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Se vogliono la guerra civile, sono sulla strada giusta

Le parole sono pietre e non bisogna mai adoperarle con leggerezza. In questo caso, però, quel che è successo a Lizzano in provincia di Taranto il 14 luglio scorso, sembra aver tutte le caratteristiche per giustificare l’affermazione del titolo di questo articolo: Se è la guerra civile che vogliono, sono sulla strada giusta. Anche se, per fortuna ovviamente, non è scorsa neppure una goccia di sangue, anzi non c’è stato neppure un graffio al dito o un occhio nero ai danni di alcuno. Però gli ingredienti della guerra civile: l’odio viscerale, ideologico; la sfida, la provocazione; l’intervento a gamba tesa della pubblica autorità, in questo caso del primo cittadino (nel lessico politicamente coretto: della prima cittadina) non per mettere pace, ma per aizzare gli animi; addirittura l’esortazione alle forze di sicurezza a scendere in campo contro dei cittadini pacifici, talmente pacifici che se ne stavano in chiesa a pregare, mentre gli energumeni erano fuori: ebbene questi ingredienti micidiali c’erano tutti, e a innescarli, come sempre, era proprio quella parte politica che da anni sta conducendo una campagna moralizzatrice, per non dire ultrapuritana, per condannare i cosiddetti crimini d’odio. Lasciando tuttavia vedere, una volta di più, che l’odio a quei signori dà fastidio solo se è altro da quello che essi nutrono per tutti quanti non la pensano come loro; meglio ancora, se essi nel loro furore giacobino scambiano per odio la legittima espressione di un pensiero diverso o, addirittura, di un diverso sentire.

I fatti sono molto semplici e, in se stessi, quasi banali. Un gruppo di fedeli aveva chiesto e ottenuto dal parroco della chiesa di San Nicola, don Giuseppe Zito, di potersi riunire in chiesa a pregare per la famiglia naturale, minacciata da un’iniziativa legislativa — il decreto di legge Zan-Scalfarotto, prossimo all’approvazione in Senato — che metterà il bavaglio a chiunque osi dire che la famiglia naturale è quella formata da un uomo e una donna con dei bambini, e aprirà la strada a una contro-educazione sessuale nelle scuole, basata sull’ideologia gender e sulla pubblicità del transessualismo. Apriti cielo! L’orribile notizia è subito giunta agli orecchi dei locali attivisti LGBT, i quali si sono precipitati alla parrocchia di San Nicola, hanno circondato l’edificio con le loro bandiere arcobaleno e si sono spinti fino al porticato, affiggendo sulla bacheca dei manifesti recanti scritte come questa: Perché ci volete discriminare, voi che vi dite seguaci di Gesù Cristo? Si è così creata una situazione di disagio e di tensione, coi fedeli assediati da quelle persone ben decise a insegnare loro cosa è veramente il cattolicesimo e cosa ha veramente detto Gesù Cristo in materia di morale sessuale. Il parroco, temendo il peggio, ha telefonato ai carabinieri: i quali sono arrivati, hanno preso atto della situazione e, com’era loro dovere, hanno chiesto agli attivisti LGBT di identificarsi, tanto più che la loro manifestazione non era stata autorizzata. A quel punto però è piombata sul luogo del fattaccio il sindaco Antonietta D’Oria, che con fare arrogante e quasi oltraggioso ha chiesto al comandante dei carabinieri con quale diritto prendeva il nome degli astanti, invitandolo semmai a farsi dare le generalità degli altri: di quelli, cioè, che dentro la chiesa stavano recitando il Rosario. Il tutto con aria da padrona che si crede in diritto di dare ordini anche alle forze dell’ordine, e insegnar loro il mestiere, come i suoi amici LGBT si sentivano autorizzati a insegnare ai cattolici che cosa è il Vangelo e per quali ragioni è lecito pregare, e per quali non lo è. Questo, il fatto. La signora in questione, non soddisfatta della propria performance, ha voluto poi far sentire la sua voce anche per mezzo dei social e ha ripreso e rilanciato la posta, deprecando il comportamento di quei cattolici; mentre il parroco si è limitato a ribadire che la veglia di preghiera non era diretta contro qualcuno e tanto meno era intesa a discriminare qualcuno, ma era semplicemente a difesa della famiglia naturale. Perché, nell’Italia del governo Conte Bis e della pseudo-chiesa del signor Bergoglio, i cattolici, se vogliono riunirsi per recitare il Rosario, devono anzitutto giustificarsi e dare ampie assicurazioni di non essere omofobi, bifobi, transfobi ecc. ecc.

Dicevamo che ci sono tutti gli ingredienti per una prossima guerra civile, basta immaginare che fatti del genere abbiano per sfondo non un piccolo paese di provincia, ma l’intera comunità nazionale. In primo luogo c’è l’intolleranza di coloro che da sempre invocano la tolleranza per se stessi, ma ci vedono rosso se qualcuno osa manifestare opinioni diverse: non esiste infatti una più becera intolleranza di quella progressista, specialmente in questa fase storica, allorché tutti i simpatizzanti e militanti della ex sinistra, prodigiosamente convertiti in fautori appassionati del globalismo finanziario di spoliazione e di manipolazione totale, ritengono il solo fatto che esistano delle isole non ancora toccate dai fulgidi raggi del Nuovo Ordine Mondiali come un insulto e una sfida. La guerra civile, del resto, i progressisti ce l’hanno nel sangue: per loro è il normale prolungamento dell’idea di progresso, che svolge le funzioni di un credo religioso. Dunque, battersi per il Progresso è un imperativo categorico, si potrebbe dire kantiano (Kant, non a caso il massimo esponente della filosofia illuminista): Tu devi perché devi, e non domandare altro. Nel 1936, in Spagna, il loro slogan era: Oggi qui, domani in Italia: la guerra civile del 1943-45 l’avevano già in mente da sette o otto anni prima che cominciasse, anzi da prima ancora, da quando avevano perso la prima mano nel 1919-21, e sognavano la vendetta e la rivincita. E come nel 1943-45 non è che abbiano vinto la guerra civile da essi, e non dal fascismo, caldamente voluta, attesa, preparata, ma semplicemente si sono trovati dalla parte dei vincitori/invasori stranieri, i quali hanno lasciato loro una settimana d’impunità, a fine aprile 1945, per regolare tutti i loro conti in sospeso, e sfogare tutto l’odio belluino dal quale erano animati, così anche adesso i loro legittimi eredi della "sinistra" globalista e arcobaleno non avrebbero alcuna speranza di poter imporre le loro "riforme", come la legge Zan-Scalfarotto, se non potessero contare sul sostegno pieno e incondizionato dei poteri forti globali, grazie ai quali sono arrivati imporre un governo non eletto, e che non intendono mollare la presa, anche a costo d’inventarsi un’emergenza sanitaria da prolungare sino alla fine dell’anno, in modo da giustificare l’occupazione del potere a tempo indeterminato.

Sono quasi sempre i progressisti a incominciare le guerre civili: quella della Vandea, nel 1793; quella di Secessione americana, nel 1861-65; quella che va sotto il nome di Rivoluzione messicana, negli anni ’10 e ’20 del Novecento, ivi compresa la sanguinosa repressione dei Cristeros; e quella che va sotto il nome di Rivoluzione culturale cinese, nel 1966-76, la quale fu ben poco culturale ma in compenso provocò, forse — ma le cifre esatte non le sapremo mai — qualcosa come sette milioni di morti. E anche la guerra civile spagnola, forse la più nota di tutte, si crede generalmente che sia stata scatenata dai reazionari: mentre l’insurrezione militare fu, di fatto, una risposta alla rivoluzione diffusa che le sinistre avevano già scatenato nel Paese, invadendo le terre e massacrando religiosi e altri "nemici del popolo". Anche in questo caso, come in tutti gli altri, la cultura dominante si è impadronita del fatto e lo ha raccontato a suo piacere, senza possibilità di contraddittorio, riservando ai progressisti la parte migliore e lasciando il ruolo dei criminali a quelli che si opponevano loro. Ed è logico che sia così: l’ideologia del Progresso è di per se stessa rivoluzionaria, perché si contrappone alla Tradizione; mentre le guerre civili liberano un enorme potenziale rivoluzionario, che prima era compresso e per così dire allo stato latente. I conservatori non hanno ragioni di scatenare una guerra civile, i progressisti ne hanno sempre parecchie, più o meno rivestite di nobili pretesti, come la liberazione dei negri americani dalla schiavitù. Anche il Risorgimento italiano è stato un processo storico di tipo rivoluzionario, e infatti dietro le quinte era mosso dalle logge massoniche di Londra e, in subordine, di Torino. Distruggere il Regno di Napoli, colpire al cuore lo Stato della Chiesa e, attraverso di esso, scardinare l’influenza del cattolicesimo sul popolo italiano, erano atti rivoluzionari, peraltro già sperimentati in varie parti del mondo, in particolare nelle colonie spagnole del Sud e del Centro America; e prima ancora nelle Tredici Colonie inglesi del Nord America. Senza contare che con ciò si spianava la strada, nell’un caso e nell’altro, di là e di qua dall’Atlantico, alla diffusione del sistema imperiale britannico e alla penetrazione del capitale britannico sui mercati nazionali in formazione. Non è un caso che, subito dopo la nascita del (massonico) regno d’Italia, sotto la (massonica) dinastia dei Savoia, oltre a una immediata politica di espropriazioni e soppressioni anticattoliche e ad una guerra civile non dichiarata da parte dello Stato unitario contro i contadini (cattolici) del Sud, e declassata a semplice "brigantaggio", sia iniziata l’emigrazione di massa del popolo italiano verso i cinque continenti: era lo scotto che la nazione italiana ha dovuto pagare ai poteri forti che hanno favorito la nascita del nuovo Stato, con la concorrenza insostenibile dei prodotti agricoli americani, specialmente del grano, frutto di un’agricoltura già industrializzata, a quelli nostrani, frutto di un’agricoltura di tipo pre-industriale.

Dunque, le condizioni perché scoppi una guerra civile esistono già da anni, e il governo Conte Bis le ha solo portate al grado estremo, esasperando e invelenendo gli animi oltre il limite dell’umana sopportazione. Il tutto con una spaventosa crisi economica che avanza rapidamente, scatenata dalle scellerate restrizioni pseudo sanitarie imposte in questi mesi, ma in realtà preparata da anni di cattiva amministrazione, di mostruosa rapacità fiscale, di lentezza burocratica, di ritardo tecnologico e di malfunzionamento della giustizia (niente giustizia, niente investimenti produttivi, specie di capitali esteri), e con lo spettacolo oltraggioso, indecente, insopportabile, di migliaia e migliaia di sbarchi d’immigrati/invasori clandestini, molti dei quali portatori di quello stesso Covid-19 a causa del quale si sono imposte tali e tante limitazioni agli onesti cittadini, sbarchi favoriti in tutti i modi dai poteri globalisti nazionali e internazionali, a cominciare dalla contro-chiesa del falso papa e del suo falso clero. Quel falso clero che non spende una parola per i cattolici di Lizzano, come non l’ha mai spesa per i cattolici ovunque, ma specialmente in Italia, oltraggiati, denigrati, offesi, ma che è pieno di riguardi, sino all’affettazione, per gli immigrati/invasori: come quel cardinale Zuppi che, oltre a fare sfacciatamente campagna elettorale per il Partito Democratico, propone di invitare gli islamici bolognesi alla festa del Santo patrono sostituendo la carne di maiale di tortelli con carne di manzo o magari con carne halal, perché questa è l’idea d’integrazione e d’inclusione che hanno costoro: la rinuncia delle proprie tradizioni da parte degli italiani, la loro auto-mortificazione per non "offendere" le tradizioni altrui. E intanto, come ringraziamento per tutte le moschee e i centri culturali islamici aperti ovunque in Italia e in Europa, che tutti sanno essere in realtà delle moschee, in non poche delle quali si coltivano i bacilli del terrorismo islamico, e per ringraziare il falso papa che ha firmato l’eretica dichiarazione di Abu Dhabi, credendo di aver placato e tacitato l’invadenza e l’insolenza islamica, Erdogan decide di destinare nuovamente a moschea l’ex basilica di Santa Sofia a Istanbul, conquistata e profanata dai turchi nel 1453. Ma quello che più colpisce, in una vicenda solo in apparenza irrilevante come quella di Lizzano, è l’atteggiamento del primo cittadino, il quale per definizione dovrebbe considerarsi, come tutti i sindaci d’Italia, il difensore dei legittimi interessi di tutti i suoi concittadini, indipendentemente dal loro orientamento politico e da come si sono regolati nel segreto dell’urna. Dovrebbe essere un fatto addirittura ovvio e scontato che un sindaco non viene eletto per parteggiare e per cappeggiare una fazione di cittadini contro un’altra fazione, tanto più se la parte a lui vicina ha palesemente torto, mentre la parte a lui estranea non sta recando offesa o disturbo ad alcuno, ma sta solo esercitando la sua sacrosanta libertà di professare la propria fede religiosa. E se già è scandaloso che un sindaco, invece di metter pace, getti benzina sul fuoco fra i suoi concittadini in una situazione di tensione, è semplicemente inaccettabile che mostri di considerare le forze dell’ordine come strumento del proprio potere, e prenda di apostrofare gli uomini in uniforme come se fossero suoi dipendenti, o come se mal guadagnassero il loro stipendio allorché agiscono in modo non conforme alle sue opinioni politiche e ideologiche. Infatti i carabinieri di Lizzano avrebbero agito bene se avessero chiesto i nomi e preso le generalità dei cittadini che stavano recitando il Rosario dentro la chiesa, evidentemente facendovi irruzione, come si è visto fare durante il lockdown ai danni di un prete che aveva osato celebrare la santa Messa per una dozzina di fedeli scarsi (e col sindaco che gli telefonava, ricordate?, pretendendo d’interromperlo nel bel mezzo della sacra funzione), mentre hanno agito male chiedendo le generalità ai manifestanti LGBT giunti per intimidire e stigmatizzare il contegno "intollerante" di quel gruppo di preghiera. Una cosa sola resta da dire: che il popolo italiano, da molto tempo, sta mostrando un’immensa pazienza nei confronti delle continue angherie e provocazioni della minoranza progressista la quale, non si sa come, riesce sempre a stare al governo, contro la volontà della maggioranza degli italiani. La pazienza, però, non è infinita, e la corda è tesa quasi al punto di rottura. O al governo lo ignorano, e sono degli imbecilli o lo sanno, e allora cercano la guerra civile.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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