Il Gesù di Bergoglio? Un banale maestro New Age
4 Agosto 2020Il male entra nella chiesa dalla “porta del demonio”
6 Agosto 2020Stiamo vivendo ai tempi del diluvio: il diluvio che travolge la morale, l’intelligenza, la competenza, l’onestà, la professionalità. Da qualunque lato ci voltiamo, non vediamo altro che un fiume fangoso d’immoralità, di stupidità, d’incompetenza, di disonestà e d’inadeguatezza che avanza da ogni parte e sommerge ogni cosa. Dalla giustizia all’informazione, dalla scuola alla chiesa, dal tempo libero alo sport, nulla si salva da quest’alluvione: non c’è neanche un po’ di terreno solido sul quale posare i piedi, tutto è divenuto incerto, precario, ingannevole. Non vi sono più certezze, che si tratti di valutare una versione di latino o di compilare una cartella delle tasse, d’investire un piccolo risparmio o acquistare un elettrodomestico. Ogni cosa si rivela diversa da come appariva: si rivela dubbia, malfida, opinabile: si crede di aver rispettato la legge e ci si trova multati come dei malfattori; si ripone fiducia nel proprio idraulico, o nel proprio commercialista, o nel professore che insegna ai nostri figli, e si scopre che quella fiducia era malriposta. Di più: si constata ogni giorno, ogni momento, che chi sbaglia non paga il conto, che tutto è uguale a tutto, che chi lavora bene non è premiato, non è riconosciuto, non è incoraggiato; che i posti migliori sono già blindati, sono lì per i soliti raccomandati, e gli altri, per quanto meritevoli, devono accontentarsi delle briciole, o di niente. Si acquista il giornale tutte le mattine, si guarda il telegiornale tutte le sere, e si crede di essere informati; poi si va sbattere contro la realtà dei fatti e si scopre che la realtà descritta dai mass-media è una pura invenzione, che non ha niente a che vedere con la realtà vera, quella nella quale ci troviamo a vivere, a lavorare, a lottare. Si pensa di aver fatto bene a insegnare ai propri figli l’onestà, il senso della famiglia, lo spirito di sacrificio, e poi ci si rende conto che è già molto se tali insegnamenti, qualora vengano presi sul serio, non faranno di lui un disadattato, un perseguitato e un infelice. In un mondo alla rovescia, dove le cose vanno al contrario di come dovrebbero andare, dove i peggiori dettano le regole del gioco e i migliori sono costretti quasi a nascondersi, i buoni valori di sempre sono diventati una moneta fuori corso e chi li possiede viene guardato alla stregua d’un nemico pubblico, d’un falsario. Si vorrebbe reagire, si vorrebbe protestare, ci si vorrebbe ribellare: ma da dove partire e, soprattutto, su che cosa fare leva? Perché non si può mica fare come don Chisciotte, spronare Ronzinante contro i mulini a vento; bisogna avere un punto d’appoggio, anche minimo, anche infinitesimo: non ci si può battere stando sospesi nel vuoto, senza neanche scorgere la direzione giusta nel gran mare di nebbia.
Ora, siamo profondamente convinti che, per trovare il terreno solido sotto i piedi, e da lì riprende il filo interrotto di una vita ragionevole, per noi stessi e per gli altri, bisogna prima individuare il punto esatto, la crepa, la falla da cui tutto ha avuto inizio, il varco attraverso il quale la marea fangosa ha fatto irruzione e ha investito ogni cosa sul suo cammino. E da parte nostra non abbiamo dubbi: sappiamo dove si trova la falla, conosciamo il punto da cui tutto ha avuto inizio. Quel punto è la dove abbiamo accettato, per la prima volta, il compromesso sulla verità: tutto il resto è venuto di conseguenza, in una progressione inarrestabile. È la dove abbiamo accettato di dire che il vero è falso e che il falso è vero; e poi, via via, che il bene è male e che il male è bene; che il bello è brutto e che il brutto è bello; che il giusto è ingiusto e l’ingiusto, giusto. Non lo abbiamo fatto per delle basse ragioni: lo abbiamo fatto per amor di pace, o perché sottoposti a un ricatto morale; per non sembrare duri, spietati, intransigenti; per non essere rigidi, per non mostrarci poco sensibili o poco misericordiosi. Forse un po’ per quieto vivere, anche; ma senza cattive intenzioni, soprattutto senza renderci conto della gravità della cosa. Una piccola bugia, detta a fin di bene: dopotutto, che male ci poteva essere? E invece quello è stato il primo tradimento, che poi ci ha costretti a consumarne mille altri. Perché il Diavolo, che è il regista ultimo di tutta l’alluvione, una volta aperto il varco subito ne ha profittato: ha spinto sempre di più, sempre di più; ha premuto sull’acceleratore, ha preteso una porzione sempre maggiore; e noi abbiamo ceduto ogni volta, ancora e ancora.
Ma quando, ma dove è accaduta una cosa del genere? È accaduta quando nostro figlio si è comportato male, avrebbe meritato un rimprovero, e noi niente, per non guastar la giornata, forse per non aver seccature: non solo non l’abbiamo ripreso, ma lo abbiamo pure assecondato nei suoi capricci Una cosa piccola, come si vede; una cosa da nulla. Ma poi ce n’è stata una seconda, una terza, una quarta, e così: e non sempre cose piccole, ma anche cose un po’ più grandi. Ed è successo quando l’amico o il collega ci ha chiesto di chiudere un occhio, di fingere di non aver visto una piccola irregolarità: dopotutto, chi ne avrebbe risentito? Una cosa da poco, un favore a un amico o a un collega: via, una cosa che non si nega a nessuno. Ma poi c’è stato un secondo favore, ce n’è stato un terzo, a un altro amico, a un altro collega; e così via. Lo scandalo dei cartellini degli impiegati comunali timbrati dagli amici o dai parenti deve esser cominciato così: un piccolo favore, una cosa estemporanea; poi è diventato un sistema, un modo di fare. Ed è successo quando abbiamo arrotondato un conto spesa a nostro favore: eh via, pochi spiccioli, una cosa da nulla, che sarà mai, mentre i politici, si sa, rubano milioni; o quando abbiamo barato sulla prestazione fornita, sempre arrotondando i tempi di lavoro, e perciò i rimborsi, a nostro vantaggio; o quando ci siamo fatto fare un certificato medico per sindrome influenzale, o addirittura depressiva, mentre in effetti non avevamo voglia di andare a lavorare, semplicemente, o magari, peggio, dovevamo star dietro a un altro lavoro, un lavoro in nero, in modo da prendere due stipendi al costo di uno. O quando il certificato lo abbiamo fatto a un altro; il rimborso lo abbiamo fatto a qualcuno che ce lo chiedeva per favore. Ed è successo quando uno studente che non aveva studiato, ha fatto un compito da quattro, ma noi gli abbiamo dato sei meno, per non sobbarcarci fastidi, per non dover assumere un atteggiamento arcigno, per voler fare sempre gli amiconi dei ragazzi, i loro avvocati d’ufficio, che lo meritassero o non lo meritassero. Però a noi stessi ce la siamo raccontata in altro modo: ci siamo detti che non volevamo demoralizzare quello studente, che avevamo fiducia in una sua ripresa, che il bravo insegnante deve sempre valorizzare e mai mortificare quel che fanno gli alunni. Ed è successo quando ci hanno chiesto di scrivere un pezzo, di presentare una mostra, di tenere un discorso in pubblico, e noi abbiamo messo a tacere i nostri veri sentimenti e abbiamo lodato ciò che non meritava alcuna lode, abbiamo elogiato un fatto meschino, un arista o uno scrittore meno che mediocre; in breve, ci siamo prostituiti — sì, prostituiti: bisogna chiamar le cose col loro vero nome, giacché anche così si può tradire la verità -, ci siamo piegati a dire quel che non pensavamo: ma solo così, per amicizia, o per il piacere narcisista di svolgere un ruolo pubblico, di apparire davanti alla gente, di ricevere gli applausi. Cose piccole, in fondo: non abbiamo mica ammazzato nessuno, non abbiamo rubato, non abbiamo tradito.
O forse sì. Abbiamo tradito la verità: siamo venuti a patti col dovere di essere sempre fedeli, costi quello che costi, perché nulla può esedre buono senza la verità, neanche le buone intenzioni, neanche la stessa misericordia. Una misericordia senza la verità? Allora non è più misericordia, è un’altra cosa: diventa inganno, truffa, turlupinatura. E non parliamo dei sentimenti. Abbiamo promesso amicizia e amore alle persone che in quel momento ci premevano, ma non perché c’importasse veramente di loro, solo perché noi volevamo qualcosa da esse: le abbiamo lodate per usarle, le abbiamo manipolate per carpirne i favori, in un senso o nell’altro: professionale, sessuale, o semplicemente di compagnia. Avevamo bisogno di compagnia, abbiamo adulato chi non lo meritava, o abbiamo fatto finta di ammirare chi non ne era degno, o abbiamo taciuto davanti a certe sue azioni che avrebbero richiesto una parola ferma e chiara da parte nostra. Anche tacere la verità è un tradimento nei confronti di essi, non solo affermare scientemente quel che non è vero. La verità si può tradire in due modi: parlando o tacendo. Il secondo è solo più vile, ma non è meno biasimevole. Può darsi che il primo cedimento sia stato il frutto di una forma di riguardo verso certe categorie di persone: non si sgrida un ragazzo, perché è solo un ragazzo; non si punisce un ladruncolo, perché è solo un ladruncolo; non si dà torto a una donna, perché non sarebbe cavalleresco; non si denuncia una zingarella, perché è solo una bambina; non si riprende un alunno pigro e svogliato, se portatore di un sia pure lievissimo handicap (mai riprendere un disabile, sarebbe disumano; anche se la disabilità non è grave e anche se sapeva benissimo di fare una una cosa sbagliata); non si discute col collega villano perché, si sa, gli manca un po’ di sale in zucca e quindi sarebbe inutile, anzi crudele. Sempre casi meritevoli d’indulgenza, sempre persone che vanno capite, che non bisogna umiliare. Ma era questa la vera ragione della nostra acquiescenza, della nostra indulgenza? Forse sì, forse no; forse eravamo nella zona grigia dove difficilmente si possono separare le buone dalle cattive ragioni. Il buonismo adora queste situazioni ambigue, scivolose, per introdurre la cattiva pianta del permissivismo, sotto mentite spoglie e addirittura simulando nobili e disinteressate intenzioni. Così, certe categorie hanno sempre ragione e chi si trova alle prese con esse ha sempre torto, se per caso pretende di far valere verità e giustizia. Perché la verità, con loro, deve saper chiudere un occhio, e la giustizia deve saper essere comprensiva. Sarebbe ingiusto, ad esempio, far valere la giustizia a favore di un ricco contro il povero: perché il povero ha sempre ragione, proprio per il fatto di essere povero, e il ricco ha sempre torto, appunto perché è ricco. E se una famiglia di poveri occupa abusivamente l’appartamento di un ricco, è giusto lasciare quei poveretti con un tetto sopra la testa: l’altro, il ricco, può andarsene altrove, perché ha il portafogli ben fornito, almeno in confronto ad essi, che risorse non ne hanno d’alcun tipo. Anche se magari le cose non stanno come sembrano, anche se magari quei "poveri" sono perfino più benestanti di quel "ricco: e anche se la verità è che essi non hanno alcuna voglia di guadagnarsi da vivere con un lavoro onesto, ma preferiscono vivere a scrocco degli altri, di quelli che sono così stupidi da farsi sfruttare, magari lasciandosi impietosire dalle apparenze. Non bisognava fare sconti all’ingrosso alle persone che rientrano in certe categorie: è sbagliato; non serve a nulla, se non a incoraggiarle a fare le vittime e avanzare sempre nuove pretese.
Ora il Parlamento sta per varare una legge che punisce l’omofobia come un crimine d’odio, e ci vien detto che il suo scopo è tutelare le persone omosessuali da ogni discriminazione. Ma davvero quelle persone sono oggetto di discriminazione, in Italia? Due presidenti di regione, Nichi Vendola per la Puglia e Rosario Crocetta per la Sicilia, sono stati eletti dai loro concittadini, benché omosessuali dichiarati; il primo, sposato ad un uomo, è andato anche all’estero ad acquistare un bambino con la pratica dell’utero in affitto. Si è forse scatenata una campagna di stampa contro di lui, lo hanno messo alla gogna? Niente affatto: c’è stato solo un civile confronto di opinioni; ma i mass-media, nel complesso, hanno fatto buon viso. Dov’è la discriminazione, dov’è il pregiudizio? E parliamo di regioni meridionali, ove si presuppone che la mentalità della gente sia più chiusa e più arretrata che al Nord. E allora, davvero c’era bisogno di una legge apposita? Perché già ora un reato commesso contro un omosessuale, o contro una donna, viene punto con raddoppiata severità, rispetto allo stesso reato commesso ai danni di una persona non rientrate in una categoria protetta. A Napoli, dei ragazzi sono stati condannati a dieci anni di galera per aver aggredito un gay. Dieci anni, in Italia, a stento si danno a chi si macchia d’un assassinio volontario. E in queste condizioni, c’era bisogno d’una legge ancor più severa per tutelare i diritti degli omosessuali? In realtà, sappiamo benissimo a cosa mira la legge Zan-Scalfarotto: a chiudere la bocca alla gente, a impedire l’espressione del pensiero, a rieducare le coscienze col metodo carcerario. Mira a impedire che qualcuno passa mai dire che la famiglia naturale è formata da un uomo, una donna e dei bambini, non acquistati, ma nati dal loro reciproco amore. Cioè mira a impedire che si possa dire la verità, e ad instaurare per legge il suo contrario, la menzogna.
A questo ci ha condotti il cedimento iniziale, l’aver taciuto o l’aver negato la verità su piccola scala, pensando che il sacrificio del vero fosse un passaggio necessario per dare un risarcimento alle minoranze, per placare i nostri (ingiustificati) sensi di colpa che qualcuno alimenta ad arte, senza posa; e anche per quieto vivere, di fronte a delle minoranze aggressive. Come si poteva denunciare un minorenne sorpreso a rubare? Come si poteva esser severi con un bambino meno fortunato di nostro figlio? Come si poteva e si può pretendere il rispetto delle nostre leggi da un povero profugo, che ha rischiato di annegare in mare e chissà quante ne ha passate prima di arrivare qui? E come si poteva e si può cavillare sui numeri, contestare la cifra dei Sei Milioni, davanti alla sofferenza così grande patita da un popolo? La verità, tuttavia, è una signora molto esigente e decisamente gelosa. Se la si tradisce anche una volta sola, se ne va e non si fa più vedere. E chi l’ha rinnegata sarà costretto a una seconda, una terza, una quarta bugia, e così via, sempre più frequenti e sempre più grandi. Fino a non poter dire che il destino dell’uomo è la donna, e il destino della donna è l’uomo…
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