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Quelle forze occulte che non si devono nominare

Il 19 marzo 1949, ad Arcueil, nel dipartimento della valle della Marna, cadeva sotto il piombo del plotone d’esecuzione, a quasi quattro anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, il regista, attore, scrittore e giornalista Jean Mamy, più noto, negli ultimi anni, con lo pseudonimo di Paul Riche. Savoiardo di Chambéry, classe 1902, regista e attore di teatro, aveva messo in scena diverse opere di autori internazionali, compreso Pirandello con Sei personaggi in cerca d’autore, per poi passare decisamente al cinema, nel quale aveva firmato la regia di cinque film di genere diverso, dalla commedia al dramma: due nel 1932, Baleydier e Bal d’apaches; due nel 1932, Le Chemin du bonheur e L’Empreinte sanglante; uno nel 1943, in piena guerra e sotto l’occupazione tedesca, Forces occultes; e direttore di produzione di altri due, Koenigsmark (1935) e Dédé la musique (1939). L’accusa di collaborazionismo che l’aveva condotto davanti al tribunale per l’epurazione era legata alla sua attività giornalistica, come collaboratore del giornale L’Appel, fondato da Pierre Costantini del Partito Popolare Francese (e sul quale aveva scritto anche Louis-Ferdinand Céline) e, cosa ancor più grave, di Au pilori, d’indirizzo apertamente antisemita. Eppure, anche altri scrittori e giornalisti si compromisero con la stampa collaborazionista e antisemi, negli anni del governo di Vichy, e tuttavia molti di essi riuscirono a cavarsela con pene più miti; l’inflessibilità della sentenza che colpì Jean Mamy sembra aver a che fare con qualcosa di più grosso e più scottante che la sola colpa del collaborazionismo coi nazisti e dello stesso antisemitismo; qualcosa che s’intreccia con essi, ma è distinta da essi. Bisogna sapere che, prima di spostarsi su posizioni di nazionalismo intransigente, esacerbato dalla disfatta del giugno 1940, Mamy si era affiliato alla Loggia Ernest Renan del Grande Oriente di Francia, raggiungendo il grado di Venerabile, e dalla quale era poi uscito, avendo individuato proprio nella massoneria e nel parlamentarismo le cause principali della debolezza e della conflittualità interna del Paese, che lo avrebbero condotto al clamoroso e umiliante tracollo nella Seconda guerra mondiale. Era dunque un mondo che egli conosceva bene, per averne fatto parte, quello da lui descritto, e attaccato senza quartiere, nel suo ultimo film Forze occulte, un mediometraggio di soli cinquantuno minuti. È inutile che andiate a cercare la scheda o la recensione del film in qualche dizionario politicamente corretto, come Il Mereghetti, o il Millefilm dell’ultraprogressista Tullio Kezich, o il Dizionario Rusconi dei film, perché non lo troverete, così come non lo troverete nella Storia del Cinema di Ramón Gubern, che pure dedica un intero capitolo alla cinematografia di Vichy: è come se non fosse mai esistito. In Italia non è mai arrivato nelle sale cinematografiche, ma è stato mandato in onda sul piccolo schermo, da Rai Tre, solo il 24 febbraio 2007. In Francia, dopo la fine della guerra, bisogna aspettare il 2009 perché venga distribuito in DVD, con un libretto di quasi cento pagine di testo, a cura di Jean Lous-Coy e di due importanti massoni, Jean-Robert Lagache, ex Gran Maestro del Grande Oriente di Francia, e Réné Le Moal, redattore di una rivista del Grande Oriente di Francia, o quali ovviamente ne diedero una lettura in chiave totalmente negativa. Caso fortunatissimo, il film, coi sottotitoli in italiano, è fruibile gratuitamente da Youtube (https://youtu.be/qvYaIgTenn4) e perciò consigliamo chi fosse interessato, anche solo per motivi di ordine storico, ad affrettarsi a scaricarlo; visti i tempi che corrono, non si sa quanto potrà durare questa "falla" nel muro di silenzio creato intorno ad esso, e dovuta senza dubbio a una distrazione da parte dei Censori.

Vuoi vedere che la colpa imperdonabile di Jean Mamy non è stata la collaborazione con le forze d’occupazione germaniche, dalle quali accettò anche un finanziamento per la sua ultima pellicola, ma proprio l’aver svelato al grande pubblico i retroscena massonici del parlamentarismo e lo stretto legame esistente fra la massoneria e le lobby finanziarie ebraiche? La tesi di Jean Mamy, infatti, è riassumibile nella formula del complotto plutocratico-giudaico-massonico, allora piuttosto nota, e usata anche da Mussolini, ma poi condannata all’oblio, tranne che come arma di dileggio politico. Nel film, tra l’altro non privo di meriti sul piano squisitamente artistico (una menzione speciale alla fotografia di Marcel Lucien e al montaggio di Pierre Geran), si parla di un deputato di nome Pierre Avenel, interpretato dall’attore Maurice Remy, uomo onesto e bene intenzionato, ma ingenuo, che decide di entrare nella massoneria per agevolarsi la carriera, ma credendo al tempo stesso di servire degli alti ideali patriottici. Egli ben presto rimane disgustato dall’avidità, dalla corruzione, dagli scandali politici che la massoneria genera e alimenta, e la sua indignazione raggiunge il culmine quando si rende conto che gli ambienti giudaico-massonici si stanno adoperando nell’ombra per spingere la Francia a impegnarsi in una guerra contro la Germania, che non rientra nei suoi veri interessi nazionali, ma solo in quelli delle plutocrazie anglosassoni. Il film, le cui riprese erano iniziate nel settembre del 1942, quando esordì nelle sale parigine, il 9 marzo 1943, incontrò l’interesse del pubblico, tanto da incassare poco meno di 220.000 franchi nella sola prima settimana di proiezione. La storia, narrata con ritmo incalzante e con un linguaggio cinematografico alquanto sobrio, suscitava curiosità e faceva discutere; la scena iniziale, poi, ambientata proprio al Palais Bourbon, sede della camera dei deputati, con centinaia di figuranti per rendere realisticamente il clima di una seduta parlamentare, offriva uno specchio nel quale si rifletteva la percezione negativa del parlamentarismo da parte di una larga fetta della opinione pubblica francese. Ma soprattutto si parlava delle trame segrete della massoneria, quali erano nella realtà, dietro la facciata dell’umanitarismo e del filantropismo di matrice illuminista; e fu questo, a nostro avviso, che determinò la sentenza di morte a carico di Jean Mamy. Del resto, non lui solo, ma anche lo sceneggiatore, Jean-Marquès Rivière, anch’egli fuoriuscito dalla massoneria, precisamente dalla Gran Loggia di Francia, e il produttore, Robert Muzard, furono trascinati in tribunale e condannati. Muzard fu il più fortunato, poiché se la cavò con una sentenza di condanna a tre anni di reclusione, emessa il 25 novembre 1945. Rivière, il quale oltre che giornalista era anche un apprezzato orientalista e studioso di esoterismo (sua è un’importante Storia delle dottrine esoteriche), venne condannato a morte in contumacia dal Tribunale Militare di Parigi il 21 gennaio 1947, con la perdita dei diritti di cittadino francese e la confisca dei beni. Si salvò solo grazie ad una fuga tempestiva all’estero, in Spagna, ove tenne cattedra all’università di Madrid, e ove non morì qualche anno dopo, come erroneamente recita la voce italiana di Wikipedia dedicata al film, perché in seguito poté rientrare clandestinamente in patria, e spegnersi a Lione il 9 febbraio 2000. Quanto all’attore protagonista, Maurice Rémy, pagò un alto prezzo professionale alla scelta di aver detto sì a Mamy, oltre che per aver collaborato a trasmissioni antisemite per Radio Parigi: la sua carriera era finita per sempre, poiché non avrebbe mai più interpretato un solo film. Nel 1949 espatriò in Argentina e rientrò in Francia negli anni ’50, ma tutto quel che ottenne fu di lavorare come tecnico del suono in un paio di film. Si aggiunga, per completare il quadro e misurare la gravità delle colpe delle quali Mamy e i suoi collaboratori si erano macchiati agli occhi dei loro ex "fratelli", che alcune scene del film erano state girate proprio nella sede occupata del Grande Oriente di Francia, e che per dare maggiore credibilità alle riprese erano stati utilizzati dei materiali originari, confiscati alle logge dal governo di Vichy.

È noto che la massoneria, benché si presenti con un volte estremamente simpatico e accattivante ai neofiti, al vertice della sua struttura piramidale è diretta da persone assolutamente senza scrupoli, i cui scopi sono ben diversi da quelli dichiarati in pubblico, e che non perdonano né ai loro nemici, né meno ancora, ai loro ex affiliati, specialmente se questi, dopo essersi allontanati, divulgano i segreti della società. Per gli uni e per gli altri, comunque, la massima punizione, cioè la morte, non è ritenuta di per sé sufficiente; essa deve essere accompagnata da segnali inequivocabili, anche se chiaramente leggibili solo dai membri della setta, ossia deve recare la "firma" della massoneria stessa, per la data, per il luogo o per le circostanze in cui si attua. Si pensi, per fare un esempio, alla tragica fine di Mussolini – che aveva posto fuori legge la massoneria italiana, e che il 25 luglio 1943 era stato sfiduciato dalla cricca dei gerarchi massoni capitanati da Grandi, e poi arrestato dal duo massonico Vittorio Emanuele III-Badgoglio – con la tragica simbologia massonica dell’appeso, carta dei Tarocchi in cui c’è un uomo sospeso a testa in giù. Oppure si pensi alla fine del finanziere Roberto Calvi, un massone che aveva avuto il torto di ricattare i suoi fratelli di loggia e che venne trovato impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri, a Londra, cioè in un luogo carico di simbologia massonica, impiccato in una posizione che non avrebbe mai potuti raggiungere da solo, oltretutto con le mani legate dietro la schiena e dei mattoni nelle tasche dell’impermeabile; cosa che non impedì alla magistratura di chiudere l’inchiesta con un giudizio di suicidio. La massoneria, dunque, non tollera che qualcuno divulghi i suoi segreti, e tuttavia se ne può intravedere la regia dietro alcuni dei maggiori eventi della storia moderna e contemporanea, dalla nascita degli Stati Uniti alla Rivoluzione francese, alle guerre d’indipendenza delle colonie spagnole dell’America Latina e allo stesso Risorgimento italiano, fino allo scoppio delle due guerre mondiali ed oltre. La s’intravede anche dietro la tragedia di Mayerling, ove trovò una strana morte prematura l’arciduca ereditario Rodolfo d’Asburgo, nonché dietro l’abdicazione e la fine dell’ultimo imperatore Carlo d’Asburgo: l’Austria era particolarmente invisa ai massoni in quanto ultima grande potenza ufficialmente cattolica. L’altra grande potenza cattolica, la Francia, era divenuta anticlericale e massonica dopo che Napoleone III, che agiva da cattolico soprattutto per influsso della moglie spagnola, Eugenia, venne sconfitto a Sédan e dalle ceneri dell’impero nacque la massonica Terza Repubblica. Ora, tutti sanno che fu Napoleone III a dichiarare la guerra, ma che ciò avvenne per la manipolazione di un telegramma da parte di Bismarck, il famoso dispaccio di Ems: ebbene, vorrà forse dire qualcosa che Bismarck fosse un massone di alto grado, che odiava i cattolici (contro quelli della sua nazione condusse una lotta spietata chiamata Kulturkampf) e che aveva così pochi scrupoli quando si trattava di toglier di mezzo i nemici della massoneria, che alcuni storici sospettano sia stato il mandante dell’assassinio del cattolicissimo presidente dell’Ecuador, Garcia Moreno, sulla porta della cattedrale di Quito, nel 1875 (ne abbiamo già parlato in un apposito articolo). Anche il papa Giovanni Paolo I, non appena eletto al soglio pontificio, dichiarò che suo primo dovere era quello di combattere e sradicare la massoneria insinuatasi nella Chiesa cattolica: trentatré giorni dopo era morto (trentatré come gli anni che si attribuiscono alla vita terrena di Gesù Cristo). E non è un mistero che tutti i presidenti statunitensi erano massoni, con le sole eccezioni del cattolico J. F. Kennedy, assassinato a Dallas nel 1963, e dell’attuale presidente, Donald Trump, al quale, non a caso, il massonico Deep state, che controlla finanza, stampa, magistratura e cultura progressista, ha dichiarato guerra fin dal primo giorno.

E adesso torniamo al film Forze oscure. Qualcuno ha voluto punire con la pena di morte il suo regista e il suo sceneggiatore; qualcuno non vuole che sia visto, se non in chiave di difesa della massoneria; qualcuno non vuole che si parli troppo della massoneria francese. Eppure, da numerosi indizi, si ricava che la storia della Francia moderna è la storia della massoneria francese: dal 1789 a oggi, con l’interruzione del 1814-1870. Emmanuel Macron è un uomo della massoneria, posto da essa all’Eliseo per realizzare la sua agenda politica: anticattolica, laicista, abortista, omosessualista, multiculturalista, ecc. Quando si è incontrato con il sedicente papa Francesco, lo ha salutato in maniera assai poco cerimoniale, dandogli un buffetto massonico sulla guancia, a ricordare chi fra i due è il più anziano, non di anni ma di affiliazione (anche di questo abbiamo parlato a suo tempo). I gesti della massoneria sono percepibili solo dagli adepti: dalla particolare stretta di mano, data con una certa torsione del polso, al gesto di portarsi la mano destra sul petto, come ha fatto Bergoglio, alla presenza di tutti, mentre il papa Benedetto XVI stava leggendo la sua dichiarazione di rinuncia. Impregnati di simbologia massonica sono anche alcuni oggetti coi quali Bergoglio si è mostrato in pubblico, strani "crocifissi" senza la parte superiore e stranissime ferule che paiono dei bastoni cornuti e demoniaci. Perché al vertice della massoneria c’è l’adorazione di Lucifero, il Portatore di Luce (secondo loro), ma questo solo i massoni del più alto grado lo sanno, gli altri sono solo dei piccoli opportunisti o degli utili idioti che credono di servire l’umanità, mentre stanno servendo l’instaurazione del Nuovo Umanesimo, massonico e anticristiano, e del Nuovo Ordine Mondiale, basato sul dominio esclusivo dell’élite degli Illuminati. Il povero Jean Mamy voleva mettere in guardia i suoi connazionali da questa ragnatela onnipresente, che stava soffocando i veri interessi del popolo francese, come di ogni altro popolo, a vantaggio esclusivo di una minuscola cupola di affaristi senza scrupoli, che si serve del parlamentarismo per meglio coprire la sua scalata al potere. È curioso che ancor oggi si scriva e si parli della storia dell’Europa senza quasi nominare le logge…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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