I naturali e implacabili nemici dei cristiani: gli ebrei
3 Luglio 2020Perché in Italia non c’è né c’è mai stata l’opposizione
5 Luglio 2020Cesare Lombroso (1835-1909) era convinto che criminali si nasce, e che i segni della devianza criminale sono inscritti in maniera indelebile nelle caratteristiche fisiche di certi individui; era convinto che le persone criminali sono fisicamente, oltre che psichicamente, differenti dalle persone normali, per cui è possibile riconoscerle solo osservando il loro aspetto e specialmente i tratti del volto; e che l’ambiente, l’educazione, ecc., esercitano, sì, un ruolo nel determinare l’orientamento di vita, ma in misura assai minore delle tendenze ereditarie. Questa naturalmente è una semplificazione del suo pensiero, che oltretutto si estende a svariati campi del sapere, dalla filosofia al diritto; e nondimeno è una sintesi abbastanza fedele, crediamo, del nucleo della sua teoria più importante, per cui è ricordato ancor oggi come il padre della moderna criminologia. Del resto, anche se non si condividono né le premesse (l’ereditarietà) né le conclusioni (la sostanziale immodificabilità) del suo pensiero, che risentono pesantemente del clima positivistico in cui egli visse, bisogna riconoscere che in esse vi è molto di quel buon senso elementare con cui i nostri nonni soppesavano a lungo con lo sguardo una persona con la quale dovevano entrare in rapporti, per poter farsene un’idea e formulare un giudizio, che poi difficilmente risultava sbagliato. Prima di stipulare una transazione d’affari, per esempio, o, meglio ancora, prima di acconsentire che un certo giovanotto frequentasse la loro figlia, dichiarando sin dall’inizio la serietà delle sue intenzioni, i nostri nonni lo guardavano negli occhi, osservavano il suo volto, prendevano nota della luce che vi aleggiava, della limpidezza degli occhi, della capacità di sostenere lo sguardo, della sincerità complessiva del suo atteggiamento, poi decidevamo come regolarsi. Non facevano mai entrare qualcuno in casa loro ad occhi chiusi; non si sarebbero mai associati in affari con la prima persona incontrata, né senza averne prima considerato attentamente sia l’aspetto che il modo di fare. E volete sapere una cosa? Il fatto è che ben di rado s’ingannavano. Raramente quell’affare si rivelava sbagliato per colpa del socio; raramente quel fidanzamento si rivelava sbagliato per colpa del futuro genero. No: i nostri nonni non sbagliavano, perché il loro sguardo possedeva la capacità di penetrazione che viene da una vita coerente, saggia, ponderata, e dalla lunga abitudine ad osservare bene uomini e cose prima di maturare una qualunque decisione; salvo poi, quando la decisione è presa, perseverare decisi per quella strada, senza ripensamenti, sino in fondo.
Tutto questo ha a che fare col senso comune: con quello che i nostri nonni chiamavamo buon senso e che davano per scontato, senza bisogno di fare dei ragionamenti e tanto meno delle dimostrazioni. Ed è per questo che i nostri nonni, qualche volta, restavano perplessi davanti alle parole e ai comportamenti dei loro nipoti. Loro avevano fatto la terza o al massimo la quinta elementare, però avevano lavorato, avevano messo su casa e famiglia, avevano creato dal nulla una piccola impresa, un negozio, un bar, e avevano perfino messo da pare dei risparmi, il tutto passando per un paio di guerre mondiali nonché una guerra civile, durante le quali non si erano imboscati, ma avevano combattuto, avevano rischiato la vita per la Patria e ne avevano viste e passate di tutti i colori, magari tornando a casa dalla Russia o dall’Africa per trovare la casa distrutta dai bombardamenti aerei. La vita, dunque, la conoscevamo; quella vera, quella che lascia i calli sulle mani. I nipoti non avevano mai sofferto la fame, o il freddo, o la paura delle bombe, né dovuto sottoporsi a grossi sacrifici; né avevano mai visto la guerra, se non al cinema, o le alluvioni, se non nei documentari televisivi; né avevano conosciuto la dura vita dell’emigrante, vent’anni in Svizzera o nelle miniere dl Belgio per poi costruirsi la casetta al paese natio. Però avevano in tasca il diploma di liceo classico, e sapevano tradurre dal greco e dal latino, e avevano sempre in tasca i soldi di papà per togliersi i capricci del fine settimana, benché la loro settimana non avesse avuto niente a che fare con la calce e i mattoni, o col piccone e la miniera, e neppure con la stalla e il vigneto, e perciò le loro bianche e delicate manine fossero morbide e lisce come quelle d’un poppante. Ebbene accadeva che i nipoti, ossia quelli della nostra generazione, dicessero e facessero cose che lasciavano i nonni a bocca aperta: non per l’ammirazione, ma proprio per lo stupore, quasi per l’incredulità. E adesso sappiamo cosa passava per la testa dei nostri poveri nonni; ora lo sappiamo con la stessa chiarezza che se potessimo leggere i loro pensieri: Ma dopo aver studiato tanto e aver imparato tante cose difficili, possibile che mio nipote dica queste cose, o faccia queste azioni, come se fosse un bambino di tre anni? Possibile che non abbia neanche un filo del più elementare buon senso? E scuotevano la testa, e non dicevano niente, perché, modesti com’erano, pensavano anche: Mah, chissà; forse sono io che mi sbaglio; forse siamo noi vecchi a non capire il mondo moderno, che è fatto dai giovani e per i giovani! Poveri nonni: com’era eccessiva la loro modestia; come avrebbero dovuto applicare anche agli amati nipoti, invece, la loro innata e saggia abitudine alla schietta osservazione e al sano buon senso. Avrebbero visto subito che se non capivano quel che dicevano e facevano i nipoti, era perché non c’era niente da capire: stupidità e superficialità si possono solo osservare, si può e si deve prenderne atto, ma in esse non c’è nulla da comprendere.
Oggi c’è una scuola filosofica che avrebbe dato pienamente ragione al modo di pensare e di essere dei nostri nonni, e avrebbe mostrato con piena evidenza tutto il velleitarismo e l’inconsistenza delle idee e dei comportamenti di noi nipoti: quella del senso comune. Fondata da Antonio Livi (1938-2020), rappresentata dalla I.S.C.A. (International Science and Commonense Association), dotata di un organo di stampa, la rivista Sensus communis, è stata vivaio di vivaci pensatori che hanno conservato ben chiara, in quest’epoca di nichilismo e di relativismo, l’idea della direzione che il pensiero deve tenere per restare ancorato alla realtà e non smarrirsi nei deliri solipsistici del criticismo, dell’idealismo, del neo-idealismo, dell’esistenzialismo, del pensiero debole e di quello semi-debole, cripto-debole, debolissimo, ecc. Riportiamo la definizione di senso comune alla voce Antonio Livi di Wikipedia:
«Senso comune» è il termine utilizzato da Livi in chiave anti-cartesiana per individuare le certezze naturali e incontrovertibili possedute da ogni uomo. Non si tratta di una facoltà o di strutture cognitive a priori, ma di un sistema organico di certezze universali e necessarie che derivano dall’esperienza immediata e sono la condizione di possibilità di ogni ulteriore certezza. Livi ha per primo precisato quali siano queste certezze e ha provato con il metodo della presupposizione che esse sono in effetti il fondamento della conoscenza umana. Il senso comune comprende dunque l’evidenza dell’esistenza del mondo come insieme di enti in movimento; l’evidenza dell’io, come soggetto che si coglie nell’atto di conoscere il mondo; l’evidenza di altri come propri simili; l’evidenza di una legge morale che regola i rapporti di libertà e responsabilità tra i soggetti; l’evidenza di Dio come fondamento razionale della realtà, prima causa e ultimo fine, conosciuto nella sua esistenza indubitabile grazie a una inferenza immediata e spontanea, la quale lascia però inattingibile il mistero della sua essenza, che è la Trascendenza in senso proprio. Queste certezze sono a fondamento di un sistema di logica aletica su base olistica.
E adesso torniamo a Lombroso. Se qualcuno non riuscisse a vede il collegamento, lo spiegheremo in termini ancor più chiari: Lombroso sosteneva che il carattere (criminale) di una persona è scritto chiaramente sui tratti del suo volto e del suo corpo; i nostri nonni, pieni di sano buon senso, sapevano valutare a fondo una persona sconosciuta, solo guardandola negli occhi e osservandola attentamente; Antonio Livi si è fatto paladino di un ritorno del pensiero al solco della ragione naturale, fatta di evidenza delle cose e di fiducia nel proprio sapere immediato (anche senza bisogno di possedere un diploma di liceo classico e una laurea in sociologia o psicologia o filosofia). Ebbene da queste premesse sosteniamo che è giusto tornare a quella conoscenza che ci viene non dai libri, né dalle teorie astratte e più o meno cervellotiche, ma dalla sana ragione naturale unita alla chiara percezione della realtà: ed è chiara quella percezione che non è alterata da sistemi di vita sbagliati, dall’uso di droghe e superalcolici, dall’ascolto abituale di musiche assordanti e destabilizzanti per il sistema nervoso, dall’auto-eccitazione sensuale continua e compulsiva, da ritmi biologici invertiti, scambiando la notte per il giorno e viceversa, e naturalmente da una ragione non sottomessa a tutti i capricci dei sensi, e una volontà abbastanza forte e padrona di sé da imporre all’io la direzione da tenere, in luogo delle passioni disordinate. E la più disordinata è senza dubbio quella che meglio riflette lo smarrimento della ragione naturale, e che più di tutte offende Dio, signore di un mondo ordinato e costruito amorevolmente: la pratica dell’inversione sessuale, la quale si oppone diabolicamente al progetto divino che ha fatto la donna per l’uomo e l’uomo per la donna, allo scopo di creare la famiglia naturale. Come scrive san Paolo (Rm. 1, 24-28):
Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli.
Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; infatti, le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in se stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento. E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne…
Alla luce di questa riflessione, proviamo ora a giudicare il volto e l’aspetto di alcuni noti esponenti del clero cattolico i quali si sono fatti apertamente banditori di una vita moralmente disordinata, di un atteggiamento di superba auto-affermazione dell’uomo, e in particolare di un riconoscimento, sia esso pieno o tacito, del vizio contro natura. Immaginiamo di non sapere chi sono; immaginiamo d’incontrarli per la prima volta e di dover decidere fra noi e noi, sulla base del puro buon senso, se sono persone affidabili, serie, oneste, trasparenti, come una volta si faceva quando si doveva entrare in rapporti d’affari con qualcuno, o concedere a un uomo il diritto di frequentare la propria figlia. Immaginiamo d’incontrare un uomo col volto del cardinale Joseph William Tobin, arcivescovo metropolita di Newark, il quale ha autorizzato il terzo incontro annuale chiamato"Messa dell’orgoglio LGBT" che si è svolto il 28 giugno nella chiesa della Madonna delle Grazie a Hoboken, New Jersey. Cosa leggiamo in quella faccia? Procuratevi una sua foto e osservatela con un minimo d’attenzione: cosa leggete in quegli occhi, in quelle labbra, in quel riso? Non vi troverete neppure un’ombra di spiritualità, come ci si aspetterebbe in un pastore della Chiesa, ma solo uno spirito grossolano e un sensualità greve, quasi animalesca, che trabocca da ogni sguardo, da ogni gesto. Ora procuratevi una foto di padre Rick Walsh, paolista, parroco della chiesa di San Paolo a New York (paolista! San Paolo!; e come la mettiamo con la Lettera ai Romani?), gay dichiarato che ha fatto della sua parrocchia, da anni, un attivo centro di propaganda omosessuale, il quale ha affermato che Gesù Cristo è lesbico, gay, bisessuale, transgender e queer; che era una donna, e nera; che noi che siamo LGBT viviamo in Cristo e siamo Cristo; e che il 25 giugno ha celebrato la Messa dell’Orgoglio Gay nella sua chiesa. Queste sono le cose che si sanno di lui, dopo aver navigato in internet: ma immaginate di non sapere nulla, guardate la sua faccia e dite: è un volto sereno, giusto, pacato, equilibrato, come un fedele cattolico è in diritto di aspettarsi da un ministro di Cristo? Non che sia santo: che sia una persona normale; una persona con la quale si potrebbe parlare un poco, andare al bar, scambiare delle opinioni. Oppure, se aveste bisogno di un consiglio su una delicata questione morale, vi rivolgereste con fiducia a un uomo che ha la faccia del cardinale Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca, il quale l’anno scorso ha dichiarato che è giusto dare la benedizione alle coppie omosessuali? Non è terribilmente simile, nei tratti, a quella — Dio ci perdoni — di un suino, ben nutrito e ingrassato? Ora guardate le facce dei nostri campioni della fede: i Paglia, i Bassetti, i don Biancalani, i don (ex don) Costalunga, quello che si è sposato con un uomo, ma che avrebbe voluto restare prete, perché convinto che nulla, nella sua condizione, contasti col servizio divino. Guardate i loro volti: lo diciamo senza alcuna intenzione offensiva. Cosa vedete? Sono volti che v’ispirano fiducia, davanti ai quali aprireste i segreti della vostra anima? Infine, Bergoglio: guardate il suo viso, gli occhi, lo sguardo: sinceramente, cosa ci vedete? Vi trasmettono la pace di Cristo? O non vi scorgete, piuttosto, il diabolico scintillio del suo Nemico?
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