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Cari cattolici, ma lo capite cosa fa il Parlamento?

Il Parlamento italiano si accinge ad approvare una legge contro la discriminazione verso le persone dalla sessualità "diversa", siamo anzi alle battute finale di un iter iniziato due anni fa, e vale la pena di chiedersi quale impatto essa avrà sulla società, sulla scuola, sulla famiglia, su tutte le relazioni interpersonali, ma soprattutto sul quadro complessivo culturale, morale, religioso che si verrà a delineare dopo che sarà entrata in vigore. Ma cosa dice, esattamente, la legge Zan-Scalfarotto, che prevede pene fino ad alcuni anni di prigione, lavori sociali obbligatori (magari presso qualche associazione LGBT), limitazioni sociali molto pesanti, come il ritiro del passaporto, nonché salatissime sanzioni pecuniarie? Per farcene un’idea, andiamo a leggere il testo del disegno di legge, presentato il 4 luglio 2018 in ordine "al contrasto dell’omofobia e della transfobia" (riportiamo per brevità soli i paragrafi iniziali):

ONOREVOLI COLLEGHI! La presente proposta di legge è volta a estendere alle discriminazioni fondate sull’omofobia e la transfobia le sanzioni penali introdotte dall’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654 (cosiddetta Legge Reale, poi modificata dal decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205 — cosiddetta legge Mancino), che ha reso esecutiva la convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, fatta a New York il 7 marzo 1966, da ultimo trasposte negli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale. L’intenzione è quella di equiparare le manifestazioni di odio fondate sull’omofobia e sulla transfobia a quelle, già riconosciute e punite dal nostro ordinamento, fondate su motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o rivolte contro gli appartenenti alle minoranze linguistiche. In questo modo si potrà finalmente rimuovere l’irrazionale differenza che esiste nel nostro Paese, per esempio, tra l’apporre uno striscione gravemente razzista in uno stadio — il che può, almeno in teoria, configurare una condotta antigiuridica — e l’apporre il medesimo striscione, riportante le medesime parole di dileggio, nei confronti delle persone omosessuali. In questo caso, fino ad oggi, non di reato si tratta, ma di semplice espressione del pensiero, poiché la legge penale non prevede che l’omofobia sia una forma d’odio perseguita dalla legge e posto che in una democrazia, in uno Stato di diritto, tutto ciò che non è vietato è e deve essere permesso. Senza una legge contro l’omofobia e la transfobia, nemmeno l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD) istituito dalle forze di polizia si è dichiarato in grado di tenere una contabilità delle aggressioni, dei pestaggi, delle violenze contro gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. Non c’è una legge che qualifichi questi come reati d’odio e non ci sono dunque nemmeno i numeri e la possibilità di monitorare il fenomeno. La presente proposta di legge riproduce il testo unificato che era stato approvato alla Camera dei deputati nella XVII legislatura e che in seguito è stato sottoposto all’esame del Senato, ma non approvato definitivamente. Esso era stato concepito come risposta ormai indifferibile alla terribile scia di episodi di omofobia e transfobia che hanno funestato il nostro Paese negli ultimi anni. Già allora, più di cinque anni fa, appariva infatti ineludibile il dovere affrontare un problema che da tempo le associazioni a tutela delle persone lesbiche, omosessuali, bisessuali, transessuali e transgenere (LGBTI) denunciano. L’omofobia e la transfobia sono fenomeni non affatto nuovi, ma l’eco mediatica di quanto è accaduto e del crescendo di violenza discriminatoria e basata sull’odio a cui si è dovuto assistere ha destato l’attenzione sociale e della classe politica. Nella violenza e nella discriminazione di stampo omofobico e transfobico, la peculiarità dell’orientamento sessuale della vittima, ossia l’essere omosessuale oppure l’essere transessuale (così come l’essere donna, per fare un esempio, nella violenza sessuale contro queste ultime), non è neutrale rispetto al reato, del quale costituisce il fondamento, la motivazione e, in senso tecnico, il movente, né è neutrale rispetto ad essi l’autore del reato stesso, che si trova in uno stato soggettivo di disprezzo o di odio nei riguardi della vittima.

Benissimo; abbiamo capito. Si propone un’estensione della Legge Mancino contro le discriminazioni razziali, etniche, nazionali, religiose, fino ad includere fra i "reati d’odio" tutte le cosiddette discriminazioni nei confronti degli omosessuali, transessuali, ecc.: cioè, in apparenza, per tutelare una minoranza nei confronti dei soprusi della maggioranza. Ma è davvero questo ciò a cui mira la legge? O non piuttosto mettere il bavaglio a chiunque oserà ancora affermare, ad esempio, che la famiglia naturale è quella formata da un uomo, una donna e dei bambini, o che le adozioni di minori da parte delle persone omosessuali sono un male? Oppure, ancora, che criticare la pratica della fecondazione eterologa o quella del cosiddetto "utero in affitto" – pratica quest’ultima che peraltro è illegale nell’ordinamento giuridico italiano e quindi attuata all’estero, aggirando le leggi italiane – equivalgono a forme d’insulto e dileggio, e quindi si invoca quella stessa legge italiana affinché punisca gli "istigatori all’odio". In tale tipologia, dunque, potrebbe rientrare la maestra d’asilo che domandi a un bambino come si chiamano il suo papà e la sua mamma, perché dare per scontato che un bambino abbia dei genitori di sesso diverso potrebbe configurarsi come un incitamento all’odio o come una grave forma di disprezzo nei confronti dei genitori di quel bambino, i quali potrebbero anche essere due persone dello stesso sesso. Certo, moltissimi casi potrebbero collocarsi in una zona grigia ove non è facile stabilire se dileggio e disprezzo vi siano davvero, o se qualcuno non ce li voglia vedere a tutti i costi, per poter intentare una causa e dare una bella lezione in nome non della difesa delle minoranze discriminate, ma della lotta contro la famiglia naturale e contro i valori culturali, sociali, morali e religiosi stabiliti da secoli e secoli, e accettati e condivisi dalla stragrande maggioranza della popolazione; in altre parole, per stravolgere il profilo culturale e morale della nostra società. Ebbene, in tutti i casi dubbi ciò che eserciterà il peso decisivo sarà la percezione soggettiva della parte offesa, o meglio della pare che si sente offesa, che si sente vittima: e quando la legge si mette per una simile via, cioè impone al giudice di emettere una sentenza sulla base della percezione soggettiva di chi ha intentato la causa, non si sa davvero dove si andrà a finire. Intanto però una cosa è certa: questa è la fine della certezza del diritto. Il diritto non è più una norma chiara, universale, oggettiva, ma viene consegnata all’arbitrio di una delle due parti in causa, quella che ritiene di essere stata offesa, sulla base non di riscontri certi e inequivocabili, ma di una sua percezione soggettiva. Tanto per dare un’idea.

Abbiamo accennato ai valori anche religiosi sui quali si fonda la nostra cultura, e non a caso. L’Italia è un Paese di cultura cattolica, o meglio ex cattolica; in ogni caso è innegabile che la sua cultura, la sua fisionomia spirituale, sono state stata forgiate dal cattolicesimo, il quale esisteva ed era già una religione universale molti e molti secoli prima che nascesse anche solo l’idea di Italia, per non parlare dello Stato italiano. E quel che pensa la Chiesa della pratica omosessuale — lasciamo perdere quella bisessuale, o transessuale, di cui fino a ieri nessuno parlava, e teniamo bene a mente il concetto di "pratica", perché il cattolicesimo non ha mai condannato la tendenza omosessuale in sé, perché sarebbe assurdo condannare un istinto — è, o dovrebbe essere noto, a dispetto di quel che pensano e dicono tanti, troppi "cattolici" che non hanno mai letto i documenti del Magistero, né il Catechismo, e probabilmente neppure il Nuovo Testamento. Il testo più noto e più importante delle Scritture che tratta l’argomento, ma non l’unico, è contenuto nella Lettera ai Romani di San Paolo, il capolavoro teologico dell’Apostolo delle genti, capitolo 1, 16-32:

Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco. È in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: "Il giusto vivrà mediante la fede". In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.

Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.

Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.

Cari cattolici, ma lo capite cosa sta facendo il Parlamento? Lo capite che presto, prestissimo dovrete scegliere se obbedire alla legge degli uomini o alla legge di Dio? Che sarete discriminati, perseguitati, imprigionati per essere stati fedeli al Vangelo di Gesù Cristo? Perché i casi sono due: o resterete fedeli al Vangelo, e allora sfiderete automaticamente i rigori della legge umana e i furori di qualche giudice, di qualche associazione LGBT, oppure obbedirete alle leggi del Parlamento italiano, e allora potrete nascondere la vostra Bibbia in cantina, o gettarla nella spazzatura, perché non potrete più nemmeno leggerla ad alta voce: sarebbe un crimine d’odio un incitamento all’omofobia, alla transfobia, ecc. ecc. Certo, esiste in effetti un’altra possibilità, ed è quella che di fatto stanno percorrendo, dal Concilio Vaticano II in poi, il clero e la massa dei fedeli: fare lo gnorri, fare il finto tonto, fingere che la cosa non vi riguardi, perché la Bibbia, si sa, va interpretata (come i protestanti) e non bisogna prenderla troppo alla lettera. Dopotutto, è stata scritta tantissimo tempo fa, e come se non bastasse, parola del signor Luigino Bruni, economista con interessi teologici, che scrive sulle colonne de L’Avvenire, giornale della C.E.I., la Bibbia non è un libro su Dio, ma per l’uomo; e siamo noi ad arricchire Dio, non Lui ad illuminare e salvare noi. Coerente e ineccepibile sviluppo della nouvelle théologie di Henri de Lubac e della "svolta antropologica" di Karl Rahner. In questa prospettiva, quella di san Paolo è solo un’uscita infelice, dovuta alla mentalità del tempo e alla sua personale ristrettezza mentale, e non va intesa come verità di fede, tanto meno come Rivelazione della Parola di Dio. Del resto, a san Paolo era già stato fatto un simile trattamento fin dagli anni ’60, ad opera della teologia femminista, allorché le sue affermazioni sulla donna e sulla moglie erano state bollate come sfoghi di un maschilista impenitente. Ora si vede dove porta il tacere davanti a una distorsione delle Scritture: perché ogni distorsione ne richiama un’altra, in una spirale inarrestabile. Se ieri san Paolo aveva torto sul ruolo della donna, oggi ha torto sulla questione della sodomia; e domani, chissà, lo stesso Gesù Cristo avrà torto su tante altre cose. Non parliamo di progetti futuri: lo stanno già facendo. Il signor Bergoglio si è già permesso di cambiare, di suo arbitrio, un importante paragrafo del Catechismo (sulla pena di morte); di cambiare le parole della più preziosa preghiera dei cristiani, il Padre nostro, insegnataci da Gesù in Persona; di cambiare le Litanie Lauretane, aggiungendovi un’improbabile Maria, aiuto dei migranti, dove la strumetalizzazione in chiave ideologica è così evidente che ci si chiede cosa aspettino i cattolici in buona fede a rendersene conto. Comunque, non è solo una privata opinione di san Paolo, quella espressa in Romani 1, 16-32: ci sono altri passi, anche dei Vangeli, dai quali risulta chiaramente ciò che Gesù diceva e la Chiesa ha sempre insegnato. Se ora si vuol varare un vangelo rivisto e corretto da padre James Martin, e autorizzato da Zan-Scalfarotto, è un altro paio di maniche. De gustibus…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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