C’è un attacco alla nostra civiltà e ai nostri popoli?
2 Luglio 2020Torniamo a Lombroso
4 Luglio 2020Crediamo che ben pochi, oggi, ricordino il nome di un sacerdote, missionario del Sacro Cuore di Gesù: padre Cesare Gallina, autore a suo tempo, di un certo numero di libri di carattere apologetico. Uno almeno però fra quei libri, dovrebbero essere in molti a conoscerlo, La Bibbia per il bambino, stampato dalla casa editrice Salani di Firenze nel 1934, poiché ebbe larghissima diffusione per alcuni decenni e contribuì alla formazione cristiana di moltissimi ragazzini della Prima Comunione fin verso la fine degli anni ’70. Fra gli altri titoli, ce n’è uno, I martiri cristiani dei primi secoli, nel quale si può leggere questa pagina (Firenze, Salani, 1940, pp. 53-56),
Tutti i popoli di conquista potevano seguire la propria religione la quale spesso trovava posto tra le molte altre già professate nella capitale, ma erano obbligati a praticare anche i riti del culto romano. Non c’era festa, solennità, ufficio o carica che non esigesse qualche cerimonia idolatrica. Impossibile dunque che il seguace di una religione assoluta, trascendentale e nemica degli idoli come la cristiana, si piegasse a rinnegare le incrollabili convinzioni della sua coscienza partecipando, sia pure soltanto con gli atteggiamenti esteriori, alla venerazione degli di falsi e bugiardi.
Ed ecco i Cristiani si distinsero subito e nettamente dai cultori della altre religioni. Soltanto da principio poterono essere considerati come affini ai Giudei, venuti anch’essi dall’Oriente e adoratori di un unico vero Dio, ma ben presto non fu più possibile confonderli. Non entravamo nei templi pagani, non assistevano ai sacrifici e all’offerta delle vittime, non curavano le divinità dell’impero, e sebbene rispettassero le leggi e onorassero i sovrani, rifuggivano dal prestare loro un culto equiparato a quello divino. Per non macchiare la loro anima di idolatria e per amore di una vita dedicata allo spirito, invece di ambire alle cariche e alle magistrature, preferivano rimanere nell’oscurità e quasi dimenticato. Nessuno sfarzo, nessuna frenesia di piaceri nelle loro abitudini: puri di costumi e incensurabili nell’osservanza della giustizia, fraternizzavano con gli schiavi, largivano i loro beni ai poveri e, cosa strana e contraria al naturale istinto, si rallegravamo delle tribolazioni e specialmente quando dovevano patire per la gloria del loro divino Maestro e Signore.
Ma più strano ancora appariva agli occhi dei pagani il fatto della morte di Gesù Cristo in croce. Grande stoltezza era ammettere l’esistenza di un Dio crocifisso E d’altra parte non potevamo tollerare che un simile Dio si dimostrasse poi così orgoglioso ed esclusivo da vietare qualunque culto verso le divinità dell’impero. Ora per tutte queste ragioni è facile comprendere che i segaci della nuova religione dovevano essere oggetto di derisione e di disprezzo da parte delle perone colte e dei plebei. Andavano a gara nel denominarli coi titoli più volgari ed offensivi. Li chiamavano atei, empi, superstiziosi, fattucchieri, idioti, ebeti, rozzi, insensati, inetti, disperati, testardi, miserabili e simili. Li accusavano di essere contrari alla società e nemici delle istituzioni dello Stato, anzi del genere umano E le calunnie si moltiplicavano rapidamente. Vi dava appiglio e occasione non solo il singolare loro genere di vita, ma soffiavano nel vortice della fantasia popolare le denunzie degli schiavi che non capivamo nulla delle pratiche spirituali dei loro padroni; gli oziosi sempre amanti del ridicolo, e i maligni che basavano i loro motti satirici su vecchie leggende del Vecchio Testamento; e, non ultimi, gli implacabili e naturali nemici dei Cristiani, gli Ebrei.
… gli implacabili e naturali nemici dei Cristiani, gli Ebrei: è sufficiente una frase come questa per poter datare con sicurezza il testo di cui fa parte. Non vi è il minimo dubbio che si tratta di un’opera scritta prima del Concilio Vaticano II: infatti, nessun autore cattolico, specialmente se membro del clero, avrebbe mai più scritto una simile affermazione, per quanto storicamente inoppugnabile, dopo il 1965. Provare per credere: sfidiamo chiunque sia capace di trovare espresso un concetto analogo in un qualsiasi testo cattolico posteriore al Concilio. Prova all’incontrario: sfidiamo chiunque a non trovare affermazioni analoghe in qualsiasi testo anteriore al Concilio. Come dire che prima del Concilio questa era la posizione della Chiesa, relativamente a una questione storiografica e non teologica, cioè tale da poter essere discussa, indipendentemente dalla fede, su un terreno di per sé neutro, quello della verità fattuale, con i normali strumenti della ricerca e della riflessione critica; dopo il Concilio diventa un argomento tabù, non viene più neppure nominato, come se non esistesse né fosse mai esistito. Non solo: perfino la questione storica del processo e della condanna a morte di Gesù subisce una drastica revisione: prima era cosa perfettamente normale, seguendo peraltro la narrazione dei Vangeli, affermare che a volere fortissimamente la morte di Gesù Cristo fu il Sinedrio di Gerusalemme; che furono le guardie del Tempio ad arrestarlo, per trascinarlo davanti al tribunale del Sommo Sacerdote ove fu condannato; e che furono gli anziani del popolo a pretendere da un riluttante Ponzio Pilato la ratifica della sentenza di morte già emessa, per la sola ragione che ai romani esclusivamente spettava la decisione in fatto di sentenze capitali. Ma poi anche questa semplice verità è stata oscurata, manomessa, travisata: no, la colpa era tutta e solo dei romani: anche se basta aver letto i Vangeli per sapere che i romani non si erano mai interessati alla predicazione di Gesù Cristo, non avevano mai interferito con essa, anzi un centurione romano si era rivolto a lui per chiedere una grazia particolare, mostrando la massima fede nei suoi confronti; e anche se durante il processo Pilato le provò tutte per sottrarre il condannato alla pena captale, fra l’altro dicendo ai sacerdoti: Prendetelo e condannatelo voi: io non trovo alcuna colpa in quest’uomo. Ma no, perfino i Vangeli diventavano fonte d’imbarazzo, nel clima postconciliare, dopo gli scambi di squisite cortesie fra il cardinale Augustin Beha (ebreo) e i rabbini intervenuti al Concilio, ufficialmente in qualità di ospiti e di osservatori, in realtà quali latori del testo della Nostra Aetate, già redatto per conto del B’nai B’rith, e che i padri conciliari si sarebbero limitati ad approvare e ratificare, suggellando così una svolta definitiva nella vita della Chiesa. Da quel momento gli ebrei erano e dovevano restare unicamente i nostri fratelli maggiori, seguaci di una religione molto simile, "abramitica" anch’essa, al punto che quasi quasi non si capiva bene perché mai un ebreo avrebbe dovuto convertirsi al cristianesimo, come avevano fatto il rabbino capo di Roma, Eugenio Zolli, o la martire carmelitana Edith Stein, visto che restando ebrei erano già nel solco della Promessa divina e quindi meritevoli della salvezza tanto quanto i seguaci di Gesù Cristo. Di quel Gesù che la religione dei fratelli maggiori aveva voluto crocifisso, a qualsiasi costo, e che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli (Mt 27,25), com’essi avevano detto a Pilato, nell’atto di prender su di sé tutta la responsabilità per l’esecuzione della sentenza di morte.
Che cosa era successo, dunque, per rendere possibile un così stupefacente mutamento, una vera e propria inversione di rotta? Che cosa aveva trasformato i "perfidi giudei", per la cui conversione era giusto levare preghiere a Dio, nei "fratelli maggiori" senza macchia, anzi ingiustamente perseguitati dai cristiani per così lungo tratto di tempo? Come mai ci si scordava di colpo che erano stati gli ebrei a soffiare sul fuoco delle persecuzioni anticristiane, ad esempio l’ebrea Poppea nel caso della persecuzione di Nerone, per non parlare delle stragi di cristiani compiute in Palestina all’epoca della conquista sassanide? C’era stato l’Olocausto: aggravato, dal punto di vista ebraico, dai colpevoli "silenzi" di Pio XII. E poco importa se la Chiesa cattolica, con la sorte degli ebrei durante gli anni del nazismo, non c’entrava assolutamente nulla; e meno ancora se Pio XII era stato l’uomo che, in Europa e nel mondo, si era adoperato più di tutti sul terreno pratico per salvare la vita a migliaia e migliaia di ebrei perseguitati. Restava, per la Chiesa e per tutti i cattolici collettivamente, la colpa incancellabile di essere stati animati, per secoli e secoli, da sentimento antisemiti, e quindi di aver preparato il terreno, sia pure inconsapevolmente, alla "soluzione finale" del XX secolo. Da queste accuse traspariva chiaramente la malizia di chi le formulava, apertamente o implicitamente, nonché il livore di chi poteva cogliere finalmente l’agognata occasione per rovesciare i ruoli fra vittima e carnefice, e indossare una volta per sempre il comodo ruolo di vittima, moralmente abilitata a chiedere e ottenere le scuse, l’auto-flagellazione e l’auto-colpevolizzazione di tutti gli altri. Infatti veniva operata una deliberata confusione fa l’antigiudaismo cristiano, che è un fatto religioso e si spiega perfettamente sul terreno teologico e dottrinale, e l’antisemitismo, che è un fatto politico e razziale: poiché la Chiesa ha sempre avuto, e del tutto a ragione, un atteggiamento antigiudaico, mai però antisemita: tant’è vero che i papi, nel Medioevo, avevano spesso difeso gli ebrei dalle violenze della folla, senza contare che quando un ebreo si convertiva diventava un cristiano a tutti gli effetti e nessuno mai si sognava di rinfacciargli le sue origini giudaiche (con la sola eccezione della Spagna degli Asburgo, dove però esistevano altre dinamiche e dove la questione assumeva una coloritura politica più che religiosa). Una voluta confusione che ha consentito agli esponenti più aggressivi del mondo giudaico di esercitare un vero e proprio protettorato sulla Chiesa cattolica: valga per tutti il caso della beatificazione del padre Léon Dehon, il fondatore dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, già stabilita per il 2005. Essa fu bloccata a tempo indefinito per la "scoperta" di alcuni vecchi scritti del santo sacerdote che vennero spacciati per antisemiti, mentre erano semplicemente antigiudaici o di semplice denuncia di certi comportamenti finanziari degli ebrei nell’Europa fra le due guerre mondiali. Già la scelta del termine Olocausto, del resto, per indicare il dramma degli ebrei nei campi di concentramento nazisti, aveva e ha una fortissima valenza religiosa: l’olocausto è una offerta volontaria fatta a Dio, cosa che storicamente non si può dire di quanti finirono ad Auschwitz e negli altri campi nazisti; una operazione mirante a porre una nuova religione laica, la Religione dell’Olocausto (ovvero dei Sei Milioni) al si sopra della religione di Cristo, i cui seguaci avevano permesso quella tragedia, o non vi si erano opposti, oppure avevano "taciuto" (come appunto Pio XII) e quindi avevano contratto verso la nuova religione un debito morale inestinguibile. Si noti, infatti, che solo nel cristianesimo c’è l’idea che il debito contratto dagli uomini nei confronti di Dio per il male commesso, e da ultimo la stesa crocifissione del suo Figlio, alla fine viene estinto e rimesso, e ciò proprio mediante il sangue del Figlio; nell’ebraismo invece vige tuttora l’idea della vendetta, occhio per occhio e dente per dente, e ciò vale anche per il Dio degli ebrei, un Dio senza misericordia nei confronti dei non ebrei. E qui bisogna subito aggiungere che sbagliano quei cristiani che vedono negli ebrei dei fratelli maggiori in quanto figli dello stesso libro, la Bibbia; il vero libro degli ebrei, da almeno dieci secoli a questa parte, non è l’Antico Testamento, ma il Talmud: e il Talmud è, più ancora del Corano, una religione fondata sull’odio implacabile nei confronti di Gesù Cristo (che nel Corano non c’è) e dei suoi seguaci, verso i quali vengono scagliate preghiere di maledizione quotidiane e che i maestri talmudici non considerano neppure uomini, ma alla stregua di bestiame. E se queste affermazioni sembrassero esagerate, ricordiamo che tutt’oggi, in Israele, esistono libri di testo per le scuole, compilati da rabbini zelanti di stretta osservanza talmudica, nei quali si insegna ai bambini che i non ebrei sono bestiame, e che c’è una maggior distanza fra l’ebreo e il non ebreo, che fra quest’ultimo e l’animale. Ma queste cose i padri conciliari finsero di non saperle: al contrario, finsero di credere che, avendo in comune con gli ebrei il Vecchio Testamento, fra cristiani ed ebrei non ci sono poi delle così grandi differenze (e pazienza se resta il piccolo dettaglio della morte in croce di Gesù, voluta pervicacemente e ostinatamente dai capi della religione ebraica). Questo fu il più grave tradimento operato dal Concilio nei confronti di Gesù Cristo: quello che avrebbe portato con sé, inevitabilmente, tutti gli altri tradimenti e le altre infedeltà, fino all’aperto smantellamento sotto l’attuale (falso) pontificato, con la promozione di un Gesù Cristo gay, queeer, lesbica, transessuale, ecc., secondo i deliri di alcuni "sacerdoti" cattolici e di alcune riviste teologiche che passano per blasonate (ad esempio Concilium, un cui numero monografico, lo scorso anno, è stato interamente dedicato a questa orrida e sacrilega tematica). Perché la legge è questa: se si tace davanti al male, verrà poi dell’altro male, in una spirale senza fine; e quanti cattolici, sacerdoti, vescovi sono colpevoli d’aver taciuto davanti al male del Concilio! Per capire cosa esso sia stato in realtà, basterebbe questo solo aspetto (ma ce ne sono molti altri): la falsificazione e la strumentalizzazione deliberata dei rapporti fra cristianesimo e giudaismo, che ha gettato sulle spalle della Chiesa il peso di un debito inestinguibile. Solo i cristiani, ripetiamo, conoscono il concetto del perdono, perché lo ha insegnato Gesù Cristo: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!; gli altri, specie gli ebrei, non lo conoscono. Per loro un debito va riscosso sempre e comunque. E un debito inestinguibile è come una cambiale in bianco permanente…
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