Stiamo vivendo la fine di un ciclo e forse della storia
24 Maggio 2020Qualcuno si ricorda della Croce di Auschwitz?
27 Maggio 2020Vale la pena di rileggersi il contenuto di alcuni dei messaggi rivolti da Gesù Cristo a Padre Pio nel corso delle sue visioni interiori, così come il santo di Pietrelcina li aveva confidati, per lettera, al suo direttore spirituale e confessore. E questo già nel 1913, mezzo secolo prima del Concilio e delle successive aberrazioni ecclesiastiche, ma ancora nel pieno, o quasi, della crisi modernista, che aveva indotto Pio X a emanare l’enciclica Pascendi per scomunicare quel funesto movimento, poi riapparso, sotto mentite ma trionfali spoglie, appunto nel Vaticano II (cit. in: A. Negrisiolo, N. Castello e S. Manelli, Padre Pio nella sua interiorità, Edizioni San Paolo, 1997, pp. 199-200):
Ascoltiamo il lamento di Gesù sui consacrati, così come Padre Pio lo affida, per lettera, al suo direttore nel mese di marzo 1913:
«Con quanta ingratitudine viene ripagato il mio amore dagli uomini. Sarei stato meno offeso da costoro se l’avessi amati di meno. Mio Padre non vuole sopportarli. Io vorrei cesare di amarli, ma… il mio cuore è fatto per amare!…
Rimango solo di notte, solo di giorno nelle chiese. Non si curano del sacramento dell’altare; non si parla mai di questo sacramento di amore… Il mio cuore è dimenticato; nessuno si cura più del mio amore; io sono sempre contristato. La mia casa è diventata per molti un teatro di divertimenti; anche i miei ministri, che ho sempre riguardati con predilezione, che io ho amati come la pupilla dell’occhio mio, essi dovrebbero confortare il mio cuore colmo di amarezze; essi dovrebbero aiutarmi nella redenzione delle anime; invece, chi lo crederebbe? Da essi devo ricevere ingratitudini e sconoscenze.
Vedo, figlio mio, molti di costoro che… (qui si chetò, i singhiozzi gli strinsero la gola, pianse in segreto) sotto ipocrita e sembianze mi tradiscono con comunioni sacrileghe, calpestano i lumi e le forze che continuamente do a essi… Gesù continuò ancora a lamentarsi…» (Ep. I, p. 342).
Poiché il lamento di Gesù è reale, vivo, bruciante, Padre Pio si sentì "costretto", dopo soli tre giorni, a scrivere ancora al suo direttore:
«Gesù si lamenta moltissimo per le ingratitudini degli uomini, ma in modo speciale per quelli della nostra amata provincia. O padre mio, quante offese riceve Gesù dai nostri frati.
I religiosi, dice Gesù, si credono di essere tanti principi…. Dov’è il loro voto di povertà? Quante anime scandalizzano essi per la trasgressione della loro professione. Il mio Padre non vuole più sopportarli. Anch’io vorrei abbandonarli a se stessi, ma ahimè!… (qui Gesù tace e piange e dopo riprende) il mio cuore è fatto per amare. Parla, figlio mio, non tacere, parla; fa’ sentire loro la mia collera.» (Ep. I, pp. 344-345).
Gesù va più avanti e svela a Padre Pio quanto è profonda l’ingratitudine umana: arriva all’indifferentismo, al disprezzo, all’incredulità e anche oltre.
Senza alcun commento, lasciamoci penetrare da questa narrazione cruda, ove traspare il doloroso mistero dell’agonia di Gesù, che si rinnova, di ora in ora:
«Venerdì mattina mi apparve Gesù. Era tutto malconcio e sfigurato. Egli mi mostrò una grande moltitudine di sacerdoti regolari e secolari, fra i quali diversi dignitari ecclesiastici; di questi chi stava celebrando, chi si stava parando, e chi si stava svestendo delle sacre vesti.
La vista di Gesù in angustie mi dava tanta pena, perciò volli sapere perché soffrisse tanto. Nessuna risposta n’ebbi. Però il suo sguardo si riportò verso quei sacerdoti; ma poco dopo, quasi inorridito e come se fosse stanco di guardare, ritirò lo sguardo e allorché lo rialzò verso di me, con grande mio orrore, osservai due lacrime che gli solcavamo le gote. Si allontanò da quella turba di sacerdoti con una grande espressione di disgusto sul volto, gridando: "Macellai!" e ricolto a me: "Figlio mio, non credere che la mia agonia sia stata di tre ore; no, io sarò, per cagione delle anime da me più beneficate, in agonia fino alla fine del mondo. Durante il tempo della mia agonia, figlio mio, non bisogna dormire.
L’anima mia va in cerca di qualche goccia di pietà umana, ma ahimè! Mi lasciano solo sotto il peso della indifferenza. L’ingratitudine e il sonno dei miei ministri mi rendono più gravosa l’agonia.
Ahimè, come corrispondono male al mio amore! Ciò che più mi affligge è che costoro alla loro indifferenza aggiungono il disprezzo e l’incredulità! Quante volte ero lì per fulminarli, se non ne fossi stato trattenuto dagli angeli e dalle anime di me innamorate…»
Davanti a tale spettacolo, Padre Pio afferma: «Gesù ha ragione di lamentarsi della nostra ingratitudine! Quanti disgraziati nostri fratelli corrispondono all’amore di Gesù col buttarsi a braccia aperte nell’infame setta della massoneria!» (Ep I, pp. 350-351).
Gesù, dunque, ha spianato a Padre Pio la strada della riparazione: questo è l’aspetto più profondo della sua missione.
E così, alla fine, viene fuori anche la parola chiave: massoneria. Così come essa viene fuori ripetutamente nei messaggi della Madonna a don Stefano Gobbi. Chi parla più del Movimento sacerdotale mariano di don Stefano Gobbi? Eppure, o forse proprio perché, don Gobbi aveva messo il dito esattamente sulla piaga: il clero massone, la massoneria penetrata largamente nelle file del clero cattolico, fino a raggiungere i vertici della gerarchia. Vescovi, arcivescovi e cardinali massoni. Massoni e satanisti, come dichiarava anche don Gabriele Amorth, e lo diceva dopo aver costretto il demonio a confessare la verità, nel corso d’innumerevoli esorcismi. Massoni, satanisti e invertiti, abusatori seriali di ragazzini, seminaristi e giovani preti, con tanto di orge a base di droga e sesso gay: come si è visto nel caso di monsignor Capozzi, segretario personale di un pezzo da novanta della Curia vaticana, il cardinale Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi (oggi presidente emerito). Eppure Coccopalmerio non è stato neanche sfiorato dalle conseguenze di quello scandalo: è ancora lì, immacolato, più saldo e più bergogliano che mai. E neanche monsignor Ricca è stato sfiorato dalle conseguenze della pessima reputazione che si è fatto in Uruguay, quand’era nunzio apostolico in quel Paese e frequentava locali di un certo tipo, ove poi la polizia doveva andarlo a raccattare, disfatto dopo le sue notti brave; e nel frattempo coabitava con un bel capitano svizzero, indifferente alle voci che ciò suscitava. Tornato in Italia, non solo è stato nominato a un posto chiave alla direzione dello I.O.R., ma anche amministratore di due case per sacerdoti in pensione, una delle quali, vedi com’è piccolo il mondo, è Casa Santa Marta. Come dire che Bergoglio ha disdegnato di abitare nel Palazzo Apostolico, come tutti i suoi predecessori, per mettersi sotto il tetto di un monsignore che appartiene alla lobby gay e che da alcuni indizi sembra essere un massone di grado ben superiore al suo. Allora forse si capisce anche il perché della scelta di disertare il Palazzo Apostilico, dettata non, come ci si è voluto far credere, dalla umiltà e dalle abitudini semplici e anticonvenzionali del nuovo papa, ma dalle disposizioni della massoneria ecclesiastica, che, dopo averlo fatto eleggere papa, ovviamente in maniera illegittima e a prezzo della scomunica latae sententiae per tutti i cardinali elettori, non vuole perderlo di vista nemmeno per un attimo, ma esercitare su di lui il controllo più stretto.
L’infedeltà a Cristo e l’apostasia dalla fede stanno ormai raggiungendo forme esplicite e sempre più sfrontate, e la tecnica è sempre la stessa: si insinua un piccolo cuneo nella dottrina, si crea una limitata eccezione, poi, senza fretta, si lavora per allargare la fessura, trasformarla in uno squarcio e far crollare tutto l’edificio, magari in un arco di cinquant’anni. Alla fine il risultato è sicuro, perché i fedeli si sono lentamente abituati al cambiamento e finiscono per non percepirne il carattere ereticale e blasfemo, tanto più che la quasi totalità del clero sembra assecondarlo con entusiasmo. Si prenda il caso dell’omosessualità. Il Magistero ne ha sempre condannato severamente la pratica (non la tendenza in se stessa), che santa Caterina da Siena definiva un peccato così turpe da fare schifo anche ai demoni, e che nel Catechismo di san Pio X era annoverata fra i quattro peccati che gridano vendetta a Dio. Ora però l’atteggiamento del clero è profondamente cambiato. Sulla scia del famoso "ponte" gettato dal gesuita James Martin, si moltiplicano i segnali di sdoganamento, fra i quali l’organizzazione di un corso di affettività per le persone gay presso la diocesi di Torino, sotto gli auspici dell’arcivescovo Nosiglia: sede del corso per fidanzati omosessuali, un convento di suore. A Palermo un sacerdote, don Scordato, presenta alla comunità dei fedeli due lesbiche in chiesa, sull’altare, durante la santa Messa, esaltando la bellezza del legame che le unisce e solo rammaricandosi che la Chiesa non riconosca ancora le unioni di quel genere con un apposito "sacramento". L’ultima novità è che l’arcivescovo super-bergogliamo Zuppi, di Bologna, nel promuovere la pubblicità di un libro dove una serie di esperti tirano acqua allo stesso mulino, quello dello sdoganamento della pratica omosessuale, edito dalla San Paolo e con prefazione del direttore del quotidiano della C.E.I., L’Avvenire, Marco Tarquinio, viene elogiato a caratteri cubitali dal medesimo giornale (che fa, così, pubblicità anche a se stesso), con questo titolone: Zuppi: gli omosessuali? La diversità è ricchezza. Così, con la tecnica della finestra di Overton, nell’arco di mezzo secolo, dal Vaticano II a oggi, si è passati dal peccato che grida vendetta al cospetto di Dio, a una ricchezza che merita di essere apprezzata e valorizzata. Le forze che stanno dietro a questa operazione, come pure la loro agenda di lavoro, non sono difficili da individuare. Fino alla metà del XX secolo e un po’ oltre, quasi tutti gli studiosi, sia medici che psicologi, erano concordi nel definire l’omosessualità come una grave patologia, meritevole di essere trattata con rispetto, ma anche come una deviazione da curare. Poi il 17 maggio 1990 l’Associazione Psichiatrica Americana cancellò l’omosessualità dal Manuale dei Disturbi mentali e tutti gli specialisti si adeguarono nelle loro pubblicazioni e nelle loro conferenze: singolare prontezza nel riposizionarsi da parte di studiosi che definiscono il loro ambito di ricerca come scientifico. Mancava tuttavia una cosa, affinché l’opera fosse completa: un diverso atteggiamento da parte della Chiesa. Se l’omosessualità non era più un disturbo, ma per i cattolici restava un peccato, le lobby LGBT non potevano ancora ritenersi soddisfatte. E il Catechismo parlava (e, in teoria, parla ancor oggi) in maniera assai chiara (§ 2357):
L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ».^ ^Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
E allora, caro Martin, caro Scordato, caro Nosiglia, caro Zuppi, caro Tarquinio, come la mettiamo? Che razza di dottrina è quella cui vi riferite, quando vi presentate come cattolici? Che cattolicesimo è il vostro? E che razza di papa è Bergoglio, quando dice: chi sono io per giudicare un gay? Dov’è la fedeltà a Dio, dov’è la lealtà verso il Magistero di queste persone? Qualcuno potrebbe obiettare che Gesù non condanna esplicitamente l’omosessualità, per il semplice fatto che non ne parla. Non è vero, questa è una menzogna. Ne parla, eccome. In Luca, 10, 11-12, Gesù dice: Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città. Se esiste una cosa che si chiama logica, Gesù ha voluto dire che gli abitanti delle città che rifiutano il Vangelo riceveranno il trattamento più duro di tutti da parte del Padre, e per darne un’idea, dice che perfino gli abitanti di Sodoma saranno trattati meno severamente di loro nel giorno del Giudizio: il che implica che il peccato della sodomia è il più grave e quello che merita il castigo più duro, a parte il peccato di quanti rifiutano deliberatamente la Parola di Dio. Non avrebbe senso che Gesù abbia fatto un accostamento con un peccato lieve, lievemente punito da Dio: ha senso che Egli abbia fatto un accostamento con il peccato peggiore di tutti. Ma sappiamo chi e cosa ha spinto questo falso clero a tradire così malvagiamente il Vangelo: la massoneria, contro la quale Gesù stesso mette in guardia i credenti per il tramite di Padre Pio. Quindi o si è massoni, o cattolici…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI