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Il Gesù di Bergoglio? Un banale maestro New Age

Su Gesù Cristo il signor Bergoglio ne ha sparate parecchie, alcune semplicemente blasfeme, come quando ha detto che fa un po’ lo scemo (apertura del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma, San Giovanni in Laterano, 16 giugno 2016), oppure apostatiche e sacrileghe, come quando ha confidato all’amico Eugenio Scalfari di non credere che Gesù fosse Dio (su La Repubblica del 9 ottobre 2019), con queste precise parole:

Chi ha avuto, come a me [Scalfari ] è capitato più volte, la fortuna d’incontrarlo [Bergoglio] e di parlargli con la massima confidenza culturale, sa che papa Francesco concepisce il Cristo come Gesù di Nazareth, uomo, non Dio incarnato. Una volta incarnato. Gesù cessa di essere un Dio e diventa fino alla sua morte sulla croce un uomo [e in tal caso, come avrebbe potuto vincere la morte e risorgere dalla tomba, primizia di ogni resurrezione futura?].

Tuttavia, anche se lasciamo da parte i discorsi più o meno improvvisati, e le interviste più o meno attendibili, e ci limitiamo a considerare i testi strettamente ufficiali, quelli che, in teoria, dovrebbero essere Magistero con la "m" maiuscola, possiamo capire veramente cosa pensa davvero il signor Bergoglio di Gesù Cristo. Allora infatti non si può invocare né un problema di traduzione (nel caso dell’espressione fa un po’ lo scemo, sul testo pubblicato nel sito vaticano essa diventa fa il finto tonto; ma ci sono le registrazioni a testimoniare quel che aveva detto di fronte a un uditorio sbigottito), né una versione poco fedele riportata dal suo interlocutore (come nel caso dell’intervista a Scalfari, goffamente e penosamente smentita dall’agenzia vaticana e dal solerte quotidiano dei vescovi bergogliani, L’Avvenire). Andiamo perciò a leggerci l’enciclica Laudato si’ del 24 maggio 2015, giorno di Pentecoste e terzo anno del suo "pontificato", dedicata interamente, come recita il sottotitolo, alla cura della casa comune, che non è la Chiesa, come qualche ingenuo e sorpassato cattolico potrebbe immaginare, bensì il pianeta terra, colto proprio nelle sue problematiche di carattere strettamente fisico, antropico, climatico e ambientale. Dopo aver sproloquiato a lungo sulle questioni specificamente ecologiche, Bergoglio, dopo un centinaio di paragrafi nei quali si esprime da perfetto naturalista, si ricorda di Gesù Cristo e gli dedica una sezione, nella quale, fra le altre cose, afferma (§§ 97-98):

 97. Il Signore poteva invitare gli altri ad essere attenti alla bellezza che c’è nel mondo, perché Egli stesso era in contatto continuo con la natura e le prestava un’attenzione piena di affetto e di stupore. Quando percorreva ogni angolo della sua terra, si fermava a contemplare la bellezza seminata dal Padre suo, e invitava i discepoli a cogliere nelle cose un messaggio divino: «Alzate i vostri occhi e guardate i campi, che già biondeggiano per la mietitura» (Gv 4,35). «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero» (Mt 13,31-32).

98. Gesù viveva una piena armonia con la creazione, e gli altri ne rimanevano stupiti: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?» (Mt 8,27). Non appariva come un asceta separato dal mondo o nemico delle cose piacevoli della vita. Riferendosi a sé stesso affermava: «E’ venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: "Ecco, è un mangione e un beone"» (Mt 11,19). Era distante dalle filosofie che disprezzavano il corpo, la materia e le realtà di questo mondo. Tuttavia, questi dualismi malsani hanno avuto un notevole influsso su alcuni pensatori cristiani nel corso della storia e hanno deformato il Vangelo. Gesù lavorava con le sue mani, prendendo contatto quotidiano con la materia creata da Dio per darle forma con la sua abilità di artigiano. E’ degno di nota il fatto che la maggior parte della sua vita è stata dedicata a questo impegno, in un’esistenza semplice che non suscitava alcuna ammirazione: «Non è costui il falegname, il figlio di Maria?» (Mc 6,3). Così ha santificato il lavoro e gli ha conferito un peculiare valore per la nostra maturazione. San Giovanni Paolo II insegnava che «sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l’uomo collabora in qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità».

Dopo aver introdotto un Gesù che sta a metà strada fra quello di Ernest Renan, prete spretato e passato al protestantesimo, che non credeva né ai miracoli, né alla divinità di Cristo, ma in compenso delineava un profeta assai romantico, sullo sfondo delle dolci colline e dell’azzurro lago di Galilea, e quello di Franco Zeffirelli, che in una famosa miniserie televisiva ha impresso nell’immaginario collettivo il volto mite e ascetico di Robert Powell, Bergoglio passa a presentarci un Gesù che invita i suoi discepoli a saziare i sensi coi colori e i profumi del soave paesaggio mediterraneo, un profilo di Cristo dalle tinte calde e dalle tonalità sospirose che evocano un anacronistico New Age. Si consideri la frase: viveva una piena armonia con la creazione, e gli altri ne rimanevano stupiti. Ma davvero stiamo parlando Gesù Cristo e non di Osho, o di Ramtha, o magari del Dalai Lama? L’espressione una piena armonia con la creazione fra pensare che Gesù aderisse alle cose della natura, che vi si abbandonasse, come il pesce nell’acqua, o il cavallo sul prato. Un Gesù un po’ panista, nel senso del panismo dannunziano; un po’ naturista, un po’ immanentista, insomma un uomo che si cala nell’orizzonte del qui e ora, che gode delle cose così come sono, che contempla le spighe al tramonto o che annusa il profumo dei fiori quasi fondendosi in essi; e che fa stupire la gente per tale capacità d’intima adesione. «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?», si chiedono gli altri, stupiti. Però, un momento. L’episodio della tempesta sedata, a nostro modesto avviso, c’entra poco o niente con il vivere in piena armonia con la natura. Tutto al contrario: esso dimostra che Gesù era Dio, e che il divino Figlio imponeva il suo volere alle forze della natura, quando queste mettevano in pericolo la vita dei suoi discepoli. Un miracolo, infatti — lo notava già il deista e anticattolico Voltaire — è, in buona sostanza, null’altro che una sospensione delle leggi di natura. Le leggi di natura vogliono che quando una tempesta si alza su un lago, le onde non si placano finché non cala il vento; e il vento non cala fino a quando lo scontro delle correnti d’aria calde e fredde, che ha determinato lo scatenarsi della tempesta, non ha terminato il suo ciclo, naturale appunto. Ma Gesù interviene: leva la mano e comanda alle acque, e la tempesta di placa all’istante. Ciò che provano i discepoli, che già si vedevano in procinto di annegare, non è lo stupore di vedere Gesù che viveva una piena armonia con la creazione, ma al contrario, lo stupore di vedere che Gesù comandava alle forze della natura. C’è una bella differenza fra le due cose: anzi sono praticamente l’opposto. Che cosa non torna nella lettura che fa Bergoglio? Il fatto che la natura, come la presenta lui, sembra una cosa sempre buona, sempre amica, sempre pacifica: come se anch’essa non fosse stata ferita dalla Caduta. Per la teologia cristiana, la natura non è buona così com’è: era buona, ma prima del Peccato Originale; poi, come l’uomo del resto, è diventata imperfetta, e quindi fonte di sofferenza. Malattia, vecchiaia e morte fanno parte della natura; ma l’uomo non era destinato ad esse, al contrario, era stato destinato da Dio a una vita gloriosa, immortale. Se la natura fosse tanto buona che basta aderire ad essa sempre e comunque, i discepoli su quella barca non avrebbero dovuto svegliare Gesù, avrebbero dovuto lasciarsi morire. Gesù, in realtà, sarebbe intervenuto ugualmente: il suo sonno non era affatto un sonno di distrazione o di oblio: Egli era sempre Dio, anche quando, come uomo, era fisicamente stanco, così stanco da addormentarsi su una scomoda barca in balia delle onde. Essi però lo credevano semplicemente addormentato, o magari indifferente alla morte: Maestro, non t’importa che moriamo? Ma naturalmente Gesù non dormiva nel senso puramente umano della parola, appunto perché non era semplicemente umano; ed ecco con quali parole si rivolse agli elementi, ma il Vangelo di Marco dice proprio che sgridò il vento e disse al mare: Taci, calmati! Ecco dunque che il blando maestro New Age, che vive in perfetta armonia con la natura, alza la voce contro di essa e le impartisce ordini, con sovrana autorità: grida Taci, calmati!, come si farebbe con un ragazzo irrequieto, che ha bisogno d’una buona lezione. Perché Gesù Cristo non è un uomo che viveva in piena armonia con la creazione, ma era ed è il Re dell’Universo, Colui senza il quale il mondo non esisterebbe, perché il mondo è stato fatto per mezzo di Lui. Altrimenti, se la natura fosse già bella e buona, che sarebbe venuto a fare, incarnandosi? Se visse semplicemente in armonia con la natura, ciò avrebbe significato che la natura, per Lui, era norma suprema del vivere; dunque, che era, ed è, perfetta in se stessa. E in tal caso, che bisogno ci sarebbe della Redenzione? Se la natura è perfetta, anche gli istinti sono buoni, tutti quanti: e allora, che senso avrebbe la lotta del cristiano contro il male? Che senso avrebbe parlare di grazia e di peccato? Basta essere in armonia con la natura, e ogni cosa va al suo posto. Semplice, no?

Era distante dalle filosofie che disprezzavano il corpo, la materia e le realtà di questo mondo, dice Bergoglio; e aggiunge, per soprammercato: Non appariva come un asceta separato dal mondo; e poi la stoccata finale: questi dualismi malsani hanno avuto un notevole influsso su alcuni pensatori cristiani nel corso della storia e hanno deformato il Vangelo. Ci sembra di avere le traveggole; ma è scritto proprio così? Rileggiamo queste righe: sì, è scritto proprio così. Ma Bergoglio ha mai letto il Vangelo di Giovanni? La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie (3,19). Il mondo, dunque, non è tutto rose e fiori; il mondo è capace di rifiutare Cristo, di rifiutare la Sua luce, perché nel mondo ci sono anche le tenebre. Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto (Gv. 15,1-2). I tralci che non portano frutto vengono strappati e gettati nel fuoco, a bruciare. Dunque non tutto nella natura è buono; bisogna fare una selezione: ciò che è buono va coltivato, ciò che è cattivo va distrutto. Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo! (16,33). Il mondo, dunque, è il luogo della prova, il luogo delle tribolazioni; è la condizione che deve essere vinta, sconfiggendo le tentazioni, prima delle quali è la tentazione di non far nulla, di non impegnarsi, di non lottare. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi (17,9). Gesù si rifiuta di pregare il Padre suo per il mondo! Gesù non prega per tutti, non salva tutti, non redime tutti, ma solo quelli che vogliono esser salvati e redenti. E dunque il mondo non è tutto buono, né la natura, che è la base fisica e istintuale del mondo, è tutta buona. Gesù per primo si è sottoposto alla prova, è andato nel deserto e ha permesso al Diavolo di tentarlo: ma ha vinto la prova e sconfitto il Diavolo.

Benissimo: ma questo, obietteranno i difensori di Bergoglio, è il Vangelo più mistico, e anche un po’ gnostico, un po’ esseno, l’unico dei quattro nel quale si parli del mondo a questo modo; e il solo nel quale si possa cogliere un certo disprezzo per il corpo, la materia e le realtà di questo mondo. Non è affatto vero, naturalmente; ed è profondamente sbagliato contrapporre il quarto Vangelo ai tre sinottici. Pure, facciamo finta che qualcosa di vero ci sia, per amore d’ipotesi, anche se assurda. E allora ecco Marco, 11, 12-21, e Matteo, 21,18-20, con la maledizione del fico sterile: citiamo dal primo, più ricco di particolari, compreso quello che non era la stagione dei fichi:

La mattina seguente, mentre uscivano da Betania, ebbe fame. E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi. E gli disse: «Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti». E i discepoli l’udirono. (…) La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici. Allora Pietro, ricordatosi, gli disse: «Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è seccato».

Questo dunque è quel Gesù che Bergoglio descrive come vivente in piena armonia con la creazione e che non appariva come un asceta separato dal mondo o nemico delle cose piacevoli della vita. Eh già. Resta solo da capire cosa ci facesse, appeso alla Croce, un Gesù tanto amico del mondo e a suo agio nella natura. C’era forse finito per sbaglio? Se era così amico del mondo, perché il mondo non ha voluto accoglierlo, come oggi accoglie Bergoglio con plausi e complimenti? E se era tanto a suo agio nella natura perché ha maledetto il fico, colpevole di non portare frutti fuori della sua stagione?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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