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Gesù non chiede: cosa credete, ma: chi dite che io sia?

Ma che cosa significa, in definitiva, essere cristiani? Chi è cristiano? Fino a qualche tempo fa, sarebbe sembrato semplice rispondere: cristiano è chi crede in Gesù Cristo. Eppure anche i Testimoni di Geova ci credono, ma solo come uomo, e sia pure il più grande degli uomini; dunque, non vengono riconosciuti come cristiani dalle varie confessioni cristiane. Per essere cristiani, bisogna credere alla divinità di Gesù Cristo: questo è lo spartiacque. Enzo Bianchi non ci crede? È un problema suo; Enzo Bianchi non è cristiano, tanto meno cattolico. Il signor Bergoglio indicava Enzo Bianchi come il suo teologo preferito, almeno prima che le beghe interne alla comunità di Bose lo inducessero a far fuori il suo pupillo? Nessun problema: il signor Bergoglio non è cristiano e non è cattolico; del resto, non è nemmeno papa. Dunque, credere nella divinità di Gesù Cristo, credere che Gesù Cristo è la seconda Persona della Santissima Trinità. E non credere, ovviamente, come invece fa Bergoglio, che le tre Persone litigano continuamente fra di loro, con l’aggravante dell’ipocrisia, perché lo fanno a porte chiuse, e quindi dall’esterno danno l’impressione della concordia. Fino a pochi anni fa, una frase del genere avrebbe provocato la cacciata del prete che l’avesse pronunciata; perfino un qualunque sacrestano sarebbe stato severamente rimproverato, non parliamo di un seminarista o uno studente di teologia. E ciò per la buona ragione che quella frase non è "soltanto" sconveniente, rozza, volgare, sbagliata; è molto di più e di peggio: è una tremenda bestemmia. È come dire che Dio è in disaccordo con Se stesso, quindi che è un dio schizofrenico: evidente bestemmia ed evidente assurdità. È chiaro che colui che l’ha pronunciata non sa chi è Dio per i cattolici; non sa che è un solo Dio, un solo Dio in tre Persone. Ma il fatto che vi siano in Lui tre Persone non indebolisce neppure per un attimo la sua unità, la sua unicità. È un Dio, non sono tre dèi. Solo un antipapa eretico e bestemmiatore come il signor Bergoglio poteva dire una frase del genere. La cosa grave è che quella frase non abbia provocato le reazioni che avrebbe dovuto: se la Chiesa fosse ancora un corpo sano, se ci fossero ancora dei veri cattolici, non gliel’avrebbero fatta passare per buona. E la stampa cattolica, o sedicente tale, a cominciare da L’Avvenire e Famiglia Cristiana, invece d’inveire contro la Lega e i populisti, invece di fare retorica balorda sui migranti e sull’ambiente, avrebbero detto: No, questo nessuno può dirlo impunemente; tanto meno il Vicario di Cristo in terra. E invece tutti zitti, e tutti a far finta di nulla; e tutti ad applaudire questo falso papa che dice un’eresia e una bestemmia al giorno.

Ma torniamo a noi. Il cristiano è colui che crede alla divinità di Gesù Cristo e che riconosce in Gesù Cristo la seconda Persona della Santissima Trinità. Bene. Tuttavia manca ancora qualcosa. Che significa esattamente credere in lui? Uno può anche credere all’oroscopo, o ai dischi volanti, o alla trasmigrazione delle anime; uno può credere ai soldi, alla carriera, al piacere. Il verbo "credere" rischia di essere terribilmente ambiguo, se non è ben definita la relazione che si pone fra il soggetto e l’oggetto. Il soggetto è il credente, l’oggetto è Gesù Cristo; credere in Gesù Cristo significa credere anzitutto nella sua Persona, poi credere nelle cose da Lui annunziate. Quest’ultimo fatto è una conseguenza del primo: se si crede in Gesù come Persona, non si può non credere anche nei suoi insegnamenti; viceversa, si possono accettare i suoi insegnamenti, almeno sul piano morale, senza tuttavia credere alla sua divinità. Ora, questa è proprio la posizione dei modernisti: essi vorrebbero un cristianesimo senza Gesù, o per essere più precisi, un cristianesimo senza la divinità di Cristo. Accettano l’insegnamento morale, ma si scandalizzano davanti alla divinità di Cristo. Cristo, per loro, era solo un uomo: come per i Testimoni di Geova; e come per gli islamici. Anche molti atei, che ammirano e rispettano l’insegnamento di Gesù, condividono una tale posizione. Una perfida congiura, che parte da molto lontano, ha portato questo tipo di mentalità fino ai più alti vertici della Chiesa, fino al conclave dei cardinali che ha eletto al pontificato uno dei loro, un massone senza fede, che non crede alla divinità di Cristo e che non s’inginocchia mai davanti al Santissimo (in compenso s’inginocchia e si butta addirittura carponi per baciare i piedi degli uomini) e il cui scopo, nemmeno più tanto velato, è gettare i cattolici nella più completa confusione, perdere le loro anime e distruggere quel che resta della Chiesa visibile.

La questione, assolutamente decisiva, è posta da Richard Gutzwiller (scrittore svizzero tedesco, 1896-1958) nel suo bel libro Meditazioni su Matteo (titolo originale: Meditationen über Matthäus, Benziger Verlag, Einsiedeln, 1957; traduzione dal tedesco di L. Bornettini Magliano, Milano, Edizioni Paoline, 1961, pp. pp. 284-287):

Lontano dagli uomini, nella solitudine delle sorgenti del Giordano, ai piedi dell’Hermon, Cristo rivolge ai discepoli la domanda definitiva: Chi dite che io sia? È presto stabilito che gli altri uomini non l’hanno riconosciuto. La decisione spetta ora ai discepoli.

1. LA DOMANDA. Gesù non chiede: Che cosa credete? Che cosa ritenete che sia vero? Bensì: Chi dote che io sia? Nella fede cristiana non si tratta in primo luogo di un qualcosa, di una somma di verità, d’una concezione ideologica, di una dogmatica, ma soprattutto della personalità vivente di Gesù Cristo, In lui l’uomo è diventato Dio. Egli è l’azione e l’avvenimento decisivo ed è, in conseguenza, la decisione per gli uomini, sia che essi lo riconoscano, oppure no. L’orientamento credenti o increduli verso Gesù stabilisce se si è cristiani o se non lo si è. Non è quindi l’etica la cosa essenziale, bensì la fede da cui poi deriva la morale. Se uno ha intuito nella fede chi è Gesù Cristo, l’accettazione della sua parola è qualcosa di naturale e la risposta alle sue richieste qualcosa di necessario. Tutto è contenuto esclusivamente nella fede nella persona di Gesù Cristo. E il cristianesimo è il sì detto a lui.

2. LA RISPOSTA. La confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo, figlio del Dio vivente», contiene la grandezza personale e quella ufficiale di Gesù. Egli è il Cristo, il profeta, re e sacerdote unto da Dio. Ed è ancora più di questo, perché è il Figlio del Dio vivente. Qui tutto viene elevato dall’oggettivo nel personale. Gesù come persona è Figlio del Dio vivo, sicché la fede è l’incontro personale con la Persona del Figlio di Dio. La risposta è stata suggerita da due forze. La prima è la riflessione e il riconoscimento di Pietro, basata sulla testimonianza di Gesù nelle parole o nei miracoli. Tutto ciò che la precede, particolarmente la guarigione dei malati, la duplice moltiplicazione dei pani, il cammino sulle acque e il salvataggio sulle onde fanno sentire qui il loro effetto. Pietro ha compreso i segni, i quali gli hanno dimostrato che colui che li ha prodotti è il Figlio del Dio vivente. Per questo riconoscimento, però, era necessario ancora qualcos’altro: l’illuminazione interiore per mezzo dello Spirito Santo. «Non la carne né il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio, che è nei cieli». Il Padre ha illuminato con il suo spirito l’uomo Pietro, sicché egli ha riconosciuto il Figlio del Padre nello Spirito Santo. In tal modo l’elemento naturale e quello soprannaturale agiscono insieme nella fede.

3. L’EFFETTO. La decisione, stabilita con questa risposta, porta ora con sé il grande rivolgimento universale; il passaggio dal vecchio al Nuovo Testamento, dall’Israele corporeo a quello spirituale, dalla sinagoga alla Chiesa, dall’elezione d’un popolo alla chiamata di tutti i popoli. Perciò Cristo, in base a questa confessione, promette la costruzione della sua Chiesa: «Edificherò la mia Chiesa».

Questa decisione è definitiva, perché la Chiesa non potrà essere vinta da niente, nemmeno dalle «porte dell’inferno», vale a dire dalla forza di Satana. Altri traducono: «Le porte dell’inferno non potranno resistere». Ciò significa che la Chiesa ha il potere di spalancare tutte le porte, quelle del cielo e quelle dell’inferno. Entrambe le tradizioni hanno un significato profondo e dimostrano la grandezza ultraterrena e sovrumana della Chiesa.

Essa posa su due colonne: sullo spirito e sull’ufficio. Lo spirito è la fede, perché Simone viene detto beato per la sua fede. Soltanto chi crede può appartenere a questa Chiesa. La fede è il fondamento e la radice. Alla fede segue però l’ufficio. Il primo che ha manifestato chiaramente la fede, vien nominato da Cristo prima autorità di questa Chiesa. «E a te darò le chiavi del regno dei cieli; e qualunque cosa avrai legata sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli». Simone, il figlio di Giona, viene innalzato dalla sua natura puramente umana e designato rappresentante del Figlio di Dio, con il potere delle chiavi dell’autorità suprema, munito della facoltà di legare e di sciogliere in nome e con forza di Dio. Una chiesa del puro spirito non è la Chiesa di Cristo, come non lo è una chiesa della pura autorità. Soltanto dove lo spirito e l’ufficio, la fede e l’autorità procedono insieme, c’è la Chiesa di Cristo.

Gesù parla con giubilo, perché ora si è dimostrato che le sue parole e i suoi miracoli sono diventati attivi. Questo evento è pertanto una conclusione e, allo stesso tempo, un inizio, un vero mutamento, una divisione e una decisione. Tutto è incominciato con la Parola di Dio, è stato continuato per mezzo dei suoi miracoli, è stato accolto con il sì della fede. Verrà perfezionato con la parola e con l’opera creativa di Cristo che costruisce la Chiesa.

Discorso chiarissimo, ineccepibile, e, fino al Concilio Vaticano II, assolutamente normale nella teologia e nella pastorale cattoliche: chi lo avrebbe apertamente contestato, prima di quell’evento? Ma a partire dal 1962-65, perfino ciò che pareva più solido e certo ha incominciato a ondeggiare, a mostrare delle crepe; poi, quasi ad un tratto, a franare. Ora stiamo assistendo alla fase più rovinosa della frana. Eppure, come sarebbero chiare quelle parole: L’orientamento credenti o increduli verso Gesù stabilisce se si è cristiani o se non lo si è. Non è l’etica la cosa essenziale, bensì la fede da cui poi deriva la morale (…). Tutto è contenuto esclusivamente nella fede nella persona di Gesù Cristo. E il cristianesimo è il sì detto a lui. Ma hanno cominciato a esser meno chiare quando la filosofia moderna, fondata sull’idealismo, ha incominciato a entrare fra le pieghe della teologia cristiana, ispirata ad un sano realismo. Un poco alla volta, i cristiani hanno cominciato a ragionare come ragionano i moderni, e ciò a partire dalla tarda Scolastica, ossia dal 1300: non è vero quel che è reale, ma è la realtà che deve adeguarsi all’idea del soggetto pensante. E questo slittamento speculativo, questa inversione semantica ha finito per esplodere nella svolta antropologica di Karl Rahner, che ha inquinato tutto il Concilio Vaticano II e tutta la Chiesa post-conciliare: non è il credente che s’inginocchia davanti a Gesù Cristo e gli dice: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente; è il clero modernista che s’inginocchia davanti all’uomo, concetto portato all’esasperazione dal falso papa Bergoglio, sotto l’ingannevole e subdola immagine della Chiesa come un ospedale da campo, ove si medicano le ferite degli uomini. Niente affatto: la Chiesa non ha lo scopo di medicare gli uomini feriti, bensì quello di salvare le anime: sono due cose diverse. Se l’anima vede la Verità, se la riconosce, se si inginocchia di fronte ad essa, è salva; e tutte le ferite sono per effetto di ciò risanate. Se l’anima non vede la Verità, allora le sue ferite sono immedicabili, e nessun ciarlatano, nessuno stregone, nessuno psicanalista, nessun falso prete bergogliano le potrà mai guarire. Il simile chiama il proprio simile: chi è nella luce della verità può aiutare il suo prossimo; chi va a tentoni nelle tenebre non può salvare nessuno, neppure se stesso. Chi s’inginocchia davanti agli uomini, ma non a Dio; chi ha sempre in bocca i migranti e l’ambiente, ma non la conversione a Gesù Cristo; chi adora la Pachamama, ma parla della Madonna come di una comunissima ragazza, una meticcia, una creatura che dubita sino all’ultimo della Promessa divina, non è nella luce della Verità, ma nelle tenebre più fitte: si è perduto e vuole perdere anche gli altri. La Verità è Cristo e non altri: Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto. (Gv 14, 6-7). E all’apostolo Filippo, che gli dice: Mostraci il Padre e ci basta, Gesù risponde con dolcezza, ma anche con una punta di rimprovero (Gv 14, 9-11): Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. Da tanto tempo è con noi, e ancora non l’abbiamo riconosciuto? Come è possibile una cosa simile? La risposta ce la dà ancora l’ottima analisi di Gutzwiller: la superbia si è insinuata nella nostra anima, e ci ha tentati, e noi siamo caduti nelle sue seduzioni, come Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden. Perché per dire: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, bisogna essere illuminati dallo Spirito Santo; non è una sapienza umana, ma una rivelazione divina. E Dio non si rivela ai superbi, ma agli umili. La fede è l’incontro personale con la Persona del Figlio di Dio. Ma come incontrarlo, se si è gonfi del proprio io? Bisogna sapersi fare piccoli come bambini…

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Raffaello)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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