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Parole e immagini: le armi del nemico

Sono essenzialmente due gli strumenti dei quali ci serviamo per costruire la nostra immagine del mondo: le parole e le immagini. Con le parole che adoperiamo, definiamo i nostri stessi pensieri; con le immagini che si presentano alla nostra fantasia, costruiamo il nostro universo affettivo e valoriale. Noi pensiamo secondo le parole che usiamo e sentiamo secondo le immagini che si presentano al nostro subcosciente, e da lì filtrano nella coscienza. Ora, se per disgrazia qualcuno che sia molto astuto e molto potente, riuscisse a imporci, senza che ce ne rendessimo conto, delle parole che non sono veramente nostre, e se, ancor più, riuscisse a far entrare nel nostro subconscio delle immagini che lui ha pensato affinché noi le evochiamo come fossero nostre, costui sarebbe in gradi di fare di noi i suoi subalterni, i suoi esecutori e i suoi schiavi. Infatti nessuna schiavitù è più totale di quella che si esercita su chi non si avvede neppure di essere schiavo, ma crede di agire, pensare e parlare da uomo libero; e nessuna mortificazione è più cocente e irreparabile di quella che vede degli esseri umani provare passioni e sentimenti che traggono impulso da un complesso d’immagini introdotte a livello subliminale nel loro subconscio, senza perciò che ne abbiano sentore. Quelle persone saranno convinte di esercitare la loro libera facoltà di scelta in ogni situazione della vita, mentre invece sentiranno, penseranno e parleranno secondo un copione studiato da un Grande Burattinaio. Ebbene: tale situazione si è realmente concretizzata nella nostra società e si è a tal punto consolidata, che solo pochissimi se ne sono resi conto, per cui le possibilità di spezzare l’incantesimo maligno che tiene avvinte centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, sono ridotte quasi a zero. E a realizzarlo è stato un sistema cinematografico completo, capillare, potentissimo, quello che lo scrittore Roberto Quaglia ha definito il fondamentalismo hollywoodiano, veicolo non solo e non tanto di determinati contenuti, per quanto frivoli o banali, che si rivolgono pur sempre alla sfera della coscienza e quindi passano al vaglio dell’intelligenza, ma principalmente di un determinato stile, all’interno del quale un ruolo decisivo hanno i messaggi subliminali, che la coscienza non arriva a riconoscere e perciò che vengono registrati dal subconscio, ove si insediano in profondità e da dove non verranno più rimossi, perché non si può rimuovere ciò che non si sa neppure di avere.

La manipolazione del linguaggio è, in teoria, la più facile da riconoscere: in teoria, perché se non si è coscienti di essa, ci si trova comunque nella gabbia di un pensiero che non è il proprio, ma che è eterodiretto, vale a dire che ci si trova nella stessa condizione di burattini telecomandati. Se invece di invasori afroislamici si usa la parola migranti; se invece di patriottismo si parla di sovranismo; se invece di eresia modernista si parla chiesa in uscita; se invece di falso papa si parla di Sua Santità; se invece di falsa pandemia, voluta e attuata da Bill Gates per i suoi ignobili fini di lucro e di potere, si parla di pandemia vera, come ha fatto, o perché corrotto, o perché costretto, il burattino messo nominalmente a capo del’OMS, della quale il maggior finanziatore è, guarda caso, un certo Bill Gates: ebbene, ci si trova imprigionati nel circolo vizioso di una falsa realtà, che produce falsi ragionamenti e mostra le cose sotto una falsa prospettiva, comprese le false soluzioni a dei problemi che o non sono reali, o non sono quelli che appaiono. In teoria però — ripetiamo – questa è la forma di manipolazione più facile da riconoscere come tale, e quindi contro la quale è più facile, o relativamente facile, difendersi. Certo che se tutti i giornali, tutti i telegiornali, tutta la pubblicità usano queste parole; se tutti gli uomini di Stato, tutti i capi religiosi, tutti gli amministratori pubblici, parlano in un tale modo; se, alla fine della giornata, abbiamo sentito quelle parole dieci, cento, mille volte, e così anche domani, e dopodomani, e tutta la settimana, tutto il mese, tutto l’anno, per anni e decenni, la pressione psicologica diviene di una tale entità che difficilmente si riesce a resisterle, quand’anche si fosse in grado di riconoscere l’inganno e vedere l’uso improprio dei vocaboli, e dei concetti ad essi sottesi.

Molto più difficile da riconoscere e, quand’anche venisse riconosciuta, molto più difficile da contrastare, è la manipolazione che viene esercitata sul nostro subconscio dai mass-media, e principalmente dal mezzo cinematografico (e non si obietti che ormai la gente va poco al cinema, perché comunque vi è un larghissimo uso del prodotto cinematografico, sia pur attraverso il piccolo schermo o attraverso il proprio computer, specie dopo l’avvento delle reti private che forniscono tale servizio a pagamento). Le immagini che investono il nostro subconscio si depositano, si sommano, e finiscono per formare una massa così imponente, che quando abbiamo bisogno di pensare una determinata cosa, la pensiamo facendo ricorso a quella certa immagine, immagine che però non si è formata in maniera spontanea, ma è stata pensata, studiata, veicolata secondo modalità scientifiche nella nostra mente, al punto da averla colonizzata a nostra insaputa. Tutti abbiamo fatto l’esperienza, ad esempio, di leggere un romanzo famoso, e di "imprestare" all’immagine dei vari personaggi, e specialmente dei protagonisti, il volto degli attori hollywoodiani che hanno interpretato la versione cinematografica di quel romanzo. Chi, ad esempi, leggendo Il dottor Živago, non ha "visto" il volto del protagonista con le fattezze di Omar Sharif, e il volto di Lara con quelle di Julie Christie? E questo è solo un esempio. Ma ci sono molti altri casi nei quali il volto dei personaggi viene scelto secondo un piano preciso, affinché noi proviamo verso di essi sentimenti di simpatia o antipatia, secondo le intenzioni dei produttori di quel film. L’amico Andrea Cometti ci ha fatto notare l’impressionante somiglianza che, nel film Ladyhawke di Richard Donner, del 1985 (un bel film, sia detto fra parentesi, sotto l’aspetto spettacolare ed emozionale) il volto del cattivo di turno, il vescovo che si oppone all’amore dei due protagonisti, quello dell’attore John Wood, è quasi identico al volto di un altro personaggio assai noto, e che non aveva nulla a che fare col cinema, ma esercitava una forte influenza spirituale sulla società americana, l’arcivescovo Fulton Sheen. Benché, all’epoca del film, questi fosse già morto da cinque anni, il suo ricordo fra i cattolici era ancora assai vivo per l’azione incisiva di predicatore da lui svolta, anche a livello radiofonico e televisivo, paragonabile, nel contesto di quella società, a quella svolta a suo tempo, in Italia, da un san’Ambrogio o da un sant’Agostino. Ebbene: quale mezzo più efficace, per offuscare e annullare, a livello subconscio, quell’azione pastorale da parte di un vescovo che era anche un profondo e credibile uomo di fede, che quella di "prestagli", o meglio sovrapporgli, il volto di un personaggio estremamente malvagio, concentrato di doppiezza, viltà e crudeltà, in un film destinato a un vasto pubblico, non solo di adulti ma anche di bambini, nel quale l’avventura esercita un ruolo non meno importante della pur affascinante vicenda sentimentale? Senza affatto rendersene conto gli spettatori del film hanno associato l’immagine di quel vescovo malvagio di una storia irreale, con quella del vescovo santo e persuasivo del mondo reale, introiettando un (inconscio) giudizio negativo su colui che, a livello razionale, perfino i nemici della Chiesa giudicavano con rispetto per le sue doti eminenti. E poiché Fulton J. Sheen parlava continuamente della impossibilità, per il cristiano, di venire a patti con la mentalità del mondo, e specialmente con quella del consumismo; e poiché, inoltre, metteva in guardia contro una lettura "facile" del Vangelo, nonché contro i pericoli, estremamente reali, che minacciavano la Chiesa non solo dall’esterno, ma anche dall’interno, ecco che dandogli, nel film, il volto d’un personaggio estremamente negativo, si ottiene l’effetto di demolire, a livello inconscio, l’opera che egli, da vivo, ha realizzato rivolgendosi alla coscienza e all’intelligenza di quanti lo ascoltavano.

Questo è solo un esempio, fra l’altro uno dei più semplici, perché esistono meccanismo assai più complessi coi quali il fondamentalismo hollywoodiano agisce sulla nostra mente e sulla nostra percezione della realtà, deformandola e indirizzandola a suo piacere, grazie ai mezzi immensi dei quali dispone, e all’opera di intelligenze raffinate, ancorché perverse, della quale si avvale per portare avanti i suoi disegni. Se ci si prendesse la briga di esercitare un analogo controllo su altri film prodotti dal sistema di Hollywood — e noi, sia pure in misura limitata, l’abbiamo fatto – ci si accorgerebbe di quante coincidenze, solo in apparenza casuali, popolano il mondo della celluloide, e quale peso determinante tali coincidenze esercitano nell’economia complessiva del nostro subconscio. Non a caso quello stesso fondamentalismo globalista ha messo in circolo una parola, complottismo, per squalificare in anticipo qualsiasi analisi critica della realtà. Per cui, se si prova a far notare tali strane coincidenze, si viene subito liquidati come complottisti, ossia paranoici più o meno deliranti. Il volto dell’attore John Wood assomiglia, come quello d’un fratello gemello, al volto scavato, pensoso, del vescovo Martin J. Sheen? Ma è solo una coincidenza, chiaro! Che altro volete che sia? Ed è sconvolgente pensare quanta parte della nostra vita, delle nostre scelte, del nostro stesso sentire — perché le immagini non si rivolgono all’intelligenza, ma ai visceri — non sono più nostri, ma il risultato di un vero e proprio trapianto che è stato fatto a nostro danno e nostra insaputa sulle radici stesse della nostra mente e della nostra sensibilità.

Sorge la domanda su cosa si possa fare, giunte le cose a questo punto, per sottrarsi al giogo, per tornare a vedere la realtà coi propri occhi e non col filtro deformante imposto dal fondamentalismo hollywoodiano; in altre parole, per uscire dalle profondità oscure della caverna di Platone e lasciare che il mondo ci si riveli quale esso realmente è, non quale altri vogliono che ci appaia. A prima vista, si direbbe un’impresa disperata: se il condizionamento cui siamo sottoposti agisce in buona parte a livello subconscio, che mai si potrà fare per opporvisi? Evidentemente, più che contrastarlo si tratta di prevenirlo. Quando ci si è chiusi dentro la gabbia di una tigre feroce, non c’è molto che si possa fare per salvare la pelle; ma prima di compiere quella fatale imprudenza, c’era molto che si sarebbe potuto fare per sviluppare un atteggiamento di maggiore prudenza verso le cose della vita, compreso il modo di regolarsi con le bestie feroci. E se ora siamo così esposti al condizionamento, è perché ci siamo messi da noi stessi, con le nostre abitudini, in una situazione dalla quale è divenuto difficilissime ritrarsi in maniera tale da riacquistare la nostra autonomia di persone libere. Abbiamo dato tropo spazio alla tecnologia, alle comodità quotidiane, al conformismo sociale, e tutto questo in cambio di fallaci promesse di prestigio, di piacere o di benessere. Poco a poco abbiamo consegnato le chiavi di casa nostra — le chiavi della nostra sensibilità, della nostra intelligenza e della nostra volontà — a qualcuno che non meritava affatto una simile fiducia, anzi, a qualcuno che sin da principio mirava a carpire la nostra fiducia per ridurci in suo potere, trasformandoci in misere pedine d’un gioco infinitamente più grande di noi, e dal quale lui solo aveva un interesse da trarre. Incredibile dictu, ma il fatto è che si può vivere benissimo senza telefonino, senza computer, senza giornali e televisione, senza automobile, senza sfoggiare l’ultimo abito firmato o l’ultimo modello di borsetta o l’ultimo modello di bikini sulle spiagge affollate; o, per lo meno, che si può vivere facendo un uso assai più moderato del telefonino, del computer, della televisione, dell’automobile e di tutto il resto. Provare per credere. Forse, i primi giorni, si soffrirà una crisi di astinenza, ma poi ci si accorgerà che il mondo, dopotutto, continua ad esistere anche senza tali abitudini, e che noi possiamo vivere come prima, se non meglio di prima, e finalmente saremo spinti a fare le cose che c’interessano per davvero, a godere di ciò che davvero ci fa star bene, e a lasciar perdere molte cose che prima facevamo solo perché ne avevamo occasione, ma non ci davano alcuna vera gioia, semmai aggiungevano tensione allo stress accumulato dal fatto di essere divenuti dipendenti dalla tecnica e dal consumismo. Se la domenica, invece di andare al centro commerciale, si riscopre il piacere di una giornata in famiglia, o di andare a trovar ei genitori anziani, o di portar ei bambini a fare una bella passeggiata, o anche soltanto di riposare, contemplare e meditare, in pace e serenità, senza assilli, senza affanni, staccando il telefonino, spegnendo il computer, eccetera, non si tarderà a cogliere la differenza fra i due diversi stili di vita, e a trarne le debite conclusioni. Staccarsi dai media, in particolare staccarsi dai pessimi film hollywoodiani, quali hanno sempre il veleno magari nella coda, tutti, perfino i cartoni animati e quelli cosiddetti per famiglie, significa fare un passo in direzione della riconquistata libertà. I condizionamenti che agiscono su di noi vengono meno, se noi ci liberiamo dei veicolo attraverso il quale agiscono per ridurci in potere di qualcun altro. Una volta spezzato il circuito infernale della dipendenza, si ricomincia a vedere e ad apprezzare la realtà senza il filtro deformante dei poteri occulti, e si riconquista un rapporto più autentico col mondo, a cominciare dalle persone che si frequentano e alle quali si è maggiorente legati. Il ricatto dei media ha efficacia in coloro che si lascio ricattare, perché bramano disordinatamente il piacere, il prestigio e il potere, sia pure nelle piccole cose, ad esempio poter sfoggiare un’automobile più bella e costosa di quella del vicino o del collega, un vestito più elegante, ecc. Ma se ci si libera di tutto ciò, il malvagio incantesimo è rotto e si esce finalmente dalla buia caverna, a rivedere il cielo azzurro….

Fonte dell'immagine in evidenza: Alan Camerer - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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