Confusione di idee e predominio di ladri
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18 Maggio 2020Se dovessimo sintetizzare in una sola espressione, in una sola frase, in una sola parola, la caratteristica essenziale della cosiddetta civiltà moderna, senza esitare diremmo: la stoltezza. Siccome noi tutti siamo stati allevati nell’idea che la modernità è la quintessenza della razionalità, della scientificità e dell’efficienza, mentre i secoli che la precedettero erano dominati dall’oscurità, dalla superstizione e dall’ignoranza, a tutta prima questa definizione può lasciare alquanto perplessi e sconcertanti. Come può essere stolta una civiltà che sa mandare i razzi nello spazio, riprodurre la vita in laboratorio e costruire elaboratori elettronici capaci di compiere complicatissime operazioni matematiche in poche frazioni di secondo? Il fatto è che abbiamo smarrito la giusta nozione di saggezza e, specularmente, quella di stoltezza. Avendo identificato la saggezza con la razionalità strumentale, con il Logos calcolante, all’uomo moderno riesce del tutto naturale vedere se stesso come il massimo detentore della sapienza e quindi della saggezza. In realtà, lo slittamento del concetto di saggezza in quello di sapienza, e a sua volta di questo in quello di razionalità pura e semplice, è frutto di un preciso indottrinamento ideologico e risale all’illuminismo. È nel corso del’illuminismo che il sage diventa tutt’uno con il savant, il quale a sua volta è il glorioso campione della raison. Ciò è accaduto perché l’illuminismo è stato un’ideologia a forte vocazione totalitaria, come e più di molte altre ideologie, per cui ha voluto consolidare il suo potere impadronendosi interamente del linguaggio e riplasmandolo a suo uso e consumo, e ciò con una forte connotazione moralistica (Robespierre aveva sempre in bocca la virtù) su base religiosa (l’Essere Supremo, a sua volta ipostasi della Ragione assolutizzata). Ma la verità è che la saggezza è tutt’altra cosa dalla sapienza e dalla ragione; e quindi è possibile, possibilissimo essere sapienti e razionali e tuttavia, al tempo stesso, profondamente stolti. Senza dilungarci ulteriormente sul terreno semantico, diremo soltanto che il concetto di saggezza, in tutte le culture pre-moderne, da quelle antiche a quella medievale, è sempre stato associato all’esperienza di vita, alla moderazione e alla coscienza del limite e del mistero, a sua volta presupposto del sacro, mentre la cultura moderna si caratterizza appunto per l’esaltazione del nuovo in quanto nuovo, disprezzando l’esperienza di vita, per la sfrenatezza di una libertà incondizionata (rifiuto della tradizione, esaltazione della velocità e del progresso) e per la guerra dichiarata al limite, al sacro e al mistero, considerati ostacoli da superare e nemici da abbattere, in nome di una emancipazione radicale e di una auto-determinazione assoluta dell’essere umano.
Il progredire spettacolare della tecnica, nel corso del XIX e del XX secolo, ha fatto il resto. Colui che padroneggia la tecnica, il tecnico, è assurto, nell’immaginario moderno, al rango di grande sapiente e perciò di grande saggio; di colui al cui parere ci si rimette quando non si sa che direzione prendere o quali decisioni adottare. Ed è quello che sta capitando anche in queste settimane di sistematica disinformazione, di repressione poliziesca e di isterismo programmato da parte di un governo, il Conte Bis, che ha deciso di rimettersi interamente, per fronteggiare una (supposta) emergenza sanitaria, a una task-force (è più bello in inglese, vero?, oltretutto dà una sensazione di cavalleria che sta arrivando per liberare dall’assedio Fort Apache) di tecnici. Beninteso: di tecnici che dicano quel che il governo vuole sentirsi dire; perché se i tecnici dicono altro, come fanno illustri studiosi come i professori Tarro o Montanari o come il Premio Nobel francese Montagnier, allora il loro parere non è più gradito e anzi bisogna attaccarli, sminuirli, delegittimarli proprio in quanto esperti. Ma i tecnici, tralasciando il piccolo dettaglio che non sono affatto d’accordo fra loro, sono esperti di un determinato ambito scientifico; non sono le persone adatte a valutare una situazione complessiva, nella quale occorre tener presenti anche altri aspetti del problema, cominciando da quelli economici, umani e psicologici. Non basta che un tecnico, ad esempio un virologo, dica: per me è così; o che un altro tecnico, poniamo un medico, dica: per me, bisogna fare cosà. Il tecnico è solamente un tecnico: è un savant, ma un savant il cui sapere si limita a una certa disciplina e inoltre si limita all’approccio logico-matematico ai problemi. Ogni problema umano presenta numerosi aspetti, e i più importanti sono quelli che hanno a che fare con la totalità dell’essere umano, non solo con la sua salute, la sua igiene e il suo corpo fisico. Un essere umano è fatto di spirito oltre che di corpo; e pur limitandoci all’aspetto corporeo, un essere umano ha bisogno, per esempio, di poter lavorare per guadagnare qualcosa e mantenere se stesso e la propria famiglia. Se in nome della tutela della sua salute gli si proibisce di lavorare, lo si condanna a morir di fame; inoltre lo si condanna a una serie di disturbi psicologici e comportamentali se gli si proibisce di uscir di casa per tre mesi filati. Ma per il tecnico numero uno, chiamiamolo così, cioè al virologo, ciò non ha importanza: a lui basta aver posto la sua verità, senza tener conto di alcun altro fattore. E al tecnico numero due, il medico, è sufficiente dire quel che va fatto per provvedere al trattamento sanitario della popolazione. Molta meno voce in capitolo, a questo punto, rimane al tecnico numero tre, il politico, e al numero quattro, l’amministratore locale. Il tecnico numero cinque, l’economista, rimane pressoché inascoltato. E stiamo parlando solo dei tecnici, che non sono, ripetiamo, dei saggi, ma solo dei sapienti, sapienti di una sapienza strumentale e calcolante. Eppure l’uomo non è riducibile a categorie esclusivamente tecniche. I bisogni dell’uomo non sono solo materiali, e comunque non sono solo calcolabili in termini tecnici; l’uomo è un tutto, e la parte più importante — quella spirituale – rimane completante esclusa dalla prospettiva dei tecnici. In teoria ci sarebbero dei tecnici anche per questa: lo psicologo per la dimensione psicologica, il sacerdote per la dimensione religiosa, ecc. Ma lo psicologo, oggi, nove volte su dieci ha una formazione materialista e riduzionista e quindi è anche lui un tecnico miope, che non sa vedere più in là del proprio naso.
Quanto al sacerdote, che tristezza considerarlo alla stregua di un tecnico dell’anima! Eppure è proprio questo il ruolo che egli stesso si è scelto, da quando la Chiesa cattolica, dal Concilio Vaticano II, si è messa decisamente sulla strada della modernità, rinnegando se stessa e tradendo la propria missione. Perché da quel momento una legione di tecnici, di biblisti, di filologi, di liturgisti, si è messa in testa di aggiornare la dottrina cattolica e quindi ha cominciato a tagliare, cucire, aggiungere, manipolare, senza alcun rispetto per la Tradizione, fino alle presenti aberrazioni: cambiare con un atto d’imperio del (sedicente) papa il catechismo (la pena di morte, § 2267) o le parole del Padre nostro (e non indurci in tentazione, ecc.) e perfino l’unicità e l’insostituibilità del vero Dio (Dio non è cattolico; Dio vuole la pluralità delle fedi religiose, dichiarazione di Abu Dhabi). Ed è il sacerdote stesso che si qualifica come un tecnico, per giunta riconoscendo di essere un tecnico subordinato ai veri tecnici, quindi un tecnico di serie B, o C. Quando, ad esempio, un sacerdote accetta, o lui stesso spontaneamente decide, di distribuire l’Ostia con i guanti; quando pretende che i fedeli la ricevano sulla mano, anch’essi indossando i guanti, per via di una presunta emergenza sanitaria; quando si presenta all’altare con la mascherina, magari stando dietro uno schermo di plexigas, e prende le Particole con una pinzetta, come se fossero infette: ebbene, mostra di considerarsi egli steso un tecnico di bassissimo rango, che deve sottostare a quanto è stato deciso dal tecnico di primo livello, perché la sapienza di cui egli è portatore, che è la sapienza dell’anima, passa in seconda o terza fila quando sono in ballo la salute e la malattia, la vita e la morte, che sono evidentemente molto più importanti e sulle quali egli non ha nulla da dire, ma solo da attenersi alle disposizioni vigenti. Perché se mai gli saltasse il grillo di dire che la vita vera è la vita dell’anima; che Gesù Eucaristico non potrà mai e poi mai costituire un pericolo per la salute di chicchessia, né quella del corpo né, meno ancora, quella dell’anima; che andare alla santa Messa con fede, e possibilmente comunicarsi con devozione, è una medicina non inferiore, semmai di molto superiore alla medicina dei quei tecnici che sono i medici, e che, con tutto rispetto per loro, essi si occupano di un ambito assai più limitato, perché altro non vedono che il corpo, mentre il vero sacerdote, in quanto pastore del gregge di Cristo, vede l’uomo nella sua totalità, e dà senz’altro la priorità allo spirito, perché l’uomo cristiano è l’uomo rinato nello Spirito, è l’uomo spirituale che vive in grazia di Dio e non l’uomo carnale, peccatore impenitente che si rotola nel fango e magari vuol prolungare i suoi giorni terreni senza mai darsi pensiero della propria anima, come nella parabola del ricco stolto — eccola qui, la parola stoltezza! — allora lui per primo proverebbe imbarazzo e vergogna di sé e si affretterebbe a domandare scusa, e riconoscerebbe di aver esorbitato dalle sue competenze e dalle sue funzioni. Perché di tutto sono preoccupati questi preti, vescovi e cardinali bergogliani, tranne che della grazia di Dio e della vita soprannaturale dell’anima; la loro maggior preoccupazione è quella di mostrarsi ad ogni costo dei bravi cittadini, obbedienti alle leggi dello Stato e ai dettami della scienza medica, insomma delle persone aggiornate e al passo con la modernità, non relitti del passato che si aggrappano a credenze sorpassate e a modi di vita che hanno fatto il loro tempo.
Il problema della società moderna è che essa si affida a dei tecnici, chi quali fanno dei ragionamenti esclusivamente tecnici, per risolvere i suoi problemi; e ciascuno di quei tecnici pensa e agisce come se esistesse solo la scienza della quale è esperto, e tutto il resto non contasse alcunché. Quel particolare tipo di tecnico che è l’urbanista, insieme a quell’altro tecnico che è l’architetto, decide quale volto dare alle città: abbattendo case e interi quartieri, rifacendo completamente il volto dei luoghi, fino a renderli irriconoscibili nel giro di una sola generazione. Lo stesso vale per l’architetto che progetta un edificio religioso: nella modernità egli ragiona da tecnico, mentre un tempo ragionava innanzitutto da uomo di fede: ed è questa la ragione per cui le chiese medievali trasudano spiritualità e misticismo, mentre le chiese postconciliari paiono fabbriche, banche o case del popolo. C’è poi un altro fatto da tener presente: i tecnici della modernità non solo dei sapienti col paraocchi, vale a dire degli stolti, o quanto meno degli sprovveduti, in tutto ciò che non attiene al loro specifico sapere; sono anche, quasi tutti, massoni o paramassoni, vale a dire che sono quasi tutti acquisti al progetto ideologico sotteso alla modernità: l’auto-glorificazione dell’uomo e la sua emancipazione da ogni senso di trascendenza, da ogni vera religiosità (perché il Grande Architetto dell’Universo non è che una caricatura dell’autentico sentimento religioso). Di conseguenza, sono quasi tutti, consapevolmente o inconsapevolmente, animati da una forte antipatia, per non dire da un’aspra inimicizia, nei confronti del cristianesimo, nel quale vedono il maggiore ostacolo all’instaurazione totale della loro ideologia materialista, immanentista, utilitarista ed efficientista. Oh, sono molto abili nel reclutare le nuove leve: basti dire che al neofita richiedono di prestare un giuramento sulla Bibbia, il che gli confonde le idee quanto basta per nascondere i loro scopi ultimi, che sono decisamente anticristiani e anticattolici. Ma gli affiliati ai gradi superiori sanno chi è il vero Dio adorati dai "fratelli": Lucifero, il portatore di luce, l’angelo che si ribellò a Dio per portare agli uomini, secondo loro, la sapienza con la quale emanciparsi. Ecco allora che quasi tutti i tecnici della modernità, dagli scienziati agli scrittori, dagli economisti ai politici, dai registi di cinema ai rappresentanti delle grandi istituzioni mondiali, altro non sono che esponenti di una cultura doppiamente anticristiana: perché privilegiano l’uomo carnale rispetto all’uomo spirituale, e perché odiano Cristo e la sua Chiesa e vogliono sostituire quest’ultima con una falsa chiesa, fatta secondo le loro intenzioni e concepita per attirare in un gigantesco inganno i seguaci di Cristo, i quali, simili a ignare pecorelle, seguono i loro falsi pastori, i vescovi e i cardinali massoni, senza rendersi conto che si stanno allontanando dal Signore per mettersi nelle mani dell’antico nemico, il diavolo.
Torniamo dunque a leggere e meditare ciò che dice la Bibbia della stoltezza (Salmo 53, 1-4):
Lo stolto ha detto in cuor suo: «Non c’è Dio».
Sono corrotti, commettono iniquità,
non c’è nessuno che faccia il bene.
Dio guarda dal cielo i figli degli uomini
per vedere se c’è una persona intelligente
che cerchi Dio.
Tutti si sono sviati, tutti sono corrotti,
non c’è nessuno che faccia il bene, neppure uno.
Sono dunque senza conoscenza questi malvagi,
che divorano il mio popolo come se fosse pane
e non invocano Dio?
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