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Una società in ostaggio degli squilibrati psichici

La società contemporanea si distingue soprattutto in una cosa da tutte le società del passato: il fatto che in essa non è la minoranza responsabile, sana, animata da un atteggiamento positivo verso la vita, a svolgere la funzione trainante, non necessariamente in qualità di classe dirigente, ma anche solo come coscienza e modello ideale per gli altri; bensì una costellazione composta di spostati, di nevrotici, degenerati, libertini, ossessi e disperati che condiziona la vita dell’intero corpo sociale che, pur non essendo capace di svolgere funzioni direzionali, ha fatto in modo da pesare in maniera decisiva sulle scelte di tutti, condizionando la politica, l’economia, la cultura, e svolgendo di fatto una funzione contro-dirigente, nichilista e distruttiva, che si compiace del nulla e gode di bloccare i processi virtuosi e le possibilità espansive. Stiamo parlando di una minoranza, peraltro sempre più consistente, di persone disancorate, senza saldi valori, senza punti di riferimento, e che neppure ne vorrebbero avere; di persone che detestano l’ordine, la pace, il bene, e rivestono la loro malattia psichica di nobili panni, ad esempio auto-proclamandosi coscienza critica di una borghesia ipocrita e imbelle; di falliti rancorosi, di relitti sociali che galleggiano alla deriva ma non ammettono il proprio fallimento, non riconosco la loro pochezza e riversano su tutti gli altri le cause dei loro insuccessi, sventolando improbabili patenti di nobiltà morale o di genialità creativa o di autentico amore del progresso civile, che si manifesterebbe anzitutto, secondo loro, nello smascherare le finzioni altrui e nel denunciare le colpe nascoste di quelli che hanno la sola, vera colpa di saper vivere, di aver cresciuto una famiglia, di aver creato una piccola impresa, di aver lavorato duramente per costruire qualcosa che resta, mentre essi nulla sanno produrre se non amari lamenti e rampogne interminabili, sovente tirando in ballo i diritti conculcati dei "lontani", dei migranti, dei "diversi" e di tutti quelli che, a loro dire, soffrono sotto il giogo d’un ignobile sfruttamento, non da parte dei Padroni Universali, ma proprio di quei piccoli imprenditori e quei padri e madri di famiglia che a loro danno tanto fastidio perché ricordano loro il nulla che sono.

Questo, da parte degli intellettuali: un esercito di artisti senza talento, scrittori senza originalità, pensatori senza spessore, scienziati incompetenti, tutti però accomunati da una smisurata ambizione e un sordo rancore e da un desiderio di rivalsa e di vendetta. C’è poi un numero ancor più grande di persone comuni, alcune delle quali sofferenti di autentiche patologie psichiatriche, depressione, bipolarità, manie di vario genere, o di soggetti che, pur non essendo malati nel senso clinico della parola, sono tuttavia degli anormali, per scelta e per comodità: disadattati che vogliono farsi mantenere, tossicodipendenti che sfruttano i genitori, caratteriali che tiranneggiano il coniuge o i figli, femministe incattivite, falliti che vogliono rivalersi su chiunque abbia del talento, egoisti e narcisisti cronici, piccoli despoti capricciosi e viziati, prepotenti per vocazione, incapaci che si atteggiano a incompresi e perseguitati: tutto un vasto esercito di mostri sociali, di schizzati, di paranoici, di ossessi nel vero significato della parola, molti dei quali sono divenuti tali a forza di frequentare circoli spiritisti, giocare col paranormale, frequentare ambienti occultistici ed esoterici o pendere dalle labbra di chiromanti, maghi e ciarlatani. Né mancano, come è giusto, preti senza vocazione, religiosi sessualmente deviati e prelati massoni e satanisti, i quali rimestano nel torbido, propagano ogni sorta di sporcizia e di eresia e aumentano la confusione generale con il loro stile malefico, la loro pastorale capovolta e il loro contro-vangelo infernale.

Scriveva uno psicologo oggi pressoché dimenticato anche nella sua patria, in quanto sarebbe giudicato troppo politicamente scorretto: Maurice Verdun, già professore di Antropologia presso l’Institut Catholique di Parigi, nel suo libro — il titolo è già tutto un programma – Il pericolo mentale (titolo originale: Le péril mental, Lyon-Paris, Éditeur Emmanuel Vitte; traduzione integrale dal francese di A. Bernardini e L. Bianco, Biblioteca di Psicologia e Pedagogia, Roma, Edizioni Paoline/SAIE, 1955, 1973, pp. 199-200):

Abbiamo descritto i principali tipi di persone tarate che circolano in gran numero nella nostra società contemporanea e popolano le case di detenzione, di rieducazione e gli ospedali psichiatrici. Ora intendiamo precisare IL PESO, IL DISORDINE E IL PERICOLO ch’esse causano alle persone rimaste sane nei diversi settori della vita sociale.

Quante FAMIGLIE hanno a loro carico un debole mentale o un demente internato? Quante, soprattutto, sono turbate dalla convivenza con uno squilibrato del dinamismo, della sensibilità psichica, dell’affettività passionale, del giudizio pratico e dell’emotività? Quante sono minacciate nell’onore, nei beni, nelle più legittime speranze, nell’equilibrio intellettuale e sentimentale e nella stessa vita, in seguito ad una unione che ha introdotto nel loro focolare, e persino nel loro sangue, un agitato o un malinconico, uno scioperato o un prodigo, uno spirito falso illuminato o perseguitato, un ossessionato, un violento, un paranoico? Nessuna statistica esiste al riguardo, ma il caso è così frequente che, senza dubbio, sarebbe più facile enumerare le famiglie che sono immuni da disturbi della vita mentale.

Nessuna statistica è in grado di darci un ragguaglio completo , ma è certo che oggigiorno le famiglie fortunate, che non hanno nel loro seno uno dei grandi invalidi o dei semplici minorato dello psichismo, sono praticamente sena difesa contro il contagio di questo flagello della vita familiare, costituito dai disordini della vita mentale, mentre nelle famiglie che ne sono affette, le persone sane devono sopportare il peso di quelle malate con il turbamento continuo che esse provocano alla loro esistenza.

Quanto BAMBINI devono soffrire, proprio durante gli anni decisivi della loro formazione fisica e morale, gli squilibri dell’uno o dell’altro dei loro genitori, o, peggio ancora, di ambedue? Senza dubbio, non sono sempre le gravi sevizie d’un padre alcolizzato, furioso e dissoluto, né lo spettacolo pietoso d’una madre dipsomane ola mancanza delle cure più elementari duna paranoica snaturata… (in questi casi estremi i tribunali possono pronunciare l’annullamento dei diritti paterni o materni e provvede per il loro ricovero in un istituto d’assistenza), ma almeno gli choc emotivi ripetuti, i traumatismi affettivi permanenti, determinati dalla presenza di un padre tirannico, impulsivo e violento, d’un malinconico pericoloso, d’un ipersensibile impressionabile e capriccioso, d’un indifferente, d’un sognatore o d’un ossessionato… e, ciò che è peggio, di una madre ansiosa, spendereccia, mai stanca di movimenti e spostamenti, civetta, vanitosa, imbrogliona, chiacchierona incoerente nelle parole o negli affetti, come nei suoi ordini e nelle sue relazioni…

Come stupirsi dello smarrimento dei bambini sotto la direzione di questi individui? Come meravigliarsi dei loro riflessi di evasione presso i nonni e gli amici, ove il focolare è più accogliente; del sollievo che provano rifugiandosi presso club giovanili o in qualche convitto, nell’impaziente attesa dei 16 anni che permetterà loro di entrare come apprendisti in qualche fabbrica o dei 18 per arruolarsi nell’esercito? Come meravigliarsi della facilità con cui le ragazze si lanciano nell’avventura matrimoniale, sposando il primo arrivato, in pieno disaccordo con i genitori dai quali cercano soltanto di allontanarsi il più presto possibile? (…)

I direttori di coscienza, i confessori di quei giovani penitenti che si accusano di avere addolorato la mamma o di nutrire rancori nei confronti del papà, non potranno fare altro che raccomandare il rispetto e l’amore vero i genitori, pur sapendo che le esortazioni a dominare i propri sbalzi di umore, ad assolvere meglio i doveri familiari, rivolte a loro volta a questi poveri educatori, saranno efficaci quanto un cauterio su una gamba di legno…

Che cosa si può fare, allorché un numero rilevante di persone è in balia di patologie psichiatriche o si abbandona a comportamenti e stili di vita paranoci, distruttivi, egoisti e violenti, anche "solo" di violenza psicologica, e la maggioranza sembra soggiacere davanti ad esse, non reagisce con la dovuta fermezza, si direbbe paralizzata da oscuri sensi di colpa e si lascia maltrattare, si lascia aggredire, si lascia ricattare, si lascia tenere perennemente in ostaggio, come se non si ritenesse degna di condurre una vita migliore, libera da una simile oppressione, o, almeno, libera di agire e regolarsi in maniera da aiutare i soggetti problematici, ma non già assecondandoli e inchinandosi davanti ad essi, bensì imponendo loro di sottoporsi a delle cure o, nel caso di aberrazioni volontarie, di desistere dal loro atteggiamento di parassitismo sociale? Sperare qualcosa dallo Stato è vano o rischia di rivelarsi un male ancora più grande che subire in silenzio. Certo, vi sono moltissimi bambini che soffrono per l’inadeguatezza dei genitori, i quali di tutto hanno voglia, tranne che di assumersi seriamente le responsabilità che il loro ruolo comporta; e tuttavia, specialmente dopo il caso di Bibbiano, ci siamo resi conto che una rete perversa di amministratori giacobini e di assistenti sociali criminali non aspetta altro che il pretesto per togliere ai genitori, e non sempre i peggiori, la patria potestà, e sottrarre i loro figli, per darli in affido ai propri amici, magari in none di un’ideologia perversa e pervertitrice. Nel qual caso il male che quei disgraziatissimi bambini rischiano di subire è perfino maggiore di quello cui sono quotidianamente esposti fra le mura di casa loro, in balia dei loro irresponsabili genitori. E allora, a chi rivolgersi, che fare? La chiesa? Sì, un tempo il prete conosceva bene le famiglie della sua parrocchia, era in grado di esercitare una certa influenza, mettere una parola buona, anche se poi, in pratica, una volta lontani da occhi estranei, i mariti alcolizzati ricominciavano a maltrattare i loro familiari, e così le madri isteriche o paranoiche. Ad ogni modo, i preti oggi hanno altro cui pensare che simili inezie: devono occuparsi dei migranti, devono sponsorizzare i corsi di affettività gay, devono incitare i parrocchiani contro l’omofobia e contro quell’orribile cosa che sono le veglie di preghiera in occasione dei Gay Pride. Poi devono sensibilizzare le anime alla cura dell’ambiente, ai problemi dell’ecologia, al dramma del sole che si sta spegnendo (quest’ultimo argomento è stato al centro della più recente intervista di Eugenio Scalfari al signor Bergoglio: questione urgentissima ed estremamente drammatica, come ciascuno può bene immaginare). Se avanza loro del tempo, devono occuparsi della pastorale di papa Francesco, devono insegnare le preghiere alla Pachamama, devono predicare il dialogo con l’islam e l’ecumensimo coi protestanti, e soprattutto devono tuonare e fulminare contro gli orribili peccati del sovranismo, del populismo e del razzismo, causa di ogni disgrazia e di ogni ingiustizia sulla faccia della terra. La scuola, allora; la maestra, il professore? Una volta, senza dubbio. Ma oggi, il meno peggio che ci si può aspettare è che se essi notano qualcosa che non va nel comportamento dei ragazzini delle loro classi, si rivolgano a quei tali assessori comunali e a quei tali assistenti sociali di cui sopra, per cui è sperabile che non notino nulla, che non s’imnmischino, che non s’interessino, perché il loro zelo malriposto rischia di trasformarsi in un’ulteriore fonte di sofferenza per quelle sfortunate famiglie che già stanno male. Una volta c’era un nonno, uno zio, un parente che si faceva carico di certe situazioni difficili, che aveva sia l’autorevolezza, sia la buona volontà per intervenire, per offrire almeno un po’ di sollievo ai nipoti in difficoltà, al genero o alla nuora disperati, insomma per dare una mano nei frangenti più tormentosi. Oggi, però, ciascuno bada a se stesso; ciascuno fa già fatica a pensare alla propria famiglia; e nessuno sarebbe disposto a tollerare la minima intromissione, anche se dettata unicamente da sincero interessamento. Tutti, anche i genitori più disgraziati, si ricordano di avere un diritto alla privacy, di essere soggetti di un’autorità parentale, nel momento in cui la loro incapacità appare manifesta e il bisogno di ricevere un aiuto dall’esterno si rivela in maniera impietosa.

E allora? E allora ci resta Dio, il solo che non ci abbandona, non ci delude, non ci tradisce. La forza della preghiera è immensa; l’aiuto della grazia è incommensurabile. Fortificati dalla preghiera, illuminati dalla grazia, quanti si rimettono a Dio, gli affidano le loro pene, domandano umilmente il suo soccorso, ricevono il sostegno, il consiglio, la prudenza, la sapienza necessari. I paurosi diventano coraggiosi, i pigri laboriosi, gli sfiduciati riprendono animo, gl’incerti ritrovano la fermezza. Certo, questi sono i mezzi straordinari di ordine soprannaturale. E nell’ordine naturale? È nostro profondo convincimento che la diffusione dei mali sociali dipenda essenzialmente dal fatto che il mondo moderno si è ribellato a Dio: questa è la causa prima della pazzia che sembra sconvolgere la nostra vita, che ha introdotto nel corpo sociale elementi incontrollabili di disordine,confusione, conflitto e angoscia. Dobbiamo perciò condurre un’ampia opera di bonifica, ripensando tutto il nostro progetto di vita. È necessario fare una scelta chiara fra Dio e il mondo. Chi sceglie il mondo, non può poi lamentarsi se le forze scure travolgono la sua esistenza, i suoi sogni, i suoi affetti. Solo chi confida in Dio costruisce sulla roccia, e le tempeste non l’abbatteranno.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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