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Si rinnova il tradimento dello Stato verso la nazione

10 giugno 1940: un giovanissimo tenente del Regio esercito ascolta emozionato, insieme al suo reparto schierato in piazza d’armi, l’annuncio solenne della dichiarazione di guerra. È un militare di carriera e sente, intuisce, pur nella quasi completa inesperienza dei suoi diciannove anni, che è scoccata un’ora decisiva sul quadrante della storia e che tutta la sua vita, il suo futuro, e quello di quaranta milioni d’italiani, vengono messi in gioco da quella decisione e dagli eventi che stanno per determinarsi. Non è fascista, e nemmeno antifascista; è stato educato nel culto della Patria e ora avverte che la Patria sta per affrontare un terribile cimento, e che entro pochissimo nulla sarà più come prima, e ciascuno avrà bisogno di attingere a tutte le proprie riserve di fede, di energia fisica e morale, di forza di volontà. Proveniente da una famiglia siciliana onesta ma poverissima, orfano di entrambi i genitori ancora bambino, si è già fatto notare per la viva intelligenza, vincendo un premio scolastico che comportava una crociera in Medio Oriente sulla motonave Rex: arrivato a Porto Said proprio mentre stava scoppiando la guerra italo-etiopica, aveva notato gli sguardi carichi di odio degli arabi,e le ostentate manovre della squadra navale inglese, quasi ad ammonire l’Italia che aveva osato tanto. Subito dopo, per non gravare sul magro bilancio delle sorelle più grandi, aveva chiesto e ottenuto d’iscriversi al corso allievi ufficiali a soli sedici anni, due prima del minimo stabilito per legge; e dopo averlo concluso, promosso tenente di fanteria era stato destinato a Fiume, dove appunto l’aveva raggiunto la dichiarazione di guerra. Poco più di tre anni dopo, l’8 settembre 1943, l’armistizio metteva fuori gioco l’Italia e la gettava nelle mani degli Alleati al Sud, e degli ex alleati tedeschi al Nord. È la morte delle Forze Armate e della Patria. Frastornato, incredulo, egli vede franare quel mondo che aveva ritenuto saldo e durevole, fatto non solo di uomini e armi, ma soprattutto di sentimento dell’onore e dedizione illimitata al dovere; e vede svanire nel nulla i durissimi sacrifici sopportati sia dai militari che dalla popolazione civile, nella speranza di una vittoria che si è allontanata sempre più, fino a svanire nel tragico risveglio della disfatta. Distaccato di guarnigione ai confini della Dalmazia, la notte andava a dormire con la pistola d’ordinanza sotto il guanciale: tutta la zona era teatro delle sanguinose imprese dei partigiani slavi e si sapeva a quali terribili torture sottoponessero i soldati italiani che avevano la sventura di cadere nelle loro mani, prima di essere uccisi. Adesso, però, tutto era finito; ora si apriva un altro capitolo, un’altra odissea, che si sarebbe protratta per quasi altri due anni, che sarebbero stati se possibile ancor più duri, ancor più cupi e con un’unica certezza: che l’Italia, in ogni caso, era stata fatta fuori, e ben difficilmente avrebbe potuto risorgere, almeno così come l’avevano conosciuta, amata e servita quelli della sua generazione, e che per lei erano stati pronti a sacrificare ogni cosa, anche la vita stessa. Le belle navi agili e possenti non sarebbero più tornate, la stagione dell’odio avrebbe richiesto moltissimo tempo prima che si spegnessero i suoi strascichi funesti. La cosa più traumatica per il giovanissimo ufficiale italiano, temperamento tanto fiero quanto leale — era nostro padre, e non amava parlare di quegli anni, di questo ricordo in particolare parlò una volta sola — fu il comportamento del Re, al quale lui e tutti i suoi commilitoni avevano giurato obbedienza, con tutto l’entusiasmo e, se si vuole, l’ingenuità dei loro vent’anni, al momento d’intraprendere la carriera militare. Avevano giurato con le sciabole sguainate a lui e non a Mussolini; per lui e per la casa regnante sarebbero stati pronti e disposti a dare il sangue; e lui era fuggito col buio, prima dell’alba, come un ladro, abbandonando la capitale e senza dare ordini o disposizioni a chicchessia, né all’esercito né al governo e ai funzionari pubblici, ne senza rivolgere una parola di verità, o anche solo d’incoraggiamento, al suo popolo che già aveva sofferto tanto. Con quella fuga, preoccupati solo della propria salvezza, lui e Badoglio scavarono un solco incolmabile fra lo Stato, che tradiva la nazione e l’abbandonava nell’ora del pericolo, e il popolo italiano. Quella ferita immedicabile, dopo aver suppurato per tutti questi anni sotto le bende, ora s’è nuovamente aperta.

Dopo la guerra nostro padre lasciò l’esercito con il grado di tenente colonnello e s’inventò una nuova carriera. Intelligente com’era, aveva preso due lauree ed era diventato professore, infine preside: non come si usa oggi, con una semplice domanda burocratica, ma conquistandosi il titolo per esami, a Roma, come usava allora, e continuando a servire lo Stato, in un altro ambito ma con la stessa passione e dedizione di prima. Della sua stagione militare è rimasta la sua sciabola d’ordinanza, malinconico ricordo abbandonato in un angolo, che aveva recuperato con emozione, a distanza di tanti anni dalla fine della guerra, tornando in Jugoslavia ove una persona amica l’aveva custodita per tutto quel tempo. Chissà perché, ma ci accade di sentirlo vicino come non mai, benché ci abbia preceduti da oltre vent’anni nella nostra Patria vera e definitiva, mentre guardiamo un documento che testimonia un momento che per noi è stato solenne e commovente, forse, quanto per lui il giuramento da ufficiale: il certificato della Prima Comunione, che ora è appeso al muro come un quadretto. Reca l’intestazione della chiesa metropolitana di Udine, la data del 9 maggio 1965 e la firma dell’arciprete di allora, monsignor Riccardo Travani, ed è impreziosito da una riproduzione della bellissima Assunzione della Beata Vergine Maria di Giambattista Tiepolo che si trova nell’oratorio della Purità — la stessa chiesetta ove si erano sposati i nostri genitori. Avevamo otto anni: l’età più bella di tutte, quando si è ancora abbastanza grandi da cominciare a capire e a riflettere, ma abbastanza piccoli da vivere in un mondo ancora vergine, rivestito di tutto il suo incanto. Eppure, il collegamento fra le due cose probabilmente c’è. Nel nostro cuore pieno di slanci, in quel giorno, abbiamo formulato una promessa: Sarò tuo, mio Signore, come lui, il papà, aveva formulato un’altra promessa, anch’essa piena di solennità: Servirò con fedeltà e onore il Re e la Patria. E come per lui è arrivata la terribile disillusione dell’8 settembre, con la fuga ignominiosa del Re, del capo del governo e di tutti, o quasi tutti, coloro che ricoprivano una qualche autorità, così a noi è toccata la cocente disillusione di vedere una Chiesa che rinnega se stessa, un clero che pianta in asso i fedeli, un falso papa bestemmiatore e bugiardo, che inganna e tradisce il popolo di Dio. E contemporaneamente uno Stato che di nuovo, come allora, inganna e tradisce i suoi cittadini, li pianta in asso nel momento più difficile, li priva di ogni libertà e della loro stessa dignità, seminando ad arte un terrore studiato a tavolino; che tratta come delinquenti le persone che escono di casa senza mascherina, o i commercianti che riaprono i negozi dopo tre mesi di chiusura e non hanno con sé quel certo tipo di disinfettante prescritto dal decreto; che decide la cremazione dei morti e l’isolamento dei malati; che lascia i morenti senza i conforti religiosi e i vivi senza un lavoro con cui guadagnarsi il pane; che falsifica i dati, alimenta la paura, insegue coi droni e le forze dell’ordine, per multarli, quelli che fanno una passeggiata nei boschi o in riva al mare senza la museruola, la quale li obbligherebbe a respirare la propria anidride carbonica invece del’aria sana e pura di un luogo aperto e tutt’altro che affollato; che fa di tutto perché la gente resti prigioniera dell’incubo, mentre ovunque nel resto del mondo si torna a vivere serenamente; che ha già deciso che il virus tornerà in autunno e le lezioni scolastiche dovranno riprendere con le classi dimezzate, a turno, o per via telematica, anche se neppure un bambino o un ragazzo si sono ammalati e sono stati in pericolo nemmeno a marzo, al tempo della massima allerta. Il tutto mentre migliaia di clandestini continuano a sbarcare indisturbati e per essi sono pronti soldi, mascherine e assistenza sanitaria, mentre per i cittadini italiani, che pure se li pagano di tasca loro, non ci sono guanti né mascherine a sufficienza. Di nuovo un tradimento, stavolta perfino più odioso, perché allora il re fuggì come un vigliacco, sì, ma per paura, mentre ora i nostri governanti fuggono dopo averci venduti al grande capitale finanziario e alle multinazionali farmaceutiche, per obbligarci a fare le vaccinazioni con le quali verremo definitivamente marchiati e controllati; mentre il falso papa e il falso clero ci tradiscono per farci apostatare a nostra insaputa e consegnarci nelle mani della massoneria satanica e anticristiana. E mentre allora il re si contentò di scappare fino a Pescara e poi a Brindisi, adesso quelli che ci tradiscono sono già scappati, di fatto, dall’Italia, e con le loro belle case a Londra e a New York, o con le loro fabbriche trasferite all’estero, come la Fiat, da lì si permettono di decidere la nostra vita e il nostro futuro, e ci sacrificano come carne da macello, da un lato agli usurai della BCE, dall’altro agli invasori afro-islamici. E la chiesa dei poveri sta a guardare, se ne frega e ci lascia senza Messa, perfino il giorno della santa Pasqua.

Ebbene, anche a noi è stato insegnato il senso dell’onore. Ce l’hanno insegnato prima di tutto i genitori; poi le maestre e i professori; indi i sacerdoti e i catechisti; infine i superiori nel lavoro e gli ufficiali, quando abbiamo a nostra volta prestato servizio nell’esercito. Comprendiamo che oggi è passato di moda e ai giovani non viene più insegnato da alcuno, o quasi; eppure non possiamo fare finta di non possederlo, ce l’abbiamo, è entrato nel nostro DNA e fa parte del nostro modo di vivere e di vedere il mondo. È per esso che non abbiamo mai cercato scorciatoie o raccomandazioni, non abbiamo mai accettato favori illeciti, e abbiamo preferito una coscienza pulita a una carriera più brillante che, forse, altri assai meno meritevoli hanno fatto, con tutti i relativi vantaggi e privilegi, ma dei quali non siamo mai stati invidiosi, perché ci è stato mostrato, anzitutto con l’esempio, che nulla è più gratificante che potersi guardare allo specchio senza mai arrossire o essere tentati di abbassare gli occhi. Per questo ora ci sentiamo ingannati e traditi, e proviamo un moto di sdegno di fronte a questi indegni uomini politici e uomini di chiesa, tutti mercenari senza patria e senza onore, pronti a venderci al nemico — perché la grande finanza speculativa è il nostro nemico, com’è nemica di qualunque società fondata sulla famiglia, sul lavoro e sul risparmio — e formuliamo in cuore una promessa, anzi un solenne giuramento: no, non ci arrenderemo; non ci lasceremo più ingannare e tradire; lotteremo contro questi mercenari prezzolati, travestiti da governanti e da ecclesiastici, contro questi massoni degenerati che non hanno neanche un briciolo di coscienza e giocano con le vite altrui come si trattasse di cose inanimate e non di persone in carne ed ossa. Non ci piegheranno, non ci compreranno; non permetteremo a quei mostri di vaccinare noi e tanto meno i nostri figli e nipoti: ci batteremo finché ne avremo la possibilità, perché abbiamo un debito con le nuove generazioni, le abbiamo messe al mondo e non possiamo piantarle in asso in un momento tanto difficile. Come i nostri genitori ci hanno fatti nascere in un mondo che era vivibile, nel quale si poteva lavorare e costruire una famiglia, così dobbiamo fare a nostra volta. Dobbiamo essere d’esempio ai giovani, come i nostri genitori lo sono stati per noi.

I giovani, oggi, sono allo sbando. Bombardati dai mille messaggi nichilisti e demenziali veicolati dalla tecnologia elettronica, facili prede del miraggio di stili di vita ultraedonisti e ultraindividualisti che vedono sbandierati in continuazione, lasciati soli e senza punti di riferimento, non trovano in se stessi le risorse per reagire, per riappropriarsi della loro intelligenza, della loro volontà e del senso della loro vita. I giovani sono allo sbando perché le due grandi agenzie educative, la scuola e soprattutto la famiglia, sono state attaccate e colpite al cuore dalla strategia distruttrice studiata, attuata e finanziata dall’élite massonica che spinge sull’acceleratore della globalizzazione, distruggendo la tradizione e, con essa, tutto ciò che è vero, bello e buono, per sostituirlo con ciò che è falso, brutto e malvagio. La famiglia è stata presa di mira al preciso scopo di neutralizzare l’educazione positiva dei giovani; non paghi dei risultati finora ottenuti, i Padroni Universali, per mezzo dei loro burattini nei vari governi e nella stessa chiesa cattolica, premono affinché i bambini vengano sottratti all’influenza delle famiglie e posti sotto il controllo di aberranti istituzioni che capovolgano in essi il senso del vero, del bello e del buono, o addirittura siano dati in affido a famiglie arcobaleno allo scopo di mostrare che la famiglia formata da uomo e donna è superata. È lì che si combatterà la prossima battaglia: dopo aver aggredito la famiglia e l’educazione, adesso, sfruttando il panico creato ad arte con la falsa pandemia, l’élite massonica vuol completare l’opera diabolica e distruggere definitivamente quel che resta della morale naturale, della libera intelligenza e perfino del più elementare buon senso; e intanto ridurre drasticamente la popolazione mondiale. Dobbiamo condurre la gene a sottomettersi volontariamente alla servitù e chiedere a noi la soluzione di ogni problema, cominciando da vaccinazioni, prelievi e controllo totale in funzione della propria sicurezza, mentre noi potremo procedere allo sterminio, diceva l’ex segretario di Stato americano e consigliere per la sicurezza nazionale Henri Kissinger, classe 1923 e vivente, oggi novantasettenne, insignito del Nobel per la Pace nel 1973 (cioè l’anno in cui lanciava il golpe di Pinochet in Cile). Perché questi mostri ormai non si curano più di nascondere i loro obiettivi e cominciano a dichiararli a voce alta. Anche il cardinale Danneels ha scritto e dichiarato che fu la mafia di San Gallo a eleggere Bergoglio e verosimilmente a far dimettere Ratzinger, il che rende quei cardinali scomunicati latae sententiae. Il gioco si fa duro, ma chiaro. Che altro deve ancora accadere?

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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