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Intuizione, sensibilità, memoria. E qualcos’altro

Il mondo esiste oggettivamente al di fuori di noi. Questa semplice verità resiste a ogni sofisma solipsistico, non in virtù di ragionamenti, ma per la forza stessa dell’esperienza immediata. Se chiudiamo gli occhi, non lo vediamo più; se ci rechiamo altrove e restiamo lontani per degli anni, le cose che ora vediamo si sottraggono alla nostra percezione; ma basta riaprire gli occhi, basta tornare in quel luogo, e tutto è sempre lì, ad attestare che il mondo è rimasto se stesso, con o senza di noi. E tuttavia, proprio il secondo esempio introduce un fatto ulteriore: il tempo, che indubbiamente cambia le cose. Rivedere una persona dopo trent’anni, significa constatare quanto è cambiata da come la ricordavamo; e rivedere, da adulti, i luoghi dell’infanzia, equivale a misurare l’ineluttabile scorrere del tempo. Non solo. I luoghi, a trenta, quaranta o cinquant’anni di distanza, sono cambiati oggettivamente, perché molte vecchie case sono state demolite, altre ne sono sorte di nuove, e là dove prima c’era un negozio di macelleria, ora c’è un servizio di assistenza informatica. Oltre a questo, tuttavia, ci rendiamo conto che c’è stato anche un cambiamento soggettivo: noi non vediamo più le cose come le vedevamo allora, se non in minima parte; il nostro sguardo non è quello di allora. Al limite si direbbe che sia lo sguardo di un altro: che l’io di adesso non sia lo stesso io di cinquanta anni fa. Possibile? Possibile. Ma cos’è il tempo, allora, se ha la capacità di cambiare non solo il mondo, ma anche noi stessi e il nostro guardo sulle cose? Evidentemente non è solo durata; è durata e quindi modificazione, più qualcos’altro. Che cosa?

Prima di provare a rispondere a questa domanda, proviamo a considerare l’intera questione anche da un altro punto di vista. Si dice: le cose cambiano nel corso del tempo; cambia anche il soggetto che le percepisce. Benissimo. Ma esistono due soggetti che le percepiscono alla stessa maniera? Non lo crediamo. Allora il problema del conoscere la realtà non è costituito solo dallo scorrere del tempo, che opera una modificazione sulle cose (immaginiamo uno studente di mezzo scolo fa, che pure abbia studiato benissimo tutte le discipline del suo corso di studi, come potrebbe affrontare un esame generale oggi, dopo mezzo secolo di nuove conoscenze), ma anche dalla pluralità dei punti di vista, che rende problematica l’oggettività del conoscere. Questo non è fare del relativismo, è prendere atto della diversità di ogni coscienza, della sua unicità e della sua irriducibilità alle altre coscienze. Noi sappiamo quel che sappiamo, cioè noi conosciamo la realtà, attraverso gli strumenti e le modalità della nostra coscienza: quidquid recipitur, ad modum recipientis recipitur, ciò che si riceve, lo si riceve secondo il modo d’essere di colui che riceve. La realtà è oggettiva e la verità consiste nel cogliere la realtà così come essa è effettivamente; ma in pratica, esiste sempre un margine di soggettività nel conoscere, almeno al livello del sapere empirico, mentre quel margine tende a sparire quando si parla delle scienze matematiche, le quali però non si riferiscono alla realtà effettuale, ma ad una realtà teorica (ed ecco l’errore di chi scambia la realtà dei modelli teorici della fisica per degli elementi di fatto della realtà fisica).

Proviamo a ricapitolare i passaggi fondamentali del nostro ragionamento.

1. Conoscere significa percepire la realtà e averne coscienza (l’animale percepisce ma non riflette sul suo percepire).

2. La coscienza individuale è caratterizzata da una particolare sensibilità che influisce direttamente sugli atti conoscitivi.

3. Conoscere significa formulare un giusto giudizio sulle cose (il daltonico, che percepisce i colori in maniera errata, ha una conoscenza errata).

4. Ciascuno conosce per mezzo dei propri strumenti percettivi e della propria coscienza, quindi la conoscenza non è mai perfettamente oggettiva, per quanto si sforzi di esserlo.

5. Conoscere non è solo percepire e aver coscienza, ma anche organizzare il conoscere, cioè aver la coscienza di conoscere in un quadro coerente. Se il quadro non è coerente, come nel caso di un allucinato, il conoscere non è attendibile, nemmeno nel caso che si possieda una singola conoscenza esatta.

6. Il mezzo fondamentale di tale organizzazione non è il ragionamento, che avviene a posteriori, ma un atto d’intuizione della coscienza, che ha luogo a priori: infatti si conosce secondo le modalità specifiche dell’intuizione, mentre il ragionamento sopravviene solo in un secondo tempo (nel caso del’adulo, anni dopo che il bambino ha sperimentato una certa conoscenza di una cosa particolare, così come quella delle cose in generale).

7. Poiché l’intuizione ha a che fare con la sensibilità, la maggiore o minore sensibilità della coscienza si riflette direttamente sulla profondità e l’intensità degli atti conoscitivi: a un poeta o un pittore basta un colpo d’occhio per cogliere l’essenza di un certo paesaggio, mentre alla persona superficiale e distratta quel paesaggio non dirà niente di particolare, neanche se lo vedesse cento volte o addirittura se ci abitasse.

8. La cultura moderna supervaluta la ragione strumentale e calcolante e svaluta, invece, l’intuizione (sebbene questa abbia gran parte non solo nella creazione estetica, ma anche nell’attività logico-matematica, specie lo studio della geometria e la composizione musicale). Pertanto vi è in essa una sopravvalutazione del conoscere a posteriori, cartesiano, duale e oppositivo, e una svalutazione del conoscere intuitivo, favorito dalla sensibilità.

9. Il fattore tempo opera una modificazione sia delle cose, sia della coscienza.

10. Il mutare delle cose e della coscienza sotto l’opera modificatrice del tempo suggerisce che la conoscenza ordinaria è fortemente condizionata da un qualcosa che si sottrae a ogni possibilità di controllo.

Ed eccoci tornati al punto iniziale: il tempo non è solo durata e modificazione delle cose, vi è in esso qualcos’altro; cerchiamo di capire cosa sia questo qualcosa. Da più di quattro secoli ci dibattiamo nella prigione del pensiero cartesiano: vediamo la realtà in termini di materia e spirito, dentro e fuori, prima e dopo. In realtà, quando conosciamo, compiamo un atto totale della coscienza, vale a dire un atto che abolisce le differenze fra i singoli atti e, in una certa misura (perché la conoscenza umana, anche la più perfetta, è sempre qualcosa d’imperfetto) abolisce anche, o attenuta di molto, le categorie ordinarie dell’esistente. Nell’intuizione, in particolare, si direbbe che il prima e il poi spariscano in una esperienza del puro presente: quando il matematico intuisce la soluzione di un problema di geometria, è impossibile dire se aver visto la soluzione del problema sia stata la conseguenza o la causa del fatto di averla conosciuta. Lo scorrere del tempo è come se venisse fermato; proprio come, se ci è lecito il raffronto, lo spazio viene annullato dalla realtà del punto, nel quale non vi è estensione e diviene impossibile dire se un punto posto lungo una linea sia esterno o interno ad essa. Il pensiero intuitivo è vero pensiero ma è anche qualcosa di più del semplice pensare, è un cogliere le cose al volo, oltrepassando gli ostacoli e le obiezioni poste dalla coscienza ordinaria, che vuol sempre sapere se una cosa è dentro o fuori di noi, se avviene prima o dopo quel certo evento; e che giudica a propri impossibile oltrepassare i limiti dello spazio e del tempo. Eppure una madre sente che suo figlio sta morendo, anche a migliaia di chilometri di distanza: conosce il fatto, e tanto peggio per la mete razionale che non saprebbe come spiegarlo. Noi conosciamo parecchie cose che, in teoria non "dovremmo" conoscere, ad esempio perché non siamo mai stati in quel certo luogo o perché quel fatto non è ancora accaduto nella dimensione del tempo. Ma se noi siamo immersi, dal punto di vista fisico, nella dimensione temporale, ciò non significa che la nostra coscienza si risolve esclusivamente in essa. A determinate condizioni, il nostro spirito può uscire al corpo, vedere e conoscere cose che accadono altrove o in un tempo diversa dal presente, nel passato o nel futuro. E ciò vale non solo per la dimensione naturale, ma anche per quella soprannaturale. Lo spirito dei santi può vedere e sentire quel che avviene in altri piani di realtà e perfino nell’Assoluto: può vedere le anime che hanno lasciato questo corpo e questo mondo, può parlare con loro, ed esse con lui. Niente a che vedere con le cosiddette visioni di quanti assumono sostanze allucinogene per oltrepassare i limiti della coscienza ordinaria: ciò che essi vedono, ciò che odono è qualcosa di puramente soggettivo, mentre le visioni dei veri mistici sono fatti reali di cose reali.

Ma torniamo alla dimensione ordinaria dell’esistenza. In essa due categorie di persone si avvicinano più di tutte alla conoscenza sovrasensibile, proprio perché la loro maniera di accostarsi alle cose nasce da una particolare sensibilità e quindi si caratterizza per il suo carattere empatico e intuitivo: l’artista e il bambino. L’uno e l’altro hanno la capacità di afferrare al volo l’essenza di una determinata cosa; con la differenza che il primo lo fa da persona adulta, cioè muovendosi pur sempre entro precise categorie mentali, fondate sullo spazio e il tempo, sul dentro e il fuori, sulla causa e l’effetto; il secondo lo fa con tutto lo stupore di chi vede il mondo ancora intatto e misterioso, e un’apertura coscienziale che ignora le rigide categorie mentali dell’adulto, per cui ritiene possibile quasi qualsiasi cosa. Questa apertura sul possibile fa sì che al bambino, e solo al bambino, accadano esperienze di consapevolezza integrale, nelle quali la sua coscienza si dilata fino ad abbracciare, magari per una frazione di secondo, una realtà molto più vasta. Naturalmente stiamo parlando del vero bambino, oggi così raro da incontrare; perché una società come la nostra, che non rispetta l’infanzia perché si adopera col massimo impegno a trasformare i bambini in adulti precoci, anche la coscienza infantile perde le sue caratteristiche di spontaneità, empatia e apertura coscienziale e viene sostituita anzitempo da quella adulta, secondo la quale la quale certe cose non accadranno mai, semplicemente perché essa ritiene, in base a un quadro assai incompleto della realtà, che non possano accadere. Non per nulla Gesù Cristo dice che per entrare nel Regno di Dio bisogna tornare ad essere come i bambini: non è un’espressione retorica, ma una precisa descrizione dello stato di coscienza che consente l’apertura verso l’Assoluto.

C’è poi un altro fattore da considerare: la memoria. Conoscere non è solo percepire in maniera veritiera e aver coscienza di sé, ma anche ricordare e istituire un confronto fra le cose ricordate, cioè percepite nel passato, e le cose percepite nel presente. Nessuno potrebbe dire: Questa è la casa della mia infanzia, se la memoria non consentisse questa associazione mentale. Tuttavia, se già la percezione della realtà avviene in forme soggettive, a maggior ragione la memoria opera soggettivamente le sue associazioni mentali. Da ciò le discrepanze che si notano quando due o più soggetti confrontano il dato presente con quello passato, ad esempio una persona conosciuta molti anni prima e ora improvvisamente riapparsa, e ne ricavano impressioni fra loro anche assai diverse. Ma l’intreccio fra intuizione, sensibilità e memoria genera un complesso di operazioni mentali che possono produrre forme di conoscenza sempre più personali e irripetibili. Trattandosi di un concetto piuttosto complesso da spiegare, proveremo a esprimerlo per mezzo di un ricordo personale. Da bambini, la gita domenicale più bella per noi era quella che prendeva la direzione del Nord, verso le montagne; non importava la meta, l’importante era andare verso i monti. Lasciata la città, il primo paese che s’incontra è Tricesimo, che sorge proprio a fianco della statale Pontebbana. All’altezza dell’albergo Boschetti il terreno, sul lato destro, si alza di livello, e infatti un muro di pietra domina la strada fino all’altezza della chiesa, che drizza il suo campanile un poco più avanti. Ecco, in quel punto preciso — all’imbocco di via Marconi — a noi pareva quasi che il piede di un gigante sceso dalle montagne, arrivasse a lambire la strada che sale verso la Carnia, ciò che aveva qualcosa d’incongruo, trattandosi d’una zona ancora pianeggiante, salvo alcune ondulazioni che da lì appunto si prolungano in direzione di Tarcento. Adesso stiamo esprimendo questo concetto in termini chiari e geograficamente precisi, com’è proprio dell’adulto; ma allora era solo una sensazione, o meglio una intuizione: la tipica forma di conoscenza del bambino. Questi ha un atteggiamento del tutto diverso da quello dell’adulto di fronte alle cose: prova stupore, perché non ha ancora visto nulla così spesso da essersi assuefatto, e coglie l’oggetto con tutti sensi, afferrandolo nella sua interezza: colori, odori, sapori, suoni, ecc. Di conseguenza, ogni cosa per lui ha un che di magico: è per questo che i giocattoli, nelle sue mani, si animano e gli danno emozioni che, crescendo, non proverà più. D’altra parte non tutti i bambini hanno la stessa sensibilità, così come gli adulti hanno forme diverse di razionalità. A noi sembrava naturale provare quelle sensazioni quando passavamo accanto a quel luogo e ci pareva che chiunque le provasse, o almeno le avrebbe capite perfettamente se le avessimo espresse. Ora però sappiamo che non è così, che erano solo nostre; e infatti, quando più tardi abbiamo provato a condividerle con altri, ci siamo accorti che era qualcosa che essi non capivano. E infatti conoscere è un atto quanto mai misterioso. Intuizione, sensibilità, memoria: più qualcos’altro…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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