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Stiamo vivendo la fine di un ciclo e forse della storia

Noi moderni viviamo all’interno di un paradigma culturale evoluzionista, progressista, scientista e storicista. Ci è stato insegnato, fin da piccoli, che il divenire umano è una evoluzione e un progresso; che si attua nella storia ed è illuminato dalla scienza: pertanto, che ogni società umana procede dal meno al più, dalla barbarie alla civiltà. Va da sé che noi, rispetto a tutte le generazioni che ci hanno preceduto, siamo di gran lunga i più fortunati, perché abbiamo avuto la ventura di nascere non già nelle buie età in cui dominavano l’ignoranza, la superstizione e l’irrazionalità, ma nella meravigliosa epoca in cui la ragione regola ogni cosa, la scienza (materialista ed evoluzionista) spiega i fenomeni, e gli uomini possono godere i frutti del progresso in una misura che i nostri progenitori, e perfino i nostri nonni o i nostri genitori, non avrebbero neppure sognato. Figuriamoci: senza il telefonini, senza il computer, senza la televisione! Ma che razza di vita doveva essere, la loro? Poco di più di una vita puramente animalesca, biologica; noi sì, invece che possiamo assaporare le gioie di una raffinata civiltà tecnologica!

Secondo la visione tradizionale, oggi quasi del tutto obliata, ma che un tempo informava di sé l’intero paradigma culturale, politica, legislazione, medicina e filosofia comprese, le cose stanno esattamente al contrario. Noi stiamo vivendo un’età oscura, quella che nella tradizione indiana si chiama Kali Yuga, perché abbiamo voltato le spalle all’Essere e abbiamo sviluppato esclusivamente il lato materiale della nostra natura, sia al livello dei singoli individui, sia al livello della società. Abbiamo smarrito la saggezza primordiale e ci siamo persi in vani ragionamento che hanno l’apparenza della logica e della razionalità, ma di una logica aberrante e una razionalità puramente strumentale, che, concentrandosi sul come e mai sul perché, ci mette in grado di fare cose grandi, e potenzialmente terribili (la bomba atomica, la clonazione degli esseri viventi, la fecondazione eterologa) ma senza avere il controllo della situazione, anzi, facendoci prendere la mano e trascinare sempre più lontano dalla nostra stessa tecnica e dal nostro stesso "progresso" scientifico. Il quale poi non è tale, perché il vero progresso tiene sempre unito i mezzi e i fini, il materiale e lo spirituale, e non smarrisce mai la fondamentale unità della natura umana, fatta di corpo e spirito, e nella quale è lo spirito a guidare il corpo e non viceversa.

Ora, nella visione tradizionale — della quale il cristianesimo è una variante particolare, e, per i credenti, la sola assolutamente perfetta e definitiva — la struttura del corpo sociale riflette la quadruplice struttura dell’organismo vivente. Le funzioni più semplici, ma anche più indispensabili, sono svolte da quanti si dedicano al lavoro della terra e alla produzione delle merci necessarie alla vita, proprio come nell’organismo vi è un sistema di organi e di funzioni preposti al buon funzionamento della vita biologica fondata sulla nutrizione, sulla rigenerazione delle cellule e sulla riproduzione. Poi nella società vi sono quanti si dedicano ai traffici, i mercanti: è la classe borghese, anch’essa utile e necessaria, ma che non può pretendere di governare, perché ciò che è istintuale e inferiore non può comandare allo spirituale e al superiore: e la scienza del governo — perché di una vera scienza si tratta – è riservato alle classi superiori. Le quali si articolano nei due rami della nobiltà guerriera e del sacerdozio regale: ad esse spetta la conduzione dell’intero corpo sociale, perché le loro energie sono rivolte esclusivamente alla difesa morale e spirituale della comunità, ed esse hanno le conoscenze necessarie per farlo in senso spirituale. Si ricordi che stiamo parlando di una struttura ideale, che non trova, come nel caso della Repubblica di Platone, il suo corrispondente esatto in alcun organismo storico determinato. Nei tempi antichi, non di barbarie ma della più alta civiltà, vi era una figura sacrale che era al tempo stesso regale, sacerdotale e guerriera e rispecchiava il collegamento fra la terra e il cielo, fra gli mondo degli uomini e quello divino. Quando la figura del Pontefice Massimo si è separata da quella del re o dell’imperatore, è iniziata la parabola discendente e la progressiva degenerazione della struttura sociale.

Scriveva Julius Evola nell’articolo del 1931 Due facce del nazionalismo (in: J. Evola, Nazionalismo, germanesimo, nazismo, Genova, Fratelli Melita Editori, 1989, pp. 34-36):

Si sa quale remota tradizione abbia l’analogia fra l’organismo politico e l’organismo umano. In ogni forma superiore di organizzazione corporea, vi è però una connessione gerarchica di quattro funzioni distinte: al limite inferiore, ci sono le energie indifferenziate dalla vitalità pura — ma su di esse già dominano le funzioni degli scambi e dell’economia generale organica — le quali a loro volta nella VOLONTÀ trovano ciò che muove e dirige il tutto del corpo nello spazio. Infime, al sommo, una potenza di intelletto e libertà, quale centro e luce dell’organismo intero.

Esistettero tradizioni, le quali per il gran corpo degli Stati, a che essi fossero quasi corpi spiritualizzati, non creature di necessità e di contingenza temporale, vollero una divisione e una gerarchizzazione di classi e caste rigorosamente corrispondenti. In corrispondenza a vitalità, economia organica, volontà e spirito, vi furono le quattro classi distinte dei servi (lavoratori), dei mercanti, dei Guerrieri e infine dei portatori di una autorità simultaneamente regale e sacerdotale. L’una casta era costituita gerarchicamente sopra l’altra: le masse, sotto il controllo e il governo degli esperti del traffico e dell’utilizzazione delle risorse naturali e economiche; questi, sotto l’autorità delle aristocrazie guerriere – a loro volta raccolte intorno a chi, in un tipo compiuto e dominatore, quasi faceva testimonianza di qualcosa che nell’uomo va di là dall’uomo.

L’antico Oriente (India) e l’Estremo Oriente conobbero un tipo simile di organizzazione sociale, cui si avvicinò parzialmente anche l’antica Grecia e l’antica Roma, che si riaffacciò nella dottrina politica di Platone e di Aristotele per aver un’ultima reviviscenza sociale nel Medioevo cattolico-feudale

Importante è rilevare che tale organizzazione corrispondeva al tipo di una gerarchia QUALITATIVA, e contrassegnava l’enuclearsi di forme superiori di interesse e di individualità. Nell’antico Oriente le due caste superiori erano dette dei "rigenerati", esprimevano dunque una élite spirituale, avendo in quella visione anche il Guerriero e l’Aristòcrate un significato "sacro" più che "politico". Ogni gerarchia basata su economia, lavoro, industria e amministrazione collettiva, restava chiusa nelle due caste inferiori, equivalenti a ciò che in un organismo umano è la sola parte corporeo-vitale.

Per questo, la gerarchia delle quattro caste rappresentava anche sensibilmente i gradi progressivi di una elevazione dell’individualità attraverso, appunto, l’adesione a forme di attività superiori a quelle proprie al viver immediato. Rispetto all’anonimato della massa, intenta solo a l "vivere", gli organizzatori del lavoro e della ricchezza — la seconda casta — rappresentavano già l’abbozzo di un tipo , di una "persona". Ma nell’eroismo del Guerriero e nell’ethos dell’Aristòcrate — la terza casta — si sente già più chiara la forma di un "più che vivere", di un essere che si dà da sé una legge sorpassando l’elemento naturale, istintivo, collettivo e utilitario. Se infine nella nozione primordiale dei Capi l’Aceta, il Re e il Pontefice si confusero in un unico essere, ciò sta a designare un compimento universale e quasi sovrannaturale della personalità, l’espressione completa di ciò che, invece, nell’uomo comune non ha la forza di liberarsi dal contingente per esser solo sé stesso. Nella misura in cui tali dominatori, individui compiuti, facevamo da asse all’intero organismo sociale, quest’organismo era come un corpo retto dallo spirito il potere temporale e l’autorità spirituale coincidevamo e la gerarchia era LEGITTIMA, nel senso assoluto del termine.

Fissato questo schema — il cui modello ideale, base di valore,è indipendente dalla misura e dalla forma in cui una qualunque civiltà del passato può averlo realizzato — la constatazione del processo di "caduta" progressiva del potere nei tempi storici, risulta di una cruda evidenza.

L’era dei "Re Sacri" — delle nature simultaneamente imperiali e sacerdotali – sta già sulla soglia dei tempi "mitici". L’apice scompare, il potere passa al gradino immediatamente inferiore — alla casta dei Guerrieri: restano dei Monarchi di tipo laico , duci militari o signori di giustizia temporale.

Secondo crollo: le grandi monarchie europee tramontano, le aristocrazie decadono — attraverso le rivoluzioni (Inghilterra e Francia) esse divengono inani sopravvivenze rispetto alla "volontà della Nazione". Presso alle democrazie parlamentaristiche, repubblicane e borghesi, il costituirsi delle oligarchie capitalistiche esprime allora il passaggio fatale del potere politico dalla seconda all’equivalente moderno della terza casta — alla casta dei mercanti.

Infine la crisi della società borghese, la rivolta proletaria, il despotismo delle masse costituitesi come entità puramente collettive, economiche e internazionali ci preannunciano il collasso finale, per cui il potere passerà all’ultima delle caste — a quella dei senza nome e senza volto, con conseguente riduzione di ogni "standard of living" al piani della materia e del numero.

Ossia: proprio come chi più non sopporti la tensione dello spirito, e poi nemmeno quella della volontà, della forza che muove il corpo – e si abbandoni — e si rialzi quindi magneticamente quasi come corpo senz’anima sotto l’impulso di un’ALTRA forza, affiorata dalle latebre della pura vitalità.

È ora di riconoscere l’illusione di tutti i miti di "progresso", di aprire gli occhi dinanzi alla realtà. è ora di riconoscere il duro destino di distruzione spirituale che ha pesato sull’Occidente e che oggi sta maturando suoi ultimi frutti.

Se si tiene presente la visione tradizionale e si riflette come essa abbia assicurato una lunghissima durata alle società antiche (l’impero egiziano è durato qualcosa come tremila anni; l’impero romano e l’impero bizantino, mille anni ciascuno; la Repubblica di Venezia, erede sia di Roma che di Bisanzio, altri mille anni) non si può non comprendere le ragioni profonde della crisi che stiamo vivendo. La modernità è strutturalmente disordinata e degenerativa, perché in essa viene colpito al cuore ogni principio gerarchico e le forze centrifughe, originate dagli egoismi individuali, prendono via via il sopravvento sulle forze centripete, che nascono dalla disponibilità di ogni membro e di ogni classe a farsi docile strumento per il bene di tutti e di ciascuno. Il massimo disordine si instaura con il principio democratico, che, secondo lo slogan un uomo, un voto, pone il fatto numerico e quantitativo al di sopra di ogni considerazione di merito e di valore. La società moderna produce pertanto una scuola che non seleziona i migliori, un’amministrazione che non si preoccupa del bene comune, una magistratura che non si pone veramente super partes, una politica che insegue il facile consenso, una cultura che carezza i gusti peggiori del pubblico, e così via. Si tratta di una sistematica selezione all’incontrario, dove i più meritevoli vengono sistematicamente ignorati o eliminati e tutto lo spazio rimane disponibile per i più chiassosi, i più arroganti, i più presuntuosi e i più istrionici. L’ignoranza e la volgarità trionfano, il conformismo diventa legge, e perfino la tanto decantata scienza si riduce a zimbello del potere: potere che, ben dissimulato dietro le cortine della sfrenata demagogia apparente, continua a esistere, ma del tutto staccato dalla società e dai suoi veri bisogni, un potere puro e nudo, il più brutale e il più crudele di tutti i poteri: quello finanziario. Ed ecco gli scienziati, i medici, i biologi, cantare tutti insieme la canzone che risulta gradita al potere, per esempio in tema di malattie, di vaccini e di protocolli sanitari. Si perde di vista l’unità della persona, resta un approccio meramente materialista e riduzionista; si curano i sintomi, indipendentemente dalla persona con le sue specificità spirituali e organiche; infine s’inventano addirittura le malattie per poter somministrare farmaci e vaccini: e tutti i rappresentanti della scienza di prestano a tale obbrobrio. I pochissimi che non si piegano vengono ridotti al silenzio o semplicemente oscurati. Nella società della comunicazione e dell’immagine, chi non appare alla televisione è quasi come se non esistesse: perciò, controllando i mass-media, il potere controlla tutto, a cominciare dal linguaggio che, a sua volta, forma le idee e fornisce la base ai ragionamenti. Se di ragionamenti si può ancora parlare in questa fase degenerativa, che vede il trionfo di un’emotività puramente animalesca, malamente ammantata coi veli di una falsa scienza mercenaria e pronta a prostituirsi al potere di turno.

Una parola a parte sulla religione. Nella civiltà moderna la religione è l’ultimo rifugio della visione tradizionale. In essa, e soltanto in essa, si conserva la visione unitaria dell’individuo; in essa si conserva la coscienza della superiorità dello spirituale sul materiale; in essa, e soltanto in essa, vige la concezione gerarchica in base alla quale non tutti possono far tutto, né hanno diritto a tutto, ma è necessario rivestirsi di umiltà anche solo per svolgere dignitosamente la propria fatica quotidiana, assolvere ai propri doveri di lavoratore e di padre o madre di famiglia e concorrere, così, al bene proprio insieme a quello collettivo. E soprattutto la religione, nella fattispecie la religione cristiana, conserva la visione trascendente del divino, e ricorda agli uomini la distanza che esiste fra essi e il loro Creatore: distanza che Lui ha voluto colmare, incarnandosi, in un atto di supremo amore disinteressato, spinto fino al sacrificio di Sé sulla croce; ma se gli uomini la scordano anche solo per un attimo, diviene la fonte della loro perdizione, perché si lasciano accecare dalla superbia e pretendono di farsi dio loro stessi. In questo senso, la Chiesa cattolica ha saputo conservare la propria visione tradizionale fino al principio degli anni ’60 del secolo scorso: basti pensare a cos’era la Messa prima del Concilio, e a cosa è diventata dopo di esso. A partire da quella svolta, la chiesa ha abdicato a se stessa e si è spogliata della propria visione specificamente tradizionale, per farsi una delle tante ideologie progressiste della modernità, con Gesù Cristo Re dell’Universo che diviene il compagno Gesù Cristo, agitatore rivoluzionario proto marxista-leninista; fino agli sconci del (falso) pontificato attuale, con il migrazionismo, l’omosessualismo, l’ecologismo assurti al rango di massime verità di fede e con una sacralità ridotta a meno di zero. Quando si vedono, infatti, dei vescovi e dei sacerdoti accostarsi al Mistero Eucaristico armati di guanti, mascherina e pinzette; quando li si vede allungare al massimo il braccio per porgere l’Ostia ai fedeli, onde evitare il pericolo del contagio da Coronavirus (?), e quando li si vede privare i fedeli della santa Messa, perfino nella Domenica di Pasqua, per delle supposte necessità di ordine medico-sanitario, inchinandosi in tutto e per tutto alla cultura profana, materialista e scientista, allora si comprende che anche la religione ha cessato di esistere ed è stata ridotta a una variante spuria del paradigma moderno: non avrai altro dio che la scienza, la tecnica e il progresso, tutto il resto è oscurità e superstizione.

Arrivati a questo punto, possiamo meravigliarci se le cose stanno prendendo una piega sempre più inquietante, allucinante, anti-umana? Se si vogliono fare vaccinazioni obbligatorie a tutta la popolazione; se si vuol prendere il codice genetico dei bambini affidati alle case-famiglia (decreto governativo del 10 maggio, mentre gli italiani erano distratti dal "glorioso" ritorno di Silvia Romano: Salvini, Meloni, toc, toc, ci siete?); se si vuole imporre il braccialetto elettronico ai bambini? Se si chiudono in casa, come fossero dei cani idrofobi, decine di milioni di cittadini, impedendo loro perfino di andare a lavorare per guadagnarsi onestamente il pane quotidiano, e si aizzano le delazioni, i sospetti, un generale clima d’inimicizia fra la persone, allo scopo di indurre una metà della popolazione a farsi spia e poliziotto dell’altra metà, come avveniva nella ex Repubblica Democratica Tedesca? No, non possiamo meravigliarci: questo non è che il logico approdo allo stadio più basso del ciclo spirituale; e forse — ce n’eravamo scordati, anche se è articolo di fede — l’inizio della fine della storia.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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