Perché in Italia non c’è né c’è mai stata l’opposizione
5 Luglio 2020
A chi rivolgersi, ora che tutto sta franando?
7 Luglio 2020
Perché in Italia non c’è né c’è mai stata l’opposizione
5 Luglio 2020
A chi rivolgersi, ora che tutto sta franando?
7 Luglio 2020
Mostra tutto

Eppure la bellezza salverà il mondo

La bellezza salverà il mondo. La frase pronunciata dal principe Myškin ne L’Idiota, il personaggio in cui Dostoevskij ha voluto rappresentare il tipo umano più simile a Gesù Cristo che si possa incontrare nella vita d’ogni giorno in questo mondo moderno, fatto d’illusioni e di fango, dovrebbe essere custodita in fondo ai nostri cuori stanchi e amareggiati e ripetuta incessantemente, specie quando lo sconforto si fa sentire con maggiore gravezza, perché in essa è la chiave della nostra salvezza e del riscatto finale. Il volto della bellezza, unito al volto di Dio: perché Dio è Bellezza, e dove c’è Dio, c’è la bellezza, e dove c’è la vera bellezza lì c’è anche Dio. Il problema è saper riconoscere la vera bellezza: perché non si tratta di una competenza tecnica, non è qualcosa che si acquisisca con la laurea in storia dell’arte, ma che ha strettamente a che fare con l’anima. Quando l’anima è assetata di verità è assetata pure di bellezza: le due cose vanno insieme, sono inseparabili. Chi cerca la verità cerca la bellezza, e chi cerca la bellezza cerca la verità: ed entrambi stanno cercando Dio, che lo sappiano o che non lo sappiano. Del resto, che importa se non lo sanno? È Lui che lo sa, perché è Lui che ci viene a cercare, da sempre; ma se noi non abbiamo alcuna nostalgia né della verità, né della bellezza, non potremo trovarlo, perché Lui non si fa trovare da chi non lo vuole trovare ma solo da chi lo sta cercando, consapevolmente o inconsapevolmente. In questo secondo caso, nella sua infinita sapienza Egli ci conduce per mano lungo le vie più impensate per condurci là dove alla fine ogni cuore puro, ogni anima bene intenzionata finisce per arrivare, sempre e infallibilmente: al cospetto di Lui. O per essere più precisi, a vederlo e riconoscerlo, poiché Egli è sempre stato davanti a noi, anzi è davanti a tutte le sue creature, ma chi non lo vuol vedere, chi lo nega, chi lo rifiuta, non lo vedrà mai e poi mai.

Ci è toccato di vivere in un momento storico tremendo. Una gentile lettrice osserva che siamo costretti a vivere in una fogna. Brutale, ma vero. E aggiunge: questa è l’ora della nostra Passione, è il nostro Venerdì Santo. Vero anche questo. Ma diciamo la verità: non l’avevamo sempre saputo che il mondo è questo? E che alla fine i nodi vengono al pettine e ciascuno è costretto a fare la sua scelta, perché non si possono servire due padroni? Non l’avevamo sempre saputo che se non si è per Lui, si è contro di Lui, e se si vive secondo la carne, come piace al mondo, si è figli del mondo, di questo mondo di tenebre il cui Principe sta stringendo i tempi, sapendo che la sua ora si avvicina; mentre se si vuol essere con Lui bisogna vivere secondo lo spirito, e in tal modo dispiacere al mondo? Non l’avevamo sempre saputo, perché è Gesù stesso a ricordarcelo, che bisogna santificare la propria vita, ed essere perfetti, come perfetto è il Padre nostro nei Cieli? Ora, chi si sforza di essere perfetto, chi cerca di santificare la propria vita, è inviso al mondo, e il mondo lo odia, perché riconosce in lui un suo nemico: perciò abbiamo sempre saputo anche che per piacere a Dio bisogna soffrire le persecuzioni. Ecco: se dovessimo indicare un elemento fra tutti (e sono tanti!) che meglio d’ogni altro evidenzia in che cosa il Concilio Vaticano II ha segnato un vero e proprio tradimento nei confronti del Vangelo di Gesù Cristo, indicheremmo proprio questo: ha voluto dare a intendere ai fedeli che si possono servire due padroni; che si può andare d’accordo con Dio e col mondo; che non c’è alcuna contraddizione di fondo e anzi, addirittura, che il buon cristiano è colui che dialoga col mondo, che ne accetta la prospettiva, che scende a continui compromessi con esso, in nome di valori ingannevoli come la pace e la fratellanza: laddove nessuna vera pace è possibile se ci s’inchina al Principe del mondo, e nessuna fratellanza si realizza se non quella che riceverà il suggello della dannazione eterna. E a questa falsa dottrina siamo stati portati per gradi, con l’astuzia e la frode, e con la falsa liturgia d’una falsa riforma che ha tolto o annacquato tutti i riferimenti alla trascendenza, alla spiritualità, all’assolutezza di Dio. Gli orrori presenti, il papa che bestemmia, il clero che buffoneggia e loda il peccato, il culto degli idoli intronizzati nelle chiese, non sono che il logico punto d’arrivo di questa deliberata inversione.

E dunque, la Bellezza. Ma non la bellezza nella sua dimensione puramente formale, tecnica ed estetica; non la bellezza di una perfezione tutta esteriore, fatta di linee, di forme, di colori, di suoni; non la bellezza di corpi senz’anima, di una materia celebrata in se stessa: no, non questa. I corpi invecchiano e muoiono, la materia è destinata a dissolversi e chi si aggrappa a queste cose, chi le celebra fine a se stesse, è destinato a perire, così come esse periscono; per dire meglio: è destinato a vivere morendo, a vivere la vita come un’unica agonia. Ma noi siamo stato fatti per la vita, non per la morte; e il nostro Dio è un Dio di vita e non di morte. Perciò non dobbiamo aggrapparci alle cose che moriranno, ma dobbiamo vedere nelle cose la dimensione spirituale ed eterna, che non morirà mai, perché è quella che ci accompagna verso Dio. La bellezza che salva è quella dello spirito e non quella della carne: come dice il Maestro, è lo spirito che dà la vita, mentre la carne non giova a nulla. Ma è inevitabile che gli uomini carnali cerchino la bellezza carnale, e gli uomini spirituali, la bellezza spirituale. Attraverso la bellezza spirituale, è Dio stesso che ci parla e suggerisce ai nostri cuori Parole di Vita eterna; attraverso la bellezza carnale, è il Principe del mondo che ci lusinga e si sforza di sedurci. La bellezza della carne è appariscente, ma ingannevole: chi se ne lascia irretire disprezza le pietre preziose per andare a raccogliere le ghiande in mezzo al fango, ridotto egli stesso al livello di un maiale. Essa fa appello alle nostre debolezze ed esalta i nostri vizi: non illumina, non riscalda, non alleggerisce, non porta la pace, ma ci sprofonda sempre di più nella palude della concupiscenza. Il mondo moderno ha talmente celebrato, diffuso, imposto gli idoli della bellezza carnale, da aver quasi eclissato perfino il ricordo della bellezza spirituale, la Bellezza vera, non soggetta alle passioni né votata alla corruzione, ma sempre integra, fresca, giovane nella sua innocenza. E dunque nostra cura sarà quella di rientrare in noi stessi, sottrarci all’assedio della falsa bellezza carnale, che è una delle maggiori cause della nostra deriva e della nostra infelicità, e di riscoprire la bellezza dello spirito, iniziando dalle cose più semplici nella vita d’ogni giorno. Perché la legge è questa: per vedere la luce, bisogna espellere da sé le tenebre; chi vive immerso nella dimensione carnale, non vedrà le cose dello spirito; e chi brama unicamente la bellezza grossolana che solletica i sensi e accende le passioni, non potrà mai riconoscere la vera bellezza, che rischiara l’intelletto, riscalda e purifica il cuore e dona la pace dello spirito.

Ma dove si può trovare la bellezza, in quest’epoca dominata dalla bruttezza, dalla deformità, dal grottesco, e come farne l’ancora di salvezza per la propria anima contro lo spietato processo di ottundimento, appiattimento, desensibilizzazione cui tutti siamo esposti, ogni giorno, senza neppure rendercene conto? Prima di tutto è necessario espellere la bruttezza dalle proprie abitudini di vita. Se ci si porta dietro, perfino durante un’escursione in montagna, le cuffie per ascoltare musica rock duro; se si lascia acceso il televisore tutto il giorno, perfino quando non c’è nessuno nella stanza, permettendo alle voci e ai suoni volgari e demenziali della pubblicità di raggiungere il nostro udito e scivolare come serpi velenose nel nostro inconscio; se si dedica il proprio tempo libero a guardare film violenti, grondanti sangue, o a leggere fumetti dell’orrore, popolati da vampiri e lupi mannari, o ancora se s’indulge nella pornografia, comunque essa venga chiamata (magari "arte moderna") e ci si abitua a vedere nel corpo umano null’altro che una macchina atta a suscitare emozioni violente e a risvegliare istinti brutali, allora è ben certo che la vera bellezza non ci si rivelerà mai, perché per vederla bisogna avere lo sguardo puro e l’anima trasparente. La seconda cosa da fare è ricominciare a guardarsi intorno per scorgere non le cose secondarie, frivole, inutili, ma le cose essenziali. Può darsi che in un enorme centro commerciale, vero tempio della diabolica religione chiamata consumismo, la sola cosa che meriti attenzioni, perché la sola veramente bella, non si trova nella merce costosa esposta nelle vetrine scintillanti o negli abiti alla moda sfoggiati dalla gente, ma nel povero fiore di campo sbocciato nel parcheggio, perforando l’asfalto e aprendosi la strada in cerca di luce e calore; oppure nel tramonto fiammeggiante che incendia il cielo a occidente, quando usciamo carichi di pacchi e di pacchetti, e per un attimo, mentre cerchiamo in tasca le chiavi dell’automobile, andiamo quasi a sbattere davanti a uno splendore così mozzafiato, da non trovar neanche le parole per esprimere la struggente emozione che di colpo ci divampa nel profondo.

E tuttavia non bisogna fermarsi alla sola bellezza; bisogna servirsene come d’un trampolino per compiere un ulteriore balzo in avanti — e verso l’alto. Chi si ferma alla bellezza è un esteta, vive di emozioni e si lega al transeunte: prima o poi diviene schiavo di quello stesso immanentismo che è l’anticamera del materialismo. Kierkegaard ha mostrato che non c’è continuità, ma rottura fra la vita estetica e la vita etica, e poi fra la vita etica e quella religiosa; e nondimeno, ha mostrato anche che esiste una relazione dialettica fra esse, e che bisogna passare per l’una per poter accedere all’altra. E i mistici ortodossi hanno mostrato che attraverso la contemplazione e la meditazione della bellezza di un’icona si può giungere alla contemplazione di Dio, perché, come già aveva mostrato Platone, la bellezza sensibile non è che una scala che conduce alla bellezza invisibile, quella che è sciolta dal tempo e dallo spazio, dalle forme e dalle proporzioni, perché è fatta d’una sostanza puramente spirituale. Nei monaci del Monte Athos vi è un riflesso della filosofia platonica, così come nei romanzi di Dostoevskij vi è un riflesso della spiritualità del Monte Athos: infatti quando cerchiamo il Bello e il Vero, Dio stesso, che è somma Verità e suprema Bellezza, ci prende per mano e ci conduce alla visione di Sé, per strade ora semplici ora complesse, che noi non sapremmo spiegare ma che infallibilmente portano alla meta. E noi, cittadini del mondo che non apparteniamo al mondo, che ci troviamo nel mondo solo in pellegrinaggio, allo scopo di oltrepassarlo, abbiamo fame e sete di eternità, non di carnalità: perché la carne uccide, ma lo spirito vivifica. Proveremo ora a dare un’idea di come si possa trovare la bellezza nelle piccole e piccolissime cose e come sia possibile farsene un trampolino per guadagnare quei cieli di speranza dei quali abbiamo tanto bisogno in quest’ora così difficile, in questo Venerdì Santo della nostra esistenza terrena, nel quale, per dirne solo una, agli orrori estetici e morali di un Gay Pride, nel quale si sbeffeggiano Gesù Cristo e la Vergine Santissima, si uniscono gli orrori ideologici e giuridici di una legislazione che presto vieterà di criticare e protestare e costringerà le persone a dire che tali orrori sono la cosa più bella e più civile che si possa desiderare al mondo.

Innamorati sino in fondo all’anima della nostra città, da ragazzi ci piaceva immensamente percorrerne le vie in lungo e in largo, osservare palazzi e balconi, prendere nota delle rogge, delle aiole, delle essenze arboree piantate lungo i viali, insomma di tutto, con la stessa soddisfazione con cui un uomo profondamente innamorato della sua patria si alza al mattino e contempla il cielo, respira l’aria, osserva la cerchia azzurra dei monti e ringrazia Dio per averlo fatto nascere proprio in quel paese, e in nessun altro luogo. Perfino l’anello di circonvallazione, col suo traffico intenso di veicoli leggeri e pesanti, col suo rumore, coi suoi edifici non belli e privi di ogni attrattiva, nessuna vetrina ma solo qualche bar o qualche edicola di giornali, perfino quella passeggiata ci era assai gradita, perché in ogni palazzo, in ogni finestra, in ogni comignolo sentivamo l’aria familiare di una città che per noi era unica al mondo, e con la quale nessun’altra, neanche la più fastosa e celebrata, avrebbe mai potuto competere. Un giorno stavamo percorrendo il lato ovest della circonvallazione, un doppio viale accompagnato nel mezzo dal canale Ledra, che scorre incassato entro un alveo profondo, tra due sponde ombreggiate da altissimi alberi, alcuni secolari, platani, bagolari, ippocastani, abeti, cedri dell’Himalaya, che uniscono il verde delle loro fronde a quello dei giardini privati che si affaccia da dietro i muretti. Ed ecco, quasi all’inizio del percorso, all’incrocio di una traversa, alzando lo sguardo all’altezza del primo piano, abbiamo scorto, sulla facciata di una palazzina degli anni ’30 (che lo studioso Maurizio Buora definisce "tipico esempio di architettura razionalistica" di quel periodo) un bassorilievo rettangolare in pietra bianca raffigurante la Regina Celeste (sì, proprio regina, cari preti modernisti e caro papa massone) con in braccio suo Figlio, entrambi incoronati, e Gesù nel gesto di benedire, mentre nell’altro mano tiene il globo terrestre. Dunque il sentimento religioso era ancora così forte tra la nostra gente, anche in piena modernità, che qualcuno nel farsi costruire la casa si ricordava di dedicare uno spazio simbolico a Dio. E proseguendo il cammino, circa un chilometro più avanti, in vista ormai della ciminiera della Birreria Dormisch e della torre di Porta Villalta, un altro bassorilievo in pietra, in stile rinascimentale, sopra una mensola nella facciata d’un palazzetto del primo ‘900, sempre con la Madonna e Gesù Bambino in braccio. Quella duplice scoperta gettò una vivida luce di bellezza e di pace nel nostro animo, come se Dio si fosse chinato a benedire quella città ove c’erano anime pie che non si scordavano di Lui e della sua Vergine Madre, ma che ponevano le proprie case e le proprie famiglie sotto la loro ineffabile protezione. Così quella passeggiata acquistò un sapore nuovo: e tornammo a casa più lieti.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.