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Le radici dell’apostasia della Chiesa spiegate al clero

Ad aver perso la bussola e ad esser scivolato nell’apostasia, fino alle più gravi e recenti aberrazioni dell’eresia conclamata, della blasfemia e dell’idolatria, con tanto di idoli pagani intronizzati nella chiesa più importante della cristianità e di un sedicente papa che presta loro adorazione, è stato innanzitutto il clero; il popolo dei fedeli lo ha seguito a ruota, non avendo più dei validi pastori a indicargli la strada. Diverse sono pertanto le responsabilità del clero e dei laici: molto più gravi quelle del primo; meno gravi, e tuttavia non lievi, quelle dei secondi. Si tratta perciò di capire e di spiegare in quale maniera il clero abbia apostatato, e sia pure gradualmente, così gradualmente da farne sfumare la percezione, nell’arco di circa due generazioni, dal Vaticano II ad oggi. Non basta dire che alcuni teologi modernisti sono riusciti a intrufolarsi nel Concilio per strumentalizzarne i lavori; non basta chiamare in causa l’ingenuità dei padri conciliari e una generica, ma sincera voglia di rinnovamento, che da tempo si respirava all’interno della Chiesa. E non basta neppure invocare la massoneria, che era riuscita a piazzare i suoi uomini nei punti chiave della gerarchia; o il senso di colpa per quanto era accaduto al popolo ebreo venti anni prima; o le mene, scoperte e occulte, del B’Nai B’rith, che contava molti simpatizzanti fra l’episcopato cattolico. Tutte queste sono state senza dubbio delle importanti concause, ma nessuna di esse fornisce una spiegazione complessiva ed esaustiva, che sia anche sufficientemente persuasiva, perché ciascuna rimanda a un’ulteriore domanda speculare alla risposta. Come mai i teologi modernisti sono riusciti a influenzare i avori del Concilio in maniera così decisiva, peraltro non intrufolandosi affatto, bensì entrando dalla porta principale, invitati da Giovanni XXIII e portati in palmo di mano dall’assemblea, capovolgendo la consuetudine secondo la quale prima vengono le decisioni dei vescovi, cioè dei pastori di anime che custodiscono la vera dottrina, e poi si ascolta il parere dei teologi, notoriamente e cronicamente inclini a elucubrazioni solitarie sul filo dell’eterodossia? E come mai la sincera ansia di rinnovamento dei padri poté trasformarsi così facilmente in ingenuità e poi in arrendevolezza, di fronte a documenti chiaramente difformi dal Magistero perenne? Come mai la massoneria era riuscita a penetrare così a fondo nella Chiesa, da piazzare i suoi uomini nei punti strategici della gerarchia, apparentemente senza che alcuno se ne accorgesse? E da dove veniva il senso di colpa verso il popolo ebreo, dal momento che: a) il clero cattolico, dal papa fino all’ultimo parroco, si era prodigato, durante la Seconda guerra mondiale, per salvare il maggior numero di ebrei, sottraendoli alla caccia delle autorità naziste, e b) i cattolici tutti, e il clero in particolare, hanno sempre saputo che l’antigiudaismo religioso non ha niente a che fare con l’antisemitismo politico o razziale e che nessun senso di colpa avrebbero dovuto avere se, in conformità al Magistero, hanno sempre visto negli ebrei degli esseri umani talvolta perseguitati ingiustamente, e perciò meritevoli di compassione e aiuto, ma anche, dal punto di vista religioso, i seguaci della più falsa e della più avversa a Cristo di tutte le religioni; quella, per intenderci, che volle la morte del divino Redentore, così come quella dei primi apostoli, e fomentò le persecuzioni anticristiane dell’Impero romano, e poi per secoli e secoli, sulla scia dell’insegnamento del Talmud, non solo è stata nemicissima del nome di Cristo, ma ha alimentato in se stessa un odio implacabile contro tutto ciò che è cristiano e contro tutto ciò che non è ebro, sia pure dissimulando quel’odio dietro una cortina di apparente impassibilità e rassegnazione. E ancora. Come poté accadere che il B’Nai B’rtith riuscisse a esercitare un peso determinante sui documenti decisivi del Concilio, dalla Nostra aetate alla Dignitatis humanae, introducendo una dottrina nuova ed esiziale, che stravolgeva l’antica: quella della libertà religiosa? E com’è stato possibile che le mene di quei signori trovassero così pronta e benevola accoglienza presso i padri conciliari, come il cardinale Augustin Beha, al punto che quei documenti furono stesi a quattro mani, quando non addirittura impostati su uno schema iniziale redatto dai soli ebrei?

Queste sono domande scomode, perché rimandano inesorabilmente al problema di fondo: che il Concilio non è stato la causa dello sbandamento della Chiesa e del suo progressivo scivolamento nell’eresia e nell’apostasia, ma l’atto finale e più visibile di tale sbandamento e di tale scivolamento, e che pertanto il male covava già dentro la Chiesa, e molto a fondo, ben prima della conclusione del pontificato di Pio XII. La conclusione inevitabile di questa risalita verso la causa prima della deriva apostatica ci conduce alla questione di fondo del rapporto fra la Chiesa e la modernità. La civiltà moderna è nata in opposizione e in odio al cristianesimo e specialmente al cattolicesimo: infatti si può considerare il protestantesimo come il primo assalto della modernità contro la Chiesa e il suo millenario insegnamento. Mano a mano che la civiltà moderna ha guadagnato spazio nelle coscienze, e soprattutto nelle istituzioni, l’incompatibilità di fondo fra essa e il cattolicesimo si è fatta sempre più evidente. E ciò per la buona ragione che il cristianesimo è non solo una religione, ma una visione del mondo profondamente umana, all’ombra della quale i singoli individui, le famiglie, le comunità e gli stati possono trovare tutto il nutrimento spirituale di cui hanno bisogno per vivere e prosperare; mentre la modernità è inumana e antiumana, perché pone in cima ai suoi valori il denaro, il potere, la scienza e la tecnica, e perciò vuole imporre una visione antispirituale, materialista e immanentista, sostituendo il culto dell’uomo, ma solo a parole (perché nella sua essenza è contro l’uomo) al culto dovuto a Dio, che diventa perciò un residuo del passato, una vuota superstizione. In fondo, l’anima della modernità, se così vogliamo chiamarla (ma dubitiamo fortemente che essa abbia un’anima) è lo spirito di rivolta contro Cristo e contro la Chiesa, finché questa si mantiene la sua fedele Sposa. Se la Chiesa decide di venire a patti col mondo, se accoglie ampi settori della cultura moderna, allora essa comincia ad essere meno invisa alla modernità e si può stabilire fra le due un modus vivendi, fondato, è più che evidente, sul sostanziale tradimento del Vangelo. Perché un Vangelo edulcorato non è più il vero Vangelo di Gesù Cristo, ma solo una sua misera contraffazione; e la contraffazione del Vangelo non è qualcosa che si avvicina al Vangelo, ma qualcosa che tradisce e rinnega il Vangelo, visto che la Parola di Dio e la fede in Gesù Cristo non sono suscettibili di aggiustamenti e accomodamenti. Il Dio cristiano è un Dio geloso, e i cristiani lo hanno sempre saputo; non per nulla il primo e più importante dei Dieci Comandamenti ammonisce: Io sono il Signore tuo Dio; non avrai altro Dio all’infuori di Me. E poiché la cultura moderna esalta la comodità, la facilità, il vantaggio immediato e tutto ciò che soddisfa gli appetiti dell’ego, dai più innocenti, come spostarsi più in fretta per andare al lavoro, ai più perversi, come il capriccio di una coppia di omosessuali di avere un "figlio", mentre invece il Vangelo esalta il sacrificio, il dovere, la responsabilità, oltre naturalmente al timor di Dio, molti cattolici nel corso del tempo si sono stancati della morale troppo severa della loro dottrina, e hanno voluto concedesi almeno una parte di quei lussi e di quelle false libertà che contraddistinguono la vita delle persone "moderne". Non hanno però avuto la lealtà e la franchezza di dire: Basta, ci siamo stancati, vogliamo godere la vita anche noi come tutti gli altri; ma hanno agito con l’ipocrisia e la doppiezza, pretendendo che la Chiesa stessa accettasse e riconoscesse il loro nuovo orientamento e le loro nuove abitudini. Il Vaticano II è stato il punto culminante di questo processo, iniziato appunto con Lutero e il suo eloquente Pecca molto, e poi pentiti molto, per cui a un certo punto il clero ha iniziato a cambiare la dottrina, ma con prudenza e una certa abilità truffaldina, smerciando le nuove idee, eretiche ed edoniste, per moneta buona, mentre di fatto stavano tradendo duemila anni di storia della Chiesa, il sangue di migliaia di martiri e, quel che più conta, l’insegnamento e l’esempio vissuto di Gesù Cristo, il quale nella sua vita terrena è stato tutt’altro che accomodante con il mondo (se il tuo occhio ti dà scanalo, strappatelo; se la tua mano ti è di scandalo, tagliatela; e a chi dà scandalo a uno di questi piccoli, si leghi una macina al collo e lo si getti nel mare: è sufficiente?). Si può indicare l’inizio del Novecento come il momento storico in cui questo processo, iniziato già da alcuni secoli, si è manifestato quasi apertamente, sotto forma di modernismo. Il papa Pio X ha visto il pericolo e lo ha valutato in tutta la sua gravità; la severità della sua risposta, che gli viene tuttora rimproverata sia dagli storici non cattolici, sia da quelli "cattolici" secondo il Vaticano II, nasceva da una assoluta necessità difensiva, perché senza di essa la Chiesa si sarebbe arresa a tutte le false dottrine che aveva combattuto per quasi duemila anni.

Subito dopo san Pio X, la Chiesa ha rinfoderato la spada e i papi successivi hanno allentato la guardia, pensando che dopo la Pascendi, non ci fosse altro da aggiungere; ma avevano sottovalutato l’astuzia e la pazienza del nemico, il quale seguitava a tramare stando però al coperto, secondo la strategia indicata da Buonaiuti: cambiare Roma con Roma, e non contro di essa. Non è certo un caso che tutte le idee base del modernismo facciano la loro ricomparsa nel Concilio Vaticano II, rafforzate, approfondite, rese più sfacciate dalla consapevolezza di andare incontro ai gusti del mondo e di una chiesa che si stava a sua volta mondanizzando; e non è un caso che Roncalli fosse stato intimo amico di Buonaiuti, e Montini fosse un massone (oltre che un sodomita). Perfino alcuni alfieri del Concilio, come Jacques Maritain, si resero conto dell’errore commesso aprendo le porte a un rinnovamento che stava diventando, fin da subito, un vero stravolgimento; ma era troppo tardi. Ormai le nuove posizioni erano state acquisite una volta per tutte; indietro non si poteva tornare e la chiesa non era più quella di sempre, se non in apparenza, ma una cosa nuova, al servizio di una nuova religione: relativista, indifferentista, ecumenista, liberale, aperta al dialogo con le false religioni e smaniosa, chi sa perché, di domandare scusa a tutte quante, ma specie all’ebraismo, nonché alla cultura laicista e ateista, e ciò proprio mentre il laicismo e l’ateismo si accingevano a sferrare il colpo finale contro la vera Chiesa, col divorzio, l’aborto, l’eutanasia, le unioni omosessuali, ecc. E per rendere irreversibile la "svolta" conciliare, nei seminari si sostituì lo studio di San Tommaso con quello di Karl Rahner: da quel momento la formazione dei sacerdoti divenne irrimediabilmente modernista, vale a dire eretica e apostatica. Non c’è da stupirsi se, a partire dalla metà degli anni ’60, i preti e i vescovi hanno cominciato a non essere più cattolici, ma modernisti: uscivano da seminari che non erano più cattolici, ove si studiavano libri e si diffondevano idee non più cattoliche, semmai anticattoliche. Credete che stiamo esagerando? Ebbene, abbiamo parlato con vari sacerdoti e abbiamo appreso che già allora i professori incoraggiavano la profanazione del sacro, la derisione del bene e la parodia della Tradizione.

C’è poi un altro aspetto che merita di essere sottolineato, e che rende il quadro più completo e la ricostruzione più convincente. In quegli anni, e noi lo abbiamo osservato di persona, sia pure dall’esterno, i seminari hanno accolto ragazzi con marcate tendenze omosessuali e con palesi inclinazioni verso la pedofilia e l’efebofilia, senza che ciò sollevasse problemi ad alcuno. I direttori dei seminari fingevano di non vedere e non sapere? Sta di fatto che, qualche anno dopo, diventati sacerdoti, molti di quei soggetti sono diventati dei molestatori e degli abusatori sessuali a danni di chierichetti e bambini che frequentavano gli oratori e i collegi, le colonie estive organizzate a livello parrocchiale e i pellegrinaggi gestiti dalle diocesi. Il doloroso capitolo delle violenze e degli abusi esercitati dal clero pedofilo ha ricevuto un enorme incremento da quella immissione di sacerdoti moralmente indegni, che non avrebbero mai dovuto diventare tali, e che tuttavia hanno goduto a lungo della protezione e della complicità dei loro superiori. Ciò non solo ha creato un muro d’indignazione e di risentimento fra la Chiesa e le famiglie dei bambini molestati e stuprati, ma ha aperto un ulteriore varco alla distorsione e alla falsificazione della dottrina, perché quei preti sodomiti hanno iniziato a voler modificare l’insegnamento della chiesa riguardo al peccato impuro contro natura. Si è così formata la potente lobby omosessuale entro la Chiesa, nelle quale si trovano vescovi, arcivescovi e cardinali, che, ben lungi da legarsi una macina al collo e gettarsi nel mare, hanno pretesto di sdoganare il vizio e rimuovere l’idea stessa di peccato. Il famoso Chi sono io per giudicare un gay che sinceramente cerca Dio?, del sedicente papa Bergoglio, è l’aperta espressione di questa subdola manovra. Un vero papa, un vero sacerdote, avrebbe detto: queste persone vanno rispettate e amate nella loro umanità, ma corrette fraternamente, e anche severamente, nei loro disordini, e non semplicemente "accompagnate" (verso cosa, poi?), come blatera il falso clero, seguace di una falsa pastorale. Tale è la missione del cristiano, tale è la ragion d’essere della vera Chiesa. Una chiesa che non corregge il peccatore, anzi lo giustifica e lo incoraggia a perseverare nel peccato, che razza di chiesa sarà? Certo non la Sposa di Cristo, ma qualcosa di totalmente diverso, anzi di opposto: sarà la sinagoga di Satana della quale parla san Paolo nelle sue Lettere. Ed è anche evidente perché oggi prevale un falso clero che scusa e giustifica il peccato: per non spiacere al mondo, per avere le sue lodi. Ma Gesù non aveva detto: Sarete perseguitati a causa del mio Nome?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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