaticano II, non aveva mai parlato della necessità di dialogare con i non cattolici, bensì di pregare, insegnare ed esortarli alla conversione. È solo a partire dal Concilio che la parola "dialogo" assume una valenza cruciale nel magistero e nella pastorale, diviene addirittura un imperativo categorico. Ma Gesù, possiamo e dobbiamo domandarci, dialogava con le persone allorché parlava loro del Regno di Dio? No, niente affatto. Gesù non dialogava, insegnava. Dialogare significa mettersi sullo stesso piano dell’interlocutore, in nome di una "verità" che non è assoluta, ma negoziabile, quindi relativa. Bergoglio, per esempio, dice che i punti irrinunciabili della morale cattolica sono già noti, per cui non sente il bisogno di ribadirli; piuttosto, ritiene suo dovere parlare coi non credenti di tutto ciò che non è suscettibile di creare divisioni. L’obiettivo, espresso o inespresso, è sempre lo stesso: includere tutti sulla base di una ‘fratellanza’ massonica. Ma Gesù voleva includere tutti? La risposta è, ancora una volta, negativa. Si ricordi l’episodio della donna fenicia che lo seguiva, pregandolo di liberare la sua figlia tormentata da un demone (Mt 15,21-28):

Partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Il che mostra che Gesù, in un primo tempo, non intendeva rivolgersi a tutti gli uomini, ma solo agli ebrei, e non certo per una forma di razzismo o di esclusivismo, bensì perché il sentimento religioso degli ebrei, plasmato da secoli e secoli di austero monoteismo, offriva le migliori condizioni per accogliere la sua Parola: non erano forse ebrei Abramo, i Patriarchi, i Giudici e i Profeti? Ma lo stesso tipo di atteggiamento si rivela in Gesù di fronte a persone le quali, indipendentemente dalla fede professata, appaiono refrattarie ad ascoltarlo e anzi cercano di tendergli insidie dialettiche, per farlo cadere in contraddizione e avere così il desiderato pretesto per accusarlo — come alla fine sarebbe puntualmente avvenuto. Tale atteggiamento appare ancor più chiaro in un altro passo del medesimo evangelista, dal quale appare che Gesù non teme affatto di rompere con l’interlocutore: altro che evitare discorsi divisivi e limitarsi a parlare solo di ciò che può unire; l’unione fuori della verità, cioè nella menzogna, non è certo un valore per Lui (Mt 19,11-22):

In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sodoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città.

Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.

Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato.

E che dire del modo di porsi di Gesù verso gli scribi e i farisei, cioè gli appartenenti alle due categorie che maggiormente si oppongono alla sua predicazione? Dice forse loro: Cari fratelli scribi, carissimi fratelli farisei, non fate caso a quello che dico, se vi disturba, ma concentratevi piuttosto su quello che possiamo condividere, io e voi? Niente affatto; il suo linguaggio e i suoi modi sono intransigenti, perfino sprezzanti: li affronta, per così dire, a muso duro. Nel famoso passo di Mt 23, 13-35, li chiama serpenti e razza di vipere, e li maledice per sette volte:

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. 
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi.

Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l’oro del tempio si è obbligati. Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? E dite ancora: Se si giura per l’altare non vale, ma se si giura per l’offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. Ciechi! Che cosa è più grande, l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l’abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso. 

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto mentre all’interno sono pieni di rapina e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi netto!

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!

Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna? Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa, che avete ucciso tra il santuario e l’altare.

Ma vi è un caso ancora più eloquente. Di fronte a Erode, assassino del Battista, che lo interroga e spera di assistere a qualche prodigio, Gesù non gli rivolge nemmeno una parola. È il rifiuto estremo: non si parla con chi è in totale malafede, con chi è radicalmente refrattario alla Verità (Lc 23,9): Lo interrogò con molte parole, ma Gesù non gli rispose nulla. Oggi si vuol fare di Gesù un buonista: Uno che salva anche chi non vuole essere salvato. Niente affatto: Gesù è infinitamente buono ma al tempo stesso infinitamente giusto. Lui solo è il nostro modello. E se qualcuno, a suo Nome, vuole mostrarsi più misericordioso di Lui, per piacere al mondo, tradisce con ciò le sue vere intenzioni…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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